3 giugno 2012
Tags : Ferruccio Soleri
Biografia di Ferruccio Soleri
• Firenze 6 novembre 1929. Attore.
• «È Arlecchino. Lo è dal 1963 (era il 10 luglio - ndr), quando succedette a Marcello Moretti nell’ Arlecchino servitore di due padroni di Strehler. Non che prima non avesse cercato di far altro. Anzi. Voleva fare l’attore-attore. Allievo di Orazio Costa all’Accademia, aveva recitato nella Favola del figlio cambiato di Pirandello e altri autori si erano offerti al suo ardore di neofita: Lorca, Marivaux, Goldoni. Ma che tipo d’attore sarebbe potuto diventare? Per doti fisiche, corporatura, voce, si sarebbe detto un caratterista; oppure, per stare alla distinzione dei ruoli del vecchio teatro, un “secondo carattere”. Difficile andare oltre, difficile evadere dalle parti in cui la ruga s’innesta al sorriso. Soleri è stato “salvato” da Strehler. Ha detto: “Se non fosse stato per lui non so che cosa avrei fatto”. Ed eccolo perciò nel costume versicolore di Arlecchino, eccolo nel guizzo acrobatico di un personaggio dominato da fame e astuzia, da paura e poesia. Ha imparato i trucchi e i segreti del mestiere da Moretti, che si disegnava la maschera sulla faccia, finché Amleto Sartori non riuscì a fargliene una di cuoio che valeva come una seconda pelle, poiché era morbida, non lo faceva sanguinare, non lo faceva sudare, respirava con lui. Soleri ha ereditato anche la maschera. E con questo simbolo sacrale del suo lavoro ha cominciato a fare Arlecchino: una, due, milleduecento volte: al Piccolo Teatro, ma anche in giro per il mondo, varcando ogni confine, spingendosi fino in Cina» (Osvaldo Guerrieri).
• «Tra i suoi fan, Laurence Olivier e Marcel Marceau».
• «”Da ragazzino giocavo nella Fusina, squadra semiprofessionista di Firenze”. Ma il calcio è una delle tante passioni, poi salto, nuoto (è stato campione di tuffi), ginnastica artistica, danza classica, accademia navale, brevetto di pilota. Il teatro arriva per ultimo. “Sono diventato attore per protesta contro l’allenatore della mia squadra di calcio che mi aveva relegato in panchina».
• «Il mio primo amore fu il circo, a nove anni. Il mio sogno, fare il clown. Col pigiama di mio padre, il volto dipinto, intrattenevo mia sorella, convincendola a dirottare la nostra governante verso una tenda del circo per sbirciare. A nulla valevano le obiezioni che in quell’arte bisognava esserci nato».
• Quando, nel febbraio del ’60, mi annunciarono che a Broadway dovevo interpretare per la prima volta Arlecchino come sostituto di Moretti fu la paralisi. Grassi mi intimò di tenere alzato il braccio per l’entrata in scena. Mi parve di entrare nel vuoto assoluto. Al secondo atto, i battimani forarono la mia paura”. Era fatta. “Non proprio” – precisa – “È un collega a dirmi, pazzo di gioia, che sarà il successore di Moretti, dal quale tuttavia vengo convocato al Piccolo. Alla domanda su quale sia il ruolo cui aspiro, tergiverso, mi sembra sadismo il suo. E Moretti, seccato, mi rivela di aver invece pensato di insegnarmi Arlecchino”. Il grande attore muore nel ’61. Grassi e Strehler prendono tempo per decidere, la meta sembra vicina, e invece il destino da un altro colpo. Il primo, gravissimo incidente ferroviario del dopoguerra. Anno 1962, la Freccia delle Dolomiti deraglia. “I morti di qua, i feriti, 40, di la, e in mezzo io: ci rimisi i tendini a una gamba. È finita, mi dissi” e mostra una lunga cicatrice, rigide tre dita del piede sinistro» (Claudia Provvedini) [Cds 6/5/1998].
• Nel marzo 2008 protagonista dello spettacolo nella stagione inaugurale del nuovo Centro culturale nazionale di Pechino, dove l’ Arlecchino di Strehler ha raggiunto le 2.600 rappresentazioni (la più longeva e rappresentata pièce teatrale italiana nel mondo. «Più si va lontano, più ha successo. Ora, da tre-quattro anni in teatro c’è un tabellone con la traduzione. Ma anche prima, quando la gente semplicemente si leggeva la commedia prima di venire in teatro, funzionava allo stesso modo. Giapponesi, coreani, cinesi ridono all’inverosimile, e alla fine ci baciano le mani» (a Laura Guardini).
• Arlecchino «è soprattutto un uomo sano. Come me». Nel settembre 2007, a dieci anni dalla morte di Strehler, l’ha portato alla Scala, che per la prima volta nella sua storia ha alzato il sipario su uno spettacolo di prosa.
• Nel 2010 entrò nel Guinness dei primati: la più lunga performance di teatro nello stesso ruolo.
• «Per il fiato e per sostenere il cuore, un mese prima dello spettacolo comincio a salire e scendere le scale: sei piani, non uno di meno, e fatti sempre con lo stesso ritmo, tam tam tam. Tre volte al giorno. Quando non faccio lo spettacolo, riduco a una sola volta» (da un’intervista di Anna Bandettini). Tra una scena e l’altra dorme su una brandina sistemata dietro le quinte: «Due minuti, un minuto, a seconda delle mie battute (...) Puntuale mi sveglio. Quei sonnellini servono per ricaricarmi. E comunque quando faccio Arlecchino devo dormire almeno nove ore per notte, altrimenti il giorno dopo mi sento uno smidollato».
• «Uomo straordinario» (Paolo Poli).
• «Con quell’aria da ragazzino che non vede l’ora di precipitarsi in scena per “giocare” (che in francese e in inglese, come è noto, sta per recitare), nella sua garbatezza così poco disposto alle spiegazioni ma felice di rispondere al pubblico. Schivo, quasi timido, modesto di una modestia propria di chi possiede il » (Laura Landolfi) [Fog 15/12/2012].
• «Quando si spengono le candele sul proscenio, però, il costume svapora, la voce si fa roca. Non confondere l’uomo con il personaggio, mai perdersi, “non sei, devi solo fingere e far credere”. Poca mistica, molta fatica e una zavorra dentro che tiene legati alle vecchie assi consumate. Pulcinella, Pantalone e Brighella sugli scaffali, tra modellini di velieri a velocità costante. C’è anche lui, una fascia di cuoio che graffiava la pelle del viso, “ora non più”. Arlecchino è solo una maschera. “Siamo ebanisti, abbiamo un legno da lavorare. Va bene Stanislavskij, l’immedesimazione, però dopo viene Brecht, lo straniamento, la coscienza della finzione per poter comunicare. C’è il testo, c’è la regia, noi interpretiamo. Un mestiere che solo in rari momenti diventa arte» (a Maria Serena Natali) [Cds 4/4/2010].
• Sposato con Bianca Maria, tre figli (di cui due da un precedente matrimonio). «Ero in Francia quando nacque la mia prima figlia. Il giorno dei funerali di mia madre non pensai di chiedere la sospensione dello spettacolo, andai in scena».