3 giugno 2012
Tags : Ferdinando Scianna
Biografia di Ferdinando Scianna
• Bagheria (Palermo) 4 luglio 1943. Fotografo. «Io guardo in bianco e nero, penso in bianco e nero. Il sole mi interessa soltanto perché fa ombra».
• Sognava di diventare fotografo fin da bambino e lo confessò al padre Baldassarre che gli chiese «E che mestiere è?».
• «Comincia con le feste di paese. E qui s’innesta uno dei suoi incontri “capitali”, per usare una definizione di Carlo Bo. Quello con Leonardo Sciascia, scrittore generosissimo soprattutto con i giovani di talento. È appena ventenne, Ferdinando, quando, nel 1963, incontra lo scrittore di Racalmuto, che di anni ne ha 42. Sciascia si accorge che Ferdinando ha i suoi stessi interessi, la sua stessa curiosità, solo che, tecnicamente, li esprime con altri mezzi. Decide, così, di accompagnare con un suo testo il primo libro fotografico di Scianna: Feste religiose in Sicilia. Uscito nel 1965, vince il premio Nadar. Processioni, bambine agghindate come la Madonna, incappucciati che sfilano in paese durante la Settimana santa, ma anche acrobazie di ragazzi che si tengono in equilibrio sui cigli delle strade, vecchie dietro le gelosie, bambini, volti di anziani con rughe scavate dal sole, donne delle masserie, paesaggi, ecc. Cui si aggiungono ritratti di artisti, scrittori, poeti, attrici e modelle. La Sicilia, s’è detