3 giugno 2012
Tags : Emanuele Trevi
Biografia di Emanuele Trevi
• Roma 7 gennaio 1964. Scrittore. Critico letterario. Tra i fondatori della casa editrice Fazi, ha curato molte edizioni di classici francesi e italiani. Nel 1994 pubblicò una Lettera sulla critica, Istruzioni per l’uso del lupo (Castelvecchi), nel 1997 un saggio sulle virtù morali, Musica distante. Figlio di Mario (1924-2011), terapeuta junghiano con cui ha scritto Invasioni controllate (Castelvecchi 2007). Collabora con il Manifesto, la Repubblica ecc.
• «Era conosciuto come il più brillante critico letterario della giovane generazione. Era colto, intelligente, fantasioso, e amava perdutamente la menzogna. Ora, i critici letterari non dovrebbero amare la menzogna, ma la verità: la menzogna, come diceva Esiodo, è una qualità che le Muse donano agli scrittori. Per obbedire ad Esiodo, Trevi è diventato scrittore: Senza verso (Laterza 2005) e L’onda del porto (idem) sono tra i pochissimi libri belli e singolari che la letteratura italiana ci abbia offerto negli ultimi anni. È difficile dire cosa siano questi libri. Non sono racconti, né romanzi, né saggi, né poesie, né diari, sebbene qualche volta assomiglino a un racconto, o a un saggio, o a una poesia, o a un diario. Lo stile è ricco e complesso: pieno di echi, intrichi, rapporti e suggestioni. Trevi è diventato bravissimo in un’arte difficile: quella di perdere il filo» (Pietro Citati).
• Nel 2012 finalista al premio Strega con Qualcosa di scritto (Ponte alle Grazie), fu sconfitto per due voti dal romanzo Inseparabili (Mondadori) di Alessandro Piperno. Nel 2013 abbandonò polemicamente la giuria del Premio denunciando meccanismi, criteri e metodi con cui vengono selezionati sia la cinquina dei finalisti che il vincitore: «Non mi piace un premio in cui il candidato è stabilito dalle case editrici, che scelgono da sole i loro cavalli di battaglia, e in cui molti giurati sono stipendiati dagli stessi editori che poi gli chiedono il voto. Il criterio va ribaltato: sono i giurati che debbono battersi per i libri in cui credono» (a Raffaella De Santis) [Rep 12/3/2013].
• L’ultimo libro, Il viaggio iniziatico (Laterza 2014), è una esplorazione alla ricerca dell’esistenza di un genere letterario legato all’idea di “viaggio di formazione”. «L’idea di Emanuele Trevi è che quel concetto di spiritualità non convenzionale che alcune menti creative (più o meno formalmente motivate da ragioni di scienza) cercarono nella prima parte del Novecento, scandagliando gli usi nascosti delle comunità umane (in linea perfetta con l’idea di “esplorazione geografica” trionfante negli stessi anni), oggi non è affatto sparito. Non è finito, insomma, nella pattumiera del relativismo capitalista. Ma che invece abbia la possibilità di essere recuperata attraverso una letteratura “possibile”, attraverso la quale il lettore compie la propria medesima iniziazione alla vita, rinascendo dopo il contatto con i fatti e le passioni espresse da un libro. Quanto al libro di Trevi, erudito e pieno di suggestioni, si può dire che ha un solo difetto: l’eccessivo ottimismo» (Fog 18/10/2013).
• A proposito della critica: «I due modi di essere maestri sono ben rappresentati dalla coppia Contini-Debenedetti. Il primo rappresenta la scienza, ti dà la “cassetta degli attrezzi” che si trasmette di generazione in generazione, il secondo è più un esempio umano, di comportamento» (a Cristina Taglietti).
• «Trevi è una sorta di Garboli da camera, e la definizione non vuole essere riduttiva: è una questione di prospettiva, di strumentazione. Ma come Garboli anche Trevi reinventa l’oggetto della sua attenzione e lo fa diventare, teatralmente, più vero dell’originale. E anche a lui più dell’opera finita interessano gli incunaboli antropologici, anche fisicamente antropologici, dell’opera: per entrambi il processo conta più del risultato» (Gianandrea Piccioli) [Ttl-Sta 17/3/2012].
• A proposito della sua scrittura: «Un tentativo di rinnovare radicalmente il concetto di “saggio”» (ad Antonella Lattanzi).
• «Trevi ha tutti i doni e le qualità del letterato: qualche volta ne ha anche i vizi; ma ne ha soprattutto il pregio supremo, quello di possedere qualsiasi punto di vista, spostando lo sguardo, modulando la voce, occupando ogni spazio reale o immaginario dell’universo. Eppure, credo proprio per questo, non ama la letteratura, e le imputa quello che è il suo vanto: la compiutezza. Non vuole la forma perfetta: preferisce la forma ferita, offesa, squilibrata, piena di fori, che lascia intravedere, attraverso ciascuno di questi fori, una parte sconosciuta del mondo. Pensa che una vera opera d’arte supponga una catastrofe: una catastrofe accaduta sia nello spirito dello scrittore sia nel centro del libro, che genera attorno a sé ondate di inquietudini e di follia» (Pietro Citati) [Cds 1/3/2012].
• Sposato con la scrittrice Chiara Gamberale.