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 2012  giugno 03 Domenica calendario

Biografia di Marco Tirelli

• Roma 17 novembre 1956. Pittore.
• «Ogni cosa, scavandola dentro, ti porta sempre verso l’infinito, la forza dell’opera è quando nasce senza tempo». Fa parte della nuova scuola romana di San lorenzo, insieme a Bruno Ceccobelli, Piero Pizzi Cannella e Nunzio. «A 15 anni ho conosciuto Alighiero Boetti, un amico per tutto il resto della vita, una guida, una persona che poi mi ha aperto gli occhi sul mondo dell’ arte, il mercato, certo, ma anche le ansie e le esaltazioni di essere artista». Poi si iscrisse all’Accademia e si ritrovò come maestro Toti Scialoja che gli fece conoscere Rothko, Kline, Pollock, l’Action Painting americana, e gli fece scoprire «la superficie come spazio di confronto fra il mondo fisico e il luogo dove inizia l’idea del vedere attraverso, perché nel momento in cui l’occhio si posa sulle cose le rende metafisiche».
• «La ricerca di Tirelli ha una lunga storia: anche lui ha visto negli anni Settanta la ricerca concettuale, poi la Transavanguardia col suo ritorno alla pittura; Tirelli pensa oggi alla sua arte come l’ago di una bilancia sui cui due piatti stanno Malevitch e De Chirico; infatti le sue forme sono sospese in uno spazio che è mentale, assoluto, e richiamano modelli di contemplazione zen; del resto, ricorda, “c’è una forte attenzione per la mia pittura non solo a New York ma anche in Giappone, forse perché queste mie idee hanno qualcosa in comune col buddismo”. C’è stata nel passato di Tirelli una lunga meditazione sul mondo: per 15 anni il pittore ha vissuto in una casa isolata, alta su Spoleto; “certe volte, dice, quando di notte era nuvolo, senza stelle, senza luna, dalla finestra non vedevo assolutamente nulla, forse lì ho cominciato a meditare sul senso delle tenebre e su quel quadrato nero della finestra dove dentro c’era tutto, tutte le immagini che si vedono con la luce. Per questo ho fatto un lavoro che unisce in dittici un’immagine e un rettangolo nero, il giorno che illumina le forme come su un palcoscenico, e la notte, assenza di immagini”» (Arturo Carlo Quintavalle).
• Vive e lavora a Roma, di nuovo nel suo studio, uno dei più belli al quinto piano del Pastificio Cerere, con finestre affacciate su un terrazzo, dall’altra parte della strada, che fu quello de I soliti ignoti, film di Monicelli con Totò, quello dove i ladri si esercitano ad aprire la cassaforte. Nello studio, oltre ai quadri finiti e in lavorazione, una bicicletta e un pianoforte a coda: «Suono il pianoforte da quando ero all’Istituto Svizzero, ci sono stato da ragazzo e fino ai 17 anni, lì lavorava mio padre. Avevo una stanza e c’era un piano, ho cominciato allora. Adesso? Amo Schönberg, Berg, Britten, vorrei suonare la musica barocca ma è troppo per me, così suono il jazz» (a Quintavalle).
• È stato legato per cinque anni a Lucrezia Lante della Rovere, ma i due non convivevano: «Perché rovinare l’amore con le bollette?» (Giulia Cerasoli). (a cura di Lauretta Colonnelli)
• È stato l’unico pittore italiano presente alla Biennale di Venezia 2013 (terza partecipazione: le precedenti risalgono all’82 e al ’90) (Camillo Langone).