Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  giugno 03 Domenica calendario

Biografia di Dionigi Tettamanzi

• Renate (Milano) 14 marzo 1934. Cardinale (creato nel 1998 da Giovanni Paolo II). Teologo moralista di fama, nell’89 fu nominato vescovo di Ancona-Osimo, due anni dopo divenne segretario generale della Conferenza episcopale italiana, nel 1995 prese possesso della sede arcivescovile di Genova, dal 2002 al 2011 è stato arcivescovo di Milano, poi nel 2012-2013 amministratore apostolico di Vigevano. Compiuti gli 80 anni cessa da tutte le cariche ricoperte nella Curia romana. Ha partecipato al conclave che nel 2013 ha eletto Papa Francesco.
«È meglio essere cristiani senza dirlo che proclamarlo senza esserlo».
• «La parrocchia di Renate sta sempre lì, campi da calcio, basket, pallavolo, una quantità di ragazzini che tirano pedate al pallone reggendo ghiaccioli in equilibrio instabile, castagni, faggi e abeti sullo sfondo del Resegone. Non fosse per l’abbondanza di aziende, capannoni e bancomat, per la teoria di “villette otto locali doppi servissi” che inorridivano Carlo Emilio Gadda e flagellano la profonda Brianza tra Como e Lecco, il panorama sarebbe lo stesso di prima della guerra, quando don Pasquale Zanzi notò Dionigi Tettamanzi e il suo amico Tranquillo Colombo che rifiatavano su un muricciolo, se li prese in braccio e profetizzò: “Tranquillo, ti te sarèt un bel pret! Ti no, Dionigi, te se tropp furb!”» (Gian Guido Vecchi).
• «“Estensore segreto dei documenti vaticani”, teologo morale, collaboratore di Papa Wojtyla in encicliche come la Evangelium vitae e la Veritatis splendor, predica il Vangelo anche con la semplicità dei gesti (“A me per primo capita di dimenticare un discorso, ma non una stretta di mano”). “Mi ricorda Papa Giovanni per la sua bontà e la grande forza trascinatrice”, dice Carlo Edoardo Valli, presidente degli industriali brianzoli. La terra conta, nella formazione del cardinale, perché la Brianza è etica del lavoro e senso del dovere, e Renate, dov’è nato, è ancora tutto questo, come quando Dionigi aveva undici anni ed entrò nel seminario di Seveso San Pietro. Il senso della famiglia, la fede della madre, il padre operaio, un fratello falegname, l’appartenenza a un luogo che si ritrova nella domenica a messa e nei fioretti di maggio, nel catechismo e nell’oratorio, non si perdono negli anni di studio che portano il futuro cardinale a laurearsi in Teologia, a insegnare per anni fino a diventare rettore del Pontificio seminario lombardo e una delle voci più ascoltate dei cattolici sui temi della bioetica. Arcivescovo di Ancona, segretario della Cei, la Conferenza episcopale dei vescovi con Ruini presidente, poi la nomina a Genova, città difficile, in crisi con il suo passato, lacerata dalla battaglia con i camalli del vecchio porto. È un’investitura questa per Tettamanzi che rafforza il suo ruolo e amplifica la sua influenza in Vaticano. Ha fama di studioso e ghostwriter di encicliche, è guardato con diffidenza dalle correnti progressiste e moderniste della Chiesa, ma a Genova si cala nel sociale, predica un Vangelo che invita alla concretezza, si mostra attento alle questioni legate al lavoro. Entra con forza sui temi dell’immigrazione e predica l’accoglienza, l’integrazione, ma allunga lo sguardo anche sui fermenti no global: il movimento dei giovani che contestano i totem del capitalismo mondiale stimola alcune sue riflessioni. È la vigilia del G8, dei giorni neri per la città. Lui scrive su Avvenire: “Assistiamo a una contrapposizione netta fra capitale e lavoro. Nel bazar del villaggio globale a farne le spese sono non gli imprenditori ma le donne e gli uomini che lavorano”. Dice ancora: “Il profitto non è il valore assoluto dell’uomo”. È in linea con Papa Wojtyla, ma quando aggiunge che “il deficit politico deriva da una carenza etica in chi detiene il potere” qualcuno lo giudica un rivoluzionario. È gia considerato papabile quando si fa il suo nome per la diocesi di Milano. Non è poliglotta, dicono i maligni, ma l’approdo alla sede cardinalizia più importante d’Italia, e forse del mondo, segnala che per Dionigi Tettamanzi in Vaticano l’apprezzamento è pieno. Nella geopolitica della Curia, c’è chi legge il passaggio come una tappa di avvicinamento a qualcosa di più importante. Ma Tettamanzi a Milano deve riempire il vuoto lasciato dai vent’anni di Carlo Maria Martini, un cardinale nella storia. Lui entra in punta di piedi. Si muove nella continuità. Poi il suo attivismo si manifesta. Apre le porte del Duomo, invita i milanesi “a viverlo di più”. Scrive agli operai dell’Alfa in crisi per sostenere “i valori e la dignità della persona umana”. Richiama la città, capitale economica, a una maggiore attenzione verso i poveri e gli emarginati. Scuote i politici: “La gente ha bisogno di testimonianze fatte di onestà, schiettezza e pulizia morale. La classe politica non è sempre all’altezza”. Richiama anche i suoi preti: “Andate nelle case degli islamici”. E sogna: “A partire dalle nuove generazioni, cristiani e musulmani che vivono nello stesso territorio devono sperimentare possibilità di incontro e dialogo, per smentire le voci che parlano di scontro di civiltà”. Il senso dell’accoglienza diventa il suo messaggio globale. Ma non trascura i piccoli segni. “I bambini non sanno più farsi il segno della croce”, scrive nella lettera alla diocesi. Predica il dialogo, è duro con gli eccessi. Il Foglio, dopo la sua requisitoria su Milano “troppo attenta ai muri e poco alle persone”, virgoletta: “È l’ultimo comunista”. Lui continua, nei richiami: “Certe messe sono troppo noiose”. Conservatore, innovatore o terzista?» (Giangiacomo Schiavi). «Non ha la forza e la libertà di parola del cardinale Martini. Ma non si tira indietro, quando deve affrontare questioni spinose: in cinque anni di segreteria della Cei, le sue conferenze stampa hanno sempre fatto notizia, senza che compisse mai un passo falso. È l’unico cardinale di casa nostra ad aver preso una posizione possibilista sull’uso del profilattico in funzione anti-Aids. Più volte ha invitato la Chiesa italiana a osservare un anno di “silenzio” nella produzione di documenti, per “concentrarsi nell’ascolto del Vangelo”. E con ciò siamo agli input evangelici che caratterizzano la sua predicazione. In occasione del Grande Giubileo ha indicato ai genovesi come “luogo giubilare” per l’acquisto dell’indulgenza, insieme ai santuari, anche un ospizio per vecchi, ai quali fare visita “quasi pellegrinando verso il Cristo presente in loro”» (Luigi Accattoli).
• Nel 2008 ha manifestato attraverso la Curia lo sdegno per lo sgombero dei rom dall’area dismessa di via Bovisasca («si è scesi sotto il rispetto dei diritti umani», «la maggioranza degli immigrati lavora nell’edilizia e in società nella Fiera. Che ne sarebbe dell’imprenditoria milanese senza la manovalanza a bassissimo costo dei romeni?»). Nel 2011 polemica con il governatore della Lombardia, Maroni, dopo che il porporato aveva lanciato un appello a favore della costruzione di una moschea a Milano.
• Ha pubblicato diversi libri. Nel 2008 esce Il signore è vicino a chi ha il cuore ferito (Centro Ambrosiano), lettera ai separati, divorziati, risposati che cominciava con una richiesta di perdono: «Se avete trovato uomini o donne della comunità cristiana che vii hanno in qualche modo ferito», se da loro avete sentito «giudizi senza misericordia», o «condanne senza appello», ebbene «desidero dirvi il mio dispiacere». Da ultimo ha pubblicato, tra gli altri, Il vangelo della misericordia per le famiglie ferite (San Paolo Edizioni, 2014, nuovamente sulla questione dei separati e divorziati) e Il beato Paolo VI. Un’eredità spirituale per la chiesa (Centro Ambrosiano, 2014).
• «Il vescovo per sua stessa natura deve essere super partes, altrimenti non potrebbe andare fino in fondo nel contatto con i suoi fratelli. Anche per questo io non sono mai andato allo stadio».