3 giugno 2012
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Biografia di Achille Serra
• Roma 16 ottobre 1941. Poliziotto. Politico. Nel 1996 eletto alla Camera con Forza Italia (dimissioni nel 1998), nel 2008 al Senato col Pd. Il 30 settembre 2010 passa all’Udc di cui diventa vicepresidente (7 luglio 2011-14 marzo 2013).
• Laureato in Giurisprudenza, nel 1968 entrò in polizia. A Milano fino al 1990, fu dirigente della Squadra mobile, capo della Digos e della Criminalpol. Nominato questore nel 1991, fu a Sondrio, a Cremona, nel 1993 a Milano; nel 1994 vicecapo vicario della Polizia, poi prefetto a Palermo (1995-1996) e, dopo la parentesi di Montecitorio, ad Ancona (1998-1999), Firenze (1999-2003), Roma (2003-2007), infine alto commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione e di altre forme di illecito nella pubblica amministrazione (2007): «A occhio, mi sembra l’incarico più difficile della vita».
• Nel 2006 pubblicò l’autobiografia: Poliziotto senza pistola (Bompiani).
• «Prima sbirro di assoluto talento e poi prefetto di rango, una storia lunga, rischiosa e affascinante: ha i capelli grigi e gli abiti tagliati come si deve. Anche se il suo sarto ha sempre avuto il vantaggio di non dover combattere con il rigonfiamento della pistola. Milano, dove cominciò la carriera del giovane investigatore dai modi gentili e dal ragionamento rapido. “Era il 1968...”. Primo incarico: dirigente del reparto Volanti. Poi, su: squadra Mobile, Digos, Criminalpol. Sempre senza mai sparare un solo proiettile. I suoi erano colpi di pura astuzia. Nel suo ufficio di via Fatebenefratelli, in quei dolorosi anni Settanta, sfilarono i grandi personaggi della malavita milanese. Da Francesco Turatello ad Angiolino Epaminonda, detto il “Tebano”, per finire a Renato Vallanzasca, pericolo pubblico numero 1. Con il quale Serra ingaggiò inseguimenti strepitosi, che gli valsero – ma questa è storia della cronaca nera – i complimenti del bandito che uccideva (gli agenti) con la stessa naturalezza con cui faceva innamorare (le donne). Successe nell’estate dell’87, Vallanzasca era riuscito in una delle sue fughe. Dalla latitanza chiamò, per l’ennesima sfida, Radio Popolare. Gli chiesero: “Conti di restare libero?”. E lui: “Ci spero. E poi ho una fortuna: di Serra ce n’è uno solo”. L’episodio che però rese davvero celebre Serra è un altro: 9 settembre 1975, sempre a Milano, piazza Insubria. Due rapinatori sono asserragliati nella filiale del Credito Commerciale. Hanno preso coca, sono nervosi, fuori la folla si ingrossa. Finché, appunto, non arriva lui. Il poliziotto con il nome da eroe. Che entra, disarmato, negli uffici della banca. Offrendosi, prima, come ostaggio: e poi convincendo i due banditi alla resa. “Ne sono successe altre...”. Fu promosso questore, prima a Sondrio, dopo a Cremona. Quindi, nel 1992, gli venne affidata la direzione dello Sco. Fu l’allora capo della polizia, Vincenzo Parisi – “il capo più grande di tutti” – a proporlo per l’incarico. Fioccarono altri titoli di giornale. Prima per l’operazione antidroga “Green Ice”, che sferrò un colpo durissimo al cartello colombiano di Medellin. Poi per l’arresto di tre capi mafia: Vernengo, Madonia e Santapaola. Anni di inchieste, un errore: quel ragazzo, Spilotros, indicato come il mostro di Foligno, e che si rivelò invece un mitomane» (Fabrizio Roncone).
• Fu particolarmente apprezzato il modo in cui gestì, da prefetto di Firenze, il Social Forum del novembre 2002, un appuntamento a rischio, dopo le violenze di Genova durante il G8 dell’anno prima, che si concluse senza alcuno scontro di piazza.
• Della prima avventura in politica, in Parlamento con Forza Italia, disse: «Durò due anni, ma non era il mio mondo». Dieci anni dopo ci ha ripensato, scegliendo l’altro schieramento: candidato (e poi eletto) nelle liste del Pd alle politiche del 2008, è stato accusato da alcuni di trasformismo. «Ci sono personaggi che non solo cadono sempre in piedi, ma dall’impatto escono con le scarpe perfettamente nettate: è il caso di Achille Serra. Il suo epilogo di carriera consente semmai di stagliarlo finalmente come archetipo italiano di norma sottovalutato, quello né anonimo né sovraesposto, né scialbo né mai davvero protagonista, un profilo quattro stagioni disegnato nelle gallerie del vento politico. Comunque un italiano vero, un innovatore» (Filippo Facci).
• Sposato, due figli.