3 giugno 2012
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Biografia di Mario Segni
• (Mariotto) Sassari 16 maggio 1939. Politico. Figlio di Antonio (1891-1972) che dal 1962 al 1964 fu presidente della Repubblica (mandato interrotto per un ictus).
• Laurea in Giurisprudenza, docente di Diritto civile all’Università di Sassari. Eletto alla Camera nel 1976, 1979, 1983, 1987, 1992, 1994 (Dc, Patto per l’Italia). Sottosegretario all’Agricoltura nel Craxi II e nel Fanfani VI (1986-1987). Ha inventato il referendum – teoricamente solo abrogativo – come arma di vera riforma legislativa: chiedendo agli elettori di cancellare certe parole dalle leggi in vigore se ne rovescia il significato. Promosse con questo spirito i referendum elettorali sulla preferenza unica (9 giugno 1991), sul sistema uninominale (18 aprile 1993) e da ultimo, insieme a Giovanni Guzzetta (vedi), i tre quesiti per l’abolizione di alcune parti della legge elettorale ribattezzata “porcellum”, in programma nella prima metà del 2009. Alla vigilia delle politiche del 2008 se la prese in particolare con «gli effetti perversi di uno dei peggiori difetti del sistema, quello delle liste bloccate (...) Per la seconda volta avremo un parlamento di nominati. I cittadini saranno di nuovo privati di ogni possibilità di scelta sui candidati».
• «Creammo il terreno psicologico in cui Antonio Di Pietro edificò le fondamenta dell’inchiesta Mani pulite. Oggi il ruolo dei magistrati milanesi viene gonfiato artificiosamente: dagli sconfitti di allora e da Silvio Berlusconi. I primi raccontano una bella favola, quella dell’Italia felice pugnalata a morte dai giudici malvagi; il secondo parla di toghe rosse per difendersi dalle accuse che lo riguardano e aggiunge una tesi nuova: che i partiti di centro siano stati allora cancellati da un complotto della sinistra, invece che – come fu – dal crollo del Muro di Berlino. E allora vale la pena ricordare quale fosse la situazione economica all’inizio degli anni Novanta. Eravamo fuori dall’Europa, quando Andreotti – nel 1991 – firmò il trattato di Maastricht. Il nostro debito pubblico era immenso e ingovernabile, a causa della instabilità, del clientelismo e della corruzione. La mafia era aggressiva e forte. Il malgoverno era intollerabile. Una volta anche Ciriaco De Mita disse che io ero il burattinaio di Cuccia. Sinceramente, non l’ho mai conosciuto e mi dispiace tanto. La verità storica è che ci appoggiarono la Confindustria di Luigi Abete, il mondo imprenditoriale, la grande stampa. In modo trasparente e pubblico, non ci fu alcun complotto segreto. E ci aiutò molto Bettino Craxi. Quando lui, alla vigilia del referendum sulla preferenza unica del 9 giugno 1991, disse agli italiani: andate al mare, con la sua arroganza ci portò alla vittoria».
• Nel maggio del 1992 Giuliano Amato formò il suo governo con i partiti tradizionali e una novità: «Il comitato 9 giugno, formato da 150 parlamentari e guidato da Augusto Barbera, Enzo Bianco e da me, incontra il presidente incaricato e pone come condizioni per il voto di fiducia la legge per l’elezione diretta dei sindaci e la neutralità del governo sul referendum successivo, quello che introdusse il sistema dei collegi uninominali» (celebrato nell’aprile 1993, conquistò l’83 per cento dei consensi). Nell’autunno 1993, il centrosinistra guidato da Achille Occhetto conquistò le grandi città, Segni lasciò la Dc e incontrò Berlusconi. «Eravamo in casa di Gianni e Maddalena Letta, alla Camilluccia, a cento metri da casa mia. Berlusconi fu molto chiaro, esordì dicendo: “La situazione è disastrosa, la sinistra straripa e noi moderati dobbiamo fare qualcosa. Se tu scendi in campo, io ti aiuto con ogni mezzo. Per la prima volta ho i conti in rosso e il governo Ciampi mi sta uccidendo. Non posso accettare che le mie aziende vengano travolte... Martinazzoli già mi ha detto di no, se non ti muovi tu e se non lo farà nessuno, ci penserò io”. Fu un incontro cordiale e divertente, non mangiammo la crostata, naturalmente respinsi l’offerta. E ancora oggi non sono pentito. Forse sarei diventato presidente del Consiglio, ma so bene che un’alleanza con Silvio non consente alcuna autonomia. La sua mentalità non prevede rapporti alla pari. Ringrazio Dio di avere detto no. Cercai di impedirgli di scendere in campo, arrivai persino al patto con la Lega, che lo rinnegò dopo 24 ore, scegliendo Berlusconi».
• Senza successo anche l’alleanza con Fini, tentata alle europee del 1999 per dar vita all’“Elefantino” (in onore dei repubblicani americani).
• «Mariotto Segni, l’eroe limpido, ingenuo, malinconico, caparbio. Poi, come si vedrà, anche sfortunato ed errabondo, tra il Corel e l’Elefantino, una disquisizione sullo scorporo e un ricorso di Peppino Calderisi. Perché Segni, pure uscito da una grande dinastia democristiana, con i referendum elettorali uccide la Dc, ma non riesce a sostituirla; rianima la società civile, ma non la intercetta. Vince, insomma, ma perde» (Filippo Ceccarelli).
• Nel 2006 scese in campo al fianco dei coniugi Giusto, di Cogoleto (Genova), nella vicenda della bambina bielorussa che era stata loro affidata e per la quale il Tribunale dei minori di Genova aveva poi deciso il rimpatrio su richiesta delle autorità di Minsk. «Un politico che non si commuova, non si arrabbi e non si lasci trasportare dalle emozioni è meglio che se ne torni a casa» (a Paolo Conti).
• Sposato con Victoria Pons, tre figlie.