3 giugno 2012
Tags : Vitaliano Trevisan
Biografia di Vitaliano Trevisan
• Sandrigo (Vicenza) 1960. Scrittore. Attore. Tra i suoi libri: I quindicimila passi (2002, premio Campiello Francia nel 2008), Il ponte. Un crollo (2007), Grotteschi e arabeschi (2009), tutti editi da Einaudi. «Non chiamatemi scrittore vicentino, veneto, nordestino. Chiamatemi narratore austroungarico».
• «Sono stato operaio, muratore, lattoniere, babysitter. Se c’è la cosiddetta ispirazione, mi siedo e aspetto che passi. Si dà il meglio di sé quando si è vuoti, è il momento ideale per essere un buon conduttore. È una cosa che ho capito quando di mestiere pulivo le fogne. È quando fai bene delle cose che non ti piacciono che ricavi molto sia per te che per gli altri. Mi piace l’idea di scrivere prima e dopo, non durante. Non è un lavoro, ma un’attività pesante. Da piccolo ero un piromane e torturavo gli animali. Sono mie caratteristiche, le ho avute, forse le ho ancora anche se adesso non sono più esplicitamente violento» (da un’intervista di Gigi Riva).
• «La mia è una condizione più che una scelta. Solitudine, non isolamento. Volontà d’indipendenza più che geloso individualismo. Scrivo per il teatro e il teatro è lavoro di gruppo. Ma in questo pezzo di Veneto, le teste buone sono sempre rimaste isolate più che altrove. Basta pensare a Piovene e Parise, per dire due autori che mi sono cari. Io non amo la narrazione come comunicazione e mi rifiuto di dividere la lavagna in buoni e cattivi. Piuttosto lavoro di meno, lascio cadere le proposte di collaborazione che arrivano dai giornali appena capisco che vorrebbero incasellarmi. Se scegli di stare fuori dalle consorterie devi aspettare che qualcuno si accorga di te e ti consideri una risorsa. Voglio essere giudicato per la qualità dei miei testi. E vorrei che ci fosse la libertà di farlo con tutti. Invece, ci sono quelli che diventano letterariamente intoccabili perché circondati dall’alone dell’impegno civile. Prenda Saviano: se qualcuno osa dire che Gomorra non è scritto bene passa per filocamorrista. E Paolini? Qualsiasi cosa faccia è un capolavoro. Invece ha banalizzato Il sergente nella neve di Rigoni Stern. Possiamo dirlo? Il brand dell’impegno civile è diventato un valore commerciale: fa vendere i libri, staccare i biglietti a teatro, riempire le sale, scalare le classifiche. Il lettore e lo spettatore pagano dieci/quindici euro e poi si sentono con la coscienza a posto. Per me chi fa il proprio dovere ogni giorno, soprattutto se rifiuta logiche di appartenenza, è altrettanto civilmente impegnato» (da un’intervista a Maurizio Caverzan) [Grn 15/7/2010].
• Il suo I quindicimila passi, un «implacabile affresco di un Nord Est vivisezionato con rabbia pasoliniana» (Sara Chiappori). «Se si considera Il ponte per ciò che realmente dice, l’afflitto narratore-protagonista, lo stesso autore, non fa che inanellare una sequela di luoghi comuni della lamentazione italiana. Egli informa d’essersi trasferito al di là delle Alpi, quasi in esilio. Ma vitupera l’Italia come lo si sente fare in treno, prima o seconda classe» (Franco Cordelli).
• Attore, protagonista (e cosceneggiatore) di Primo amore di Matteo Garrone, interprete di Riparo (Marco Simon Puccioni 2007), delle due miniserie tv Nel nome del male (Alex Infascelli 2009) e di C’era una volta la città dei matti (Marco Turco 2010): «Credo che la recitazione nel cinema sia fare il meno possibile. Più sei neutro, più il regista ha spazio per esprimersi, perché il film è suo...». Anche autore di teatro (Solo Rh, Good Friday Night, Due monologhi, Una notte in Tunisia), considera suoi maestri d’elezione Thomas Bernhard e Samuel Beckett.
• «La mia unica ambizione è scrivere bene» (a Caverzan, cit.).