3 giugno 2012
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Biografia di Uto Ughi
• (Bruto Diodato Emilio Ughi) Busto Arsizio (Varese) 21 gennaio 1944. Violinista. «Il silenzio forse è il momento più suggestivo e più musicale».
• Vita Padre istriano, madre veneta, il nome di battesimo è lo stesso di uno zio morto a El Alamein durante la Seconda guerra mondiale. A 7 anni si esibì per la prima volta in pubblico al Lirico di Milano eseguendo la Ciaccona dalla seconda Partita di Bach e alcuni Capricci di Paganini. Dai 9 ai 13 anni studiò violino con George Enescu, già maestro di Menuhin, a Parigi e all’Accademia Chigiana di Siena. Nel 1978 divenne accademico effettivo di Santa Cecilia. Nel 1997 gli fu conferita l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce per meriti artistici. Ha suonato, tra l’altro, con la New York Philharmonic e con l’orchestra del Concertgebouw di Amsterdam sotto la direzione di maestri come Celibidache, Sinopoli, Mehta, Colin Davis.
• «Studia per ore ogni giorno e, quando fa un concerto, ha sempre un brivido, il timore di non essere abbastanza creativo, abbastanza appassionato. Proprio come un amante. È un personaggio senza luogo, che vive in tanti luoghi, anche se ama Roma più di ogni altra città al mondo; anche se, dice, si sente profondamente italiano» (Silvana Mazzocchi).
• «Ho cominciato a suonare a cinque anni e all’epoca era considerato un avvenimento da enfant prodige. Ma se oggi guardiamo, che so, al Giappone, centinaia di bambini cominciano a suonare il violino già prima, a quattro, perfino a tre anni. Io sono cresciuto con la musica, mia nonna suonava il pianoforte, mia madre aveva studiato canto, mio padre il violino. Lui era nato a Pola ed era venuto in Italia prima della guerra. Era un avvocato, ma anche un grande appassionato di musica. Era amico del maestro Coggi, il primo violino della Scala sotto Toscanini. Venivano in tanti a casa nostra un paio di volte alla settimana, secondo l’uso austriaco della Hausmusic. E sentivo suonare, cantare. A 10 anni sono andato a studiare a Parigi e ho avuto la fortuna di farlo con uno dei più grandi compositori dell’epoca, George Enescu, un rumeno, violinista, pianista, direttore d’orchestra che in Francia aveva cambiato il nome in Enesco. Un personaggio straordinario, un musicista globale, come allora ce n’erano tanti in Europa, con un’immensa immaginazione. Peccato, ero così giovane e immaturo da non poterlo apprezzare fino in fondo. Ma conservo emozioni profonde, sensazioni e istinti che non ho mai perduto. Quando lui morì avevo dodici anni. Allora sono andato a studiare a Ginevra, poi a Vienna. Per me è stata determinante la cultura austriaca e questo è scontato per un musicista. La grande musica strumentale si è sviluppata nei paesi tedeschi, da Bach a Beethoven, a Mozart, a Schumann. Per me la grandissima musica sta a cavallo tra Settecento, Ottocento e Novecento. In seguito c’è stata quella frattura tra musica dodecafonica e musica tonale che pure ha prodotto grandissimi autori come Stravinskij, Bartók, Shostakovic, Schönberg, Berg, la scuola viennese del Novecento».
• «Una carriera di successi conseguiti da subito, nonostante qualche mossa sbagliata, come quando rinuncia a seguire David Ojstrach in Russia per prepararsi al più prestigioso e difficile premio violinistico, il Tchajkovskij: “Quello è un super rimpianto, mi è rimasta la sensazione di aver perso un treno. Un’esperienza con un grande come lui sarebbe stata molto importante; avevo sedici anni non ebbi il coraggio di partire per la Russia. Ed è strano perché di natura sono avventuroso, mi piacciono le esplorazioni, ma in quel caso mi mancò lo slancio”. Il talento di Ughi è però sufficiente perché il suo violino lo porti a risultati straordinari, anche non previsti: “Ho iniziato a fare musica molto presto ed era il mio maestro che mi spingeva a fare qualche concerto per prendere familiarità col pubblico. Le cose sono venute da sole, non ho mai deciso di fare il concertista. Mi sono accorto che avevo delle possibilità dagli inviti che ricevevo, dalle personalità che mi avvicinavano. E poi perché avevo la gioia di suonare, senza di quella non si va avanti. Io non ho mai pensato alla carriera, è una cosa che viene o non viene. Allo stesso modo spero di accorgermi in tempo se non sarà più il caso di continuare. Se non sarò più in grado di fare delle esecuzioni decorose, sarò il primo a dirmi di smettere per dedicarmi magari all’insegnamento. È difficile come artista valutarsi per ciò che si è, ma bisogna avere la forza e il coraggio di guardarsi allo specchio. La musica è una sfida infinita, è una battaglia continua ingaggiata con la materia e la materia è la tecnica: ciò che sembra perfetto oggi domani non lo è più. C’è sempre qualcuno che, proprio quando pensi di aver raggiunto il massimo in un’interpretazione, fa meglio di te”» (Federico Capitoni) [Rep 10/11/2013].
• «Se non fossi un musicista, vorrei fare l’antropologo. Cerco sempre di capire le ragioni per cui gli esseri umani vivono in modi diversi. E, per farlo, viaggio. In genere lascio il violino che ho portato per il concerto in albergo, al sicuro in cassaforte e parto con un altro strumento più moderno, meno prezioso. Mi serve per studiare».
• I suoi violini sono due strumenti della scuola classica cremonese: un Guarneri del Gesù del 1744 e uno Stradivari del 1701 detto Kreutzer perché appartenuto al grande violinista cui Beethoven dedicò la celebre sonata. «Sono diversi tra loro. Il Guarneri possiede un tono caldo, dal timbro scuro, sensuale, più vicino al romanticismo... è come una pittura fiamminga; lo Stradivari-Kreutzer invece ha una voce apollinea, evoca un quadro rinascimentale italiano, o addirittura il Beato Angelico».
• Continua l’attività concertistica, come solista e direttore-solista. Nel settembre 2008 ha partecipato a Torino, insieme alla Wiener Kammerorchester, al Festival MiTo (prima serata della rassegna ad andare esaurita nelle prevendite). Ha poi aperto la decima edizione di “Uto Ughi per Roma”, concerti gratuiti dedicati ai giovani nei luoghi più suggestivi della capitale. Sentito anche alla radio, dove ha condotto un programma di successo, Il diavolo e il violino, dieci puntate il sabato su Radiouno. Nello stesso anno ha condotto su Rai Uno il programma Uto Ughi racconta la musica, una serie di dieci episodi in onda a mezzanotte.
• Si è fatto sentire anche su due temi che gli stanno da anni particolarmente a cuore: la scarsa considerazione per la musica in Italia e l’acustica delle sale da concerto. «Ogni volta che parte un nuovo governo si spera che qualcosa cambi anche per la musica. Finora tutte le attese sono state deluse» (a Stella Cervasio). «L’acustica in Italia è ormai un optional anche nei teatri. Nove su dieci sono stati ristrutturati in modo inadeguato. Gli architetti non capiscono nulla del suono e usano a man bassa materiali sbagliati: mattoni, cemento, moquette» (a Giuseppina Manin).
• «Nelle scuole non si fa niente. E credo che sia colpa anche dei musicisti: se non si muove il Ministero, dobbiamo farlo noi. Io sono andato più volte da più ministri dell’Istruzione chiedendo di istituire cicli, corsi, lezioni… Ma sono tutti sordi. Quel poco di musica che si ha nelle scuole è fatta malissimo, sarebbe meglio lasciar stare. Il nostro è un Paese in cui si mettono gli insegnanti sbagliati nei posti sbagliati».
• Spesso in polemica con Giovanni Allevi, si arrabbiò per la decisione del Senato di far dirigere al pianista il concerto di Natale del 2008: «Proprio dopo il concerto a Palazzo Madama, Uto Ughi disse: “Evidentemente i consulenti musicali del Senato sono persone di poco spessore”. Secondo il violinista, infatti, la musica di Allevi è “un collage furbescamente messo assieme”. Ma quello che più irrita Ughi è che il pianista “si crede anche compositore, filosofo, poeta, scrittore”: “Ciò che mi dà fastidio è l’investimento mediatico che è stato fatto su un interprete mai originale e privo del tutto di umiltà”» (Bruno Giurato) [L43 24/7/2013].
• Nel 2013 ha pubblicato la sua autobiografia, Quel diavolo di un trillo. Note della mia vita (Einaudi), scritta in collaborazione con Vittorio Bonolis: «All’inizio ero molto incerto perché io non sono uno scrittore, sono un musicista. Che cosa posso dire con un libro? (…) Vorrei che fosse un’occasione d’incontro e che nascesse un dialogo lungo e ininterrotto tra me e gli altri. Solo allora potrò dire che il mio impegno non è stato vano».
• È stato sposato una volta, quand’era giovanissimo, ma il matrimonio è durato solo due anni: «Mia moglie desiderava stabilità, equilibrio. Voleva, come è giusto, una famiglia tradizionale. Ma io ero troppo fanatico del mio violino... Oggi, comunque, siamo rimasti grandi amici» (da un’intervista di Angelica Amodei).
• Ha un appartamento a Roma, dal quale si vede al cupola di San Pietro, ma ci passa solo pochi mesi all’anno («Saranno tre in tutto, sono sempre in viaggio per i concerti»).
• Frasi «Il piacere di un bel suono, di una nota, di una scala fatta bene è fisico, sensuale. Richter, Rubinstein avevano un’immaginazione senza limite e un profondo godimento fisico di quello che suonavano. E la ricerca dei colori di Benedetti Michelangeli? Era come un pittore che avesse una tavolozza davanti a sé e scegliesse a seconda dell’ispirazione, dell’esigenza spirituale del momento» (da un’intervista di Alberto Sinigaglia).
• «Ormai, a furia di suoni fracassoni, è in atto una mutazione uditiva. Per chi è cresciuto a schiamazzi rock, cogliere le sottigliezze di un pianissimo è impossibile».
• «Non è affatto vero che l’arte non si impara. Naturalmente il genio ha qualcosa di innato, ma il talento va coltivato attraverso la disciplina, l’informazione e i grandi maestri. Io ho avuto la fortuna di stare a contatto con luminari che mi hanno aperto il cuore e l’anima all’ interpretazione. Ma imparo tuttora ascoltando i dischi. Sono vere trasfusioni di sangue per me».
• «Brahms si ispirava soprattutto in montagna, che vuol dire silenzio, solitudine, elevazione, assoluto. Per me le Dolomiti, anche quelle del Cadore, sono le montagne più straordinarie. La forma e il colore della roccia ne fanno sculture, cattedrali. Il gruppo del Civetta, le Tofane, il Pelmo, l’Antelao sembrano concepiti da una mente d’artista: il grande architetto dell’universo».
• «Ho viaggiato molto, ho suonato in angoli remoti del pianeta dove quasi non c’è cultura musicale. Quando fai bene la bella musica, vedi la gioia negli occhi delle persone. Noi in Europa, culla della civiltà musicale, oggi siamo surclassati dagli orientali perché lì i ragazzi studiano musica per essere persone migliori, non necessariamente per diventare professionisti».
• Vizi «Amo la letteratura, che penso sia l’espressione artistica più legata alla musica. Ma amo molto anche la pittura e le arti figurative in generale. Non a caso, per viverci, ho scelto città d’arte come Roma o Venezia. Ma a me piace anche molto la natura, la montagna. E sciare». Nuoto e tennis sono le altre discipline sportive che predilige. Appassionato di yoga.
• Ama citare a memoria interi passi dei libri della sua vita: «La lettura ha per me un posto primario. E devo dire che se è molto comune l’interesse dei musicisti per la letteratura, più raro è quello dei letterati per la musica. Mi ricordo Borges, mio amico e piuttosto a digiuno di musica, che mi diceva: “Una delle mie grandissime colpe è che non sono degno di un concerto per violino”» (a Federico Capitoni).
• «Prima di un concerto non vede nessuno e si distrae ascoltando i dischi di Maria Callas».