3 giugno 2012
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Biografia di Davide Serra
• Genova 1971. Finanziere. «Io sono stato considerato uno dei migliori analisti bancari in Europa e nel mondo». Amico e sostenitore di Matteo Renzi (già nella campagna elettorale del 2012): «La cosa che più mi ha colpito di Renzi è la concretezza. Ascolta, non è arrogante. Forse avrò un bias positivo perché è un mio coetaneo. Ma anche nell’incontro qui a Londra ha dimostrato di essere capace di ascoltare, senza fare lezioncine, ed essere concreto» (ad Angela Antetomaso) [Mfi 3/4/2014]. Tra le sue proposte: «Tagliare la spesa pubblica. Togliere le province, accorpare i comuni piccoli. E aumentare le aliquote sulle rendite finanziarie, dal 20 fino al 30-35 per cento» (a Stefano Feltri) [Fat 26/6/2013].
• Cresciuto nei dintorni di Milano, liceo al Gonzaga, laureato con 110 e lode alla Bocconi, già capo della ricerca globale sulla finanza di Morgan Stanley, nel 2007 ha fondato a Londra con il francese Eric Halet un “hedge fund” (fondo speculativo): «Lo chiama Algebris Investments e lo rifornisce di munizioni per 2,5 miliardi di dollari, raccolti da un piccolo gruppo di grandi investitori istituzionali, e comincia a puntare fiches sul tappeto. Una delle più pesanti è quella che vale lo 0,5 per cento delle Generali. Nell’ottobre 2007, Serra esce allo scoperto, criticando aspramente i vertici delle Generali, a cominciare dal presidente Antoine Bernheim, 83 anni. Come ritengono in tanti in Piazza degli Affari e dintorni, la compagnia triestina è una fuoriserie che viaggia alla velocità di crociera. Guadagna bene, ma potrebbe fare faville. Serra, dicendolo apertamente e chiedendo di cambiare registro, diviene il portabandiera italiano della rivoluzione dei fondi attivisti, quelli che il naso nei progetti delle società in cui sono investiti ce lo vogliono mettere assolutamente, anche a costo di trascinare in tribunale la controparte. Il governo societario delle Generali non cambia, ma Algebris non molla l’osso. Venerdì 11 aprile, con la presa di posizione della Commissione di controllo sulla Borsa su un tema apparentemente ultratecnico, si verifica un evento altamente simbolico. La Consob dà ragione alle tesi di Serra: la lista per il collegio sindacale delle Generali presentata dalla Edizione Holding della famiglia Benetton, non può essere considerata indipendente, e i Benetton decidono di non votarla. La battaglia infuria, Serra gira le piazze finanziarie internazionali a caccia di società su cui investire e sbarca perfino sulla copertina del magazine del “Financial Times”, supplemento patinato della bibbia della finanza britannica. Sotto la foto del finanziere che si sistema il nodo della cravatta, il titolo è lo stesso del mitico album dei Clash, “London Calling”, col sottotitolo che recita: “Come il capitalismo anglosassone sfida la corporate Italy”. In Italia, a ogni mossa di Algebris scatta il riflesso condizionato e parte la gettonatissima e retorica domanda: “Ma chi c’è dietro Serra?”. In Inghilterra lo vedono come il grimaldello per scardinare le vecchie incrostazioni della finanza tricolore, zeppa di patti di sindacato e relazioni intrecciate. Le polemiche fioccano e gli affari vanno a gonfie vele: nel primo anno di attività, Algebris ha chiuso con un utile di oltre 12 milioni di euro» (Maurizio Maggi). Nel 2014 Algebris Investments ha aperto una sede anche in Italia, a Milano, con Alexander Lasagna presidente.
• «Sceso a Trieste d’estate per incontrare i manager delle Generali, tra le altre cose li “informò” che i loro immobili valevano 40 miliardi di euro (rispetto ai 20 ipotizzati – ndr) (...) Un 36enne impudente (già un’età oscena, per occuparsi di cose notevoli al di qua delle Alpi) è andato a gridare dentro quelle cattedrali, tra le altre cose, che possono valere il doppio. Gli è bastato inforcare le lenti modernissime del mercato...» (Andrea Greco).
• Nell’estate 2008 nuova offensiva contro i vertici di Generali e la loro strategia di investimento, considerata troppo incline agli interessi di Mediobanca e poco remunerativa per i soci: sotto tiro, in particolare, gli investimenti in Telco (principale azionista di Telecom Italia) e in Banca Carige e la scarsa informativa sulle partecipazioni in Rcs e Autogrill.
• «Aria da bravo ragazzo e gergo anglofinanziario di rigore (il rialzo è “upside”, lo stipendio la “compensation”, si punta su un titolo perché c’è “high conviction”), nessuna indulgenza sartoriale se non i gemelli sulla camicia azzurra, al posto del Rolex d’ordinanza un Polar di plastica con cardiofrequenzimetro (“lo uso per correre, del resto corro sempre”), un passato da giocatore di pallavolo in A2 (“là alzavo la palla perché ero troppo basso per schiacciare, ora con Algebris, scherza, ho le dimensioni adatte per fare le schiacciate”)» (Francesco Manacorda).
• Non legge quotidiani italiani: «L’Italia rappresenta solo il 2 per cento del Pil mondiale. Leggo per lavoro, quindi preferisco Financial Times, Les Echos, New York Times. E le agenzie Bloomberg e Reuters. Sui vostri quotidiani ci sono troppe pagine di politica. Vuoto pneumatico. Di italiano guardo solo i bollettini della Banca d’Italia e della Ragioneria» [Feltri cit.].
• Sposato con Anna Barasi, quattro figli. Vive a Londra da circa vent’anni.