3 giugno 2012
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Biografia di Vittorio Sermonti
• Roma 26 settembre 1929. Scrittore. Allievo di Natalino Sapegno, ha insegnato, tra l’altro, Tecnica del verso teatrale all’Accademia nazionale d’arte drammatica. Il suo primo romanzo, autobiografico, è del 1960: Giorni travestiti da giorni. Poi, tra gli altri: Novella storica, Il tempo tra cane e lupo, Dov’è la vittoria. Collabora con vari giornali e con la Rai, per la quale ha curato un fortunatissimo ciclo di letture e commenti della Divina Commedia, raccolti in tre volumi pubblicati tra l’88 e il ’93, poi da Rizzoli nel 2001.
• «Mio padre era un avvocato. Credo che abbia avuto un peso nella mia vita perché mi leggeva Dante quando avevo dieci anni. Il mio padrino di nascita era stato Vittorio Emanuele Orlando. Mio nonno, anche lui avvocato, fu il primo nel processo Notarbartolo a Palermo a pronunciare la parola “mafia”. Tanto è vero che la famiglia fu costretta a trasferirsi a Roma. Consuocero di mio nonno era Beneduce. E delle volte che capitavamo a casa sua, ricordo delle partite di poker alle quali, in un paio di occasioni, partecipò Enrico Cuccia, genero di Beneduce» [ad Antonio Gnoli, Rep 7/4/2013].
• Le letture della Divina Commedia, eseguite ovunque e instancabilmente, alla radio, in teatro, nelle piazze, gli hanno dato una certa popolarità: «La passione dantesca di Sermonti confina con la dedizione totale, con il diletto di una vita. La milizia comincia a undici anni nel 1940, mentre il mondo si oscura, e prosegue come un impetuoso fiume sotterraneo che non sgorga mai nell’accademia e che a un certo punto fluisce negli argini che gli offre Gianfranco Contini, suo consulente per un’impresa mai tentata nell’era della comunicazione di massa: leggere, appunto, tutto Dante alla radio» (Francesco Erbani).
• «La mia lettura è diversa da quella di un attore. Un attore interpreta anche i personaggi che Dante incontra. Per esempio Ulisse nel XXVI dell’Inferno. Io invece interpreto solo Dante. È lui il solo personaggio e la mia voce deve compitare ciò che quel personaggio ricorda». Critico con Benigni: «Il suo modo di attualizzare Dante è divertente ma non si possono dire spiritosaggini e cose un po’ ovvie per adescare il pubblico. Questo non è un buon servizio fatto al Poeta e nemmeno agli ascoltatori». Però ha detto anche che «la Divina Commedia corrisponde esattamente ai mezzi di Roberto, che nel leggerla non tiene a freno l’emotività, trema, suda, gli vengono le lacrime agli occhi (...) Carmelo Bene era strepitosamente bravo. Benigni non dà quell’impressione: riesce a cavar fuori da chi l’ascolta un po’ di grandezza, un rispetto di sé» (a Paolo Di Stefano).
• Nel 2007 ha pubblicato una sua traduzione dell’Eneide (Rizzoli) di cui nell’autunno 2006 aveva preso a dare pubblica lettura. Sempre per Rizzoli, nel 2009 ha curato un volume di saggistica: Il vizio di leggere e nel 2014 la traduzione delle Metamorfosi di Ovidio.
• Da Samaritana Rattazzi (vedi) ha avuto i figli Pietro (vedi) e Anna. Secondo matrimonio con Ludovica Ripa di Meana, giornalista e scrittrice: «Siamo insieme da trent’anni e il nostro rapporto è stato di gratitudine e ammirazione reciproca. Vede, non viviamo in una casa straordinaria. Però il sole sorge in quella direzione della finestra dove siamo in questo momento. E si vedono cose incredibili: strappi neri, argento, una luce che improvvisamente diventa arancione e poi sbianca. E quando ci sono le nuvole sembrano fantastiche e meglio dipinte che dal Tiepolo. Ancora ci meravigliamo. Mi capita a volte di riflettere su quel detto di Heidegger: “Denken ist danken”, pensare è ringraziare. È così. Tra di noi ci ringraziamo» [Gnoli cit.].
• Poco attratto dagli scrittori italiani: «Ho avuto rapporti ottimi con grandi lettori, con i dantisti, con i musicisti e con la gente comune. Meno con gli scrittori, una categoria che mi annoia terribilmente. A parte Gadda, ho ammirato il rigore di Calvino e la moralità di Pasolini. Il quale scrisse cose notevolissime, ma non certo nei suoi romanzi» [ibid].
• Juventino. Una passione per Platini: «L’ho ammirato molto. Portai mio figlio in pellegrinaggio alla sua casa natale. Voleva mirare anche lui alla saracinesca contro cui Platini aveva tirato i primi calci. Fece gol. Anche perché un portiere non c’era...». Al calcio ha dedicato un saggio-epopea: Dov’è la vittoria? Cronaca delle cronache dei Mondiali di Spagna 1982 (Bompiani 2004).