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 2012  giugno 03 Domenica calendario

Biografia di Giovanni Strangio

• Siderno (Reggio Calabria) 3 gennaio 1979. Presunto ’ndranghetista, appartenente al ramo janchi della famiglia Strangio, alleato coi Nirta, in lotta con i Pelle-Vottari (faida di San Luca, vedi Francesco Vottari). Detenuto al 41 bis, in custodia cautelare, dal 12 marzo 2009 (per due anni e mezzo, dal 15 agosto 2007, giorno della strage di Duisburg, inserito nell’elenco dei trenta latitanti più pericolosi ricercati dalla Direzione centrale della polizia criminale). Condannato all’ergastolo per la strage di Duisburg, come ideatore ed esecutore (sentenza della Corte di Assise di Appello del 26 maggio 2014 – difensore l’avvocato Carlo Taormina).
• Coniugato, un figlio, residente a Kaarst (nel land del Nord Reno-Westfalia, Germania), dove risulta titolare di due ristoranti (“ Tony’s” e “ San Michele”). Incensurato fino al 28 dicembre 2006, quando pensò bene di andare armato di pistola, una calibro 7,65, nella chiesa di San Nicola, a Bovalino, ai funerali della cugina Maria Strangio (uccisa, al posto del marito, la sera del 25 dicembre, strage di Natale), e per questo motivo non poté obbedire all’ordine di fermarsi del commissario, Fabio Catalano, che durante i funerali aveva scrutato tutti i presenti, e aveva deciso di identificarlo (invece dovette sparargli al polpaccio ed arrestarlo). Passò in carcere quattro mesi, poi patteggiò un anno e sei mesi ed essendo incensurato fu scarcerato.
• L’8 agosto 2007 fu intercettato al telefono mentre diceva al fratello Antonio: «Non parlate con nessuno che sto salendo... Devo andare a fare là... alla pizzeria», ma dal momento che lui è titolare di pizzerie, nessuno sospettò niente.
Strage di Ferragosto Duisburg (Germania, land del Nord Reno-Westfalia), notte tra il 14 e il 15 agosto 2007, poco dopo le due, esterno del ristorante “da Bruno” (uno dei più cari della città), di proprietà dei fratelli Giovanni e Sebastiano Strangio (stesso cognome dello Strangio di cui si tratta, ma il ramo della famiglia è un altro). I due escono dal locale in compagnia di altre cinque persone, il tempo di chiudere la porta di cristallo blindata del locale e infilarsi, tutti e sette, chi in una Golf nera, chi in un furgoncino Opel bianco, ma non il tempo di mettere in moto, che due uomini travisati, armati di pistola calibro 9, sparano loro più e più volte, ricaricano la pistola, in tutto settanta colpi, più di uno al secondo, finché non puntano in sequenza alle loro teste (un colpo ciascuno, tranne Giovanni Strangio), quindi fuggono, prima a piedi, poi in macchina, una Bmw (già in moto quando salgono, li aspettava il terzo uomo). Unico sopravvissuto Giovanni Strangio. Sono morti: Sebastiano Strangio (39 anni, cuoco di chiara fama), seduto alla guida del furgoncino; Francesco e Marco Pergola (22 e 20 anni, fratelli, figli di un ex appuntato del commissariato di Siderno, lavoravano come camerieri nel ristorante), seduti, il primo sul sedile posteriore della Golf, il secondo a fianco di Sebastiano; Francesco Giorgi (16 anni, lui non ci voleva andare a Duisburg a farsi la stagione nel locale, ma i genitori ce lo mandarono a forza), seduto sul sedile anteriore della Golf, al posto del passeggero; Francesco Venturini (diciott’anni proprio quella sera, avevano festeggiato il suo compleanno, dirà Giovanni Strangio), seduto sul sedile posteriore della Golf; Marco Marmo (25 anni, diffidato dalla polizia perché ritenuto «persona abitualmente dedita a traffici delittuosi dei cui proventi vive, anche in parte», aveva l’obbligo di dimora a San Luca, invece era andato a Duisburg a comprare armi, e tutti sapevano che c’entrava con la strage di Natale), alla guida della Golf. Tutti nati a Locri, tranne Francesco Venturini, registrato all’anagrafe di Duisburg (è l’unica salma che non devono trasferire, davanti al ristorante tanti mazzi di fiori lasciati dai compagni di scuola e un biglietto, con scritto «perché tu?»).
• Salvatore Boemi, pm dell’antimafia a Reggio: «Questi sei morti ne chiamano almeno sette (...) C’è un problema di ordine pubblico. Non siamo in grado di garantirlo in Calabria, figuriamoci in Italia o nel resto d’Europa. I killer però non sbagliano: sparano al momento giusto (anche in Germania hanno colpito tutte persone che c’entravano qualcosa)».
Antonio Pelle, di San Luca, omonimo del boss detto Gambazza, proprietario dell’albergo di Duisburg che ha ospitato la Nazionale di Lippi diventata campione del mondo: «Come diciamo dalle nostre parti, volevano uccidere il porco e hanno ammazzato anche il porcaro... Ma non ho nessuna idea in proposito» (delle vittime conosceva solo Sebastiano Strangio, «un grande lavoratore, uno con un nome nella gastronomia italiana in Germania») (Massimo Razzi).
• Teresa, la madre di Francesco Giorgi: «Questa è la strage degli innocenti».
• Invece i poliziotti, ricomposti i cadaveri, trovano in tasca al Venturini un santino bruciato con l’immagine di san Michele Arcangelo, e, perquisito il locale, una statua dello stesso santo all’ingresso dello scantinato (giù una scrivania con un cassetto segreto, dentro un fucile d’assalto Remington, e una valigia con quattro caricatori Colt, munizioni 357 Magnum e trecento cartucce), e una stanza senza finestre (dentro un tavolo in legno di sei metri con dodici sedie, santini in quantità con l’immagine della Madonna di Polsi e un libro di preghiere, la pagina del Padre Nostro segnata con la foto di Giovanni Strangio). A dire che, sì, prima di essere sparati, i sette avevano celebrato il compleanno del Venturini, ma con la sua maggiore età anche il rito della sua affiliazione alla ’ndrangheta (c.d. “copiata”).
Wanted Una donna, alle 2.24 del 15 agosto, telefona alla polizia per dare l’allarme da Mülheimer Strasse, nei pressi della stazione di Duisburg. Descrive il giovane alla guida di una macchina di grossa cilindrata che si allontanava dal luogo della strage, insistendo sui suoi lineamenti gradevoli e gli occhi azzurri. L’identikit assomiglia proprio a Giovanni Strangio e il 16 agosto stesso la polizia lo va a cercare a casa sua, a Kaarst (è al lavoro, in pizzeria, spiega la moglie). Invece di Giovanni, in una delle due pizzerie, la “San Michele”, la polizia trova una pistola Skorpion calibro 9 (nascosta in un barile di mostarda), e proiettili (in una bottiglia di Ketchup). La polizia risale allora all’abitazione di un amico che avrebbe dato ospitalità a Strangio al suo rientro in Germania. La casa è disabitata, ma viene trovata la Bmw dell’amico, con un fanale anteriore rotto (l’auto usata per la strage, secondo la polizia). La certezza arriva con la testimonianza di un armiere tedesco. Il 9 agosto un ragazzo era entrato nel suo negozio per comprare due giubbotti antiproiettili (il materiale doveva essere resistente anche ai proiettili sparati da armi lunghe), e due caricatori da trenta colpi per pistole Beretta 92 (le stesse usate per la strage), e aveva ordinato due caricatori da venti colpi per pistole modello Glock («Li voglio entro il 14», disse), dando un nome falso e il numero della pizzeria “San Michele” come recapito. Non tornò, ma l’armiere riconosce tra centinaia di foto segnaletiche Giovanni Strangio. Il 24 la polizia torna nella casa di Kaarst, trovandola abbandonata, come all’improvviso. Il 31 agosto mette su di lui una taglia di dieci mila euro. I comunicati dicono che «è alto 174 cm, ha una figura slanciata, capelli scuri e occhi blu» (il 4 settembre le ricerche sono diramate in campo internazionale, per arresto ai fini estradizionali). Ad ottobre viene trovata abbandonata a Gent, in Belgio, con le chiavi nel nottolino di accensione, la Clio nera targata HH-BM 7070, noleggiata da Strangio il 10 agosto. Le tracce di Dna sono di suo cognato, Giuseppe Nirta (tracce di entrambi vengono trovate in una abitazione presa in affitto a Düsseldorf, a pochi chilometri da Duisburg, usata fino a poche ore prima della strage).
• Il 18 dicembre anche il gip presso il Tribunale di Reggio, Natina Pratticò, emette ordinanza di custodia a carico di Giovanni Strangio, su richiesta del pm Nicola Gratteri. L’arresto, ad Amsterdam, alle 23.15 del 12 marzo 2009, ad opera della Squadra Mobile di Reggio Calabria. Abitava con moglie e figlio in un appartamento nel quartiere Diemen, periferia nord-est, via Griend, al civico n. 59 (in casa viene trovato un milione di euro in contanti). Non usciva mai senza il berretto da baseball calato sul viso.
• «Personaggio chiave dell’eccidio è una figura paradigmatica della ’ndrangheta del terzo millennio, in perfetto equilibrio fra tradizione e modernità: Giovanni Strangio. Si tratta di un imprenditore della ristorazione in Germania (...), è poliglotta, si muove con estrema disinvoltura sull’asse italo-tedesco e fino al dicembre 2006 (...) era sostanzialmente incensurato. Che un soggetto con queste caratteristiche (e, lo si ripete, con un curriculum criminale pressoché inesistente), chiaramente dedito al segmento affaristico dell’attività criminale, sia diventato uno dei ricercati più importanti d’Italia e d’Europa per la partecipazione ad un’azione di sterminio eclatante e senza precedenti, dà un’idea efficace della posta in gioco per le cosche di San Luca» (dalla relazione annuale della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla ’ndrangheta, 2008).
• Marco Minniti, allora viceministro dell’Interno: «È vero che non possiamo sorprenderci della strage di Duisburg, e io non ne sono sorpreso infatti. Sono sorpreso della sorpresa dei nostri partners europei (...) Mettiamola così, perché non voglio creare polemiche, non siamo riusciti a rendere consapevoli i Paesi europei dell’infezione e, dal suo canto, l’Europa fino a quando ha incassato investimenti “puliti” delle mafie italiane si è illusa che, al denaro che non ha odore, non debba necessariamente seguire una crisi della sicurezza pubblica, come accade oggi nella Ruhr e come può accadere presto in Costa Azzurra, nel Regno Unito, in Belgio, in Olanda dove da tempo affluiscono i capitali delle nostre mafie. Nessuno in Europa può sorprendersi perché siamo vigili e li abbiamo resi vigili. Ripeto, già nel 2001, con il nome in codice Lukas, i carabinieri del Ros compilarono con la collaborazione del Bka una mappa degli investimenti calabresi in Germania. In quella mappa, c’era anche, per dire, il ristorante “da Bruno” che è stato il teatro della strage» (a Giuseppe D’Avanzo). «La strage di Duisburg è stata come un geiser. Uno zampillo ribollente e micidiale che da una fessura del suolo ha scagliato verso l’alto, finalmente visibile a tutti, il liquido miasmatico e pericolosissimo di una criminalità che partendo dalle profondità più remote della Calabria, si era da tempo diffusa ovunque nel sottosuolo oscuro della globalizzazione» (relazione Commissione d’inchiesta sulla ’ndrangheta, 2008).
• «Questa violenza è funzionale ai boss che vogliono imporsi sul potere politico locale. D’ora in poi, quando vorranno infiltrarsi in qualche business potranno sfoggiare il biglietto da visita con su scritto “noi siamo quelli di Duisburg”» (Salvatore Boemi). Un anno dopo la strage il settimanale tedesco Der Spiegel riportò alcune dichiarazioni di un capo della cosca che si faceva chiamare “Fedele”. Alla domanda se ci fossero politici tedeschi sul libro paga della ’ndrangheta, rispose: «Se non fosse così noi non ci saremmo. Si possono fare molti soldi solo se la politica ci sta».
Facebook La pagina “Giustizia per Giovanni Strangio”, che pubblica lettere aperte della madre, Antonia Alvaro, e della sorella Teresa, e i post dei sostenitori della sua innocenza. Dopo la sentenza di condanna di primo grado Strangio scrisse invece una lettera alla madre, che la diffuse immediatamente: «Nel processo mi hanno dipinto come un boss di alto rango. Io che sono stato sempre incensurato, mai attenzionato dalla magistratura italiana e straniera. Può un giovane, che all’età di 17 anni lasciò il suo Paese per l’estero per cercare un futuro migliore, diventare dall’oggi al domani un mostro, un boss? Il clamore scaturito dall’uccisione di quei sei giovani aveva bisogno di un colpevole e per questo motivo si è puntato contro di me. Il mio nome fu fatto in seguito ad un accordo tra Stato, o meglio uomini di Stato, e un boss. Io non so chi e perché ha voluto mettermi in mezzo a questa storia […] Il mio è un sequestro di Stato». Donne di San Luca si misero in viaggio per andare a incatenarsi nel Duomo di Reggio Calabria per protesta. (a cura di Paola Bellone).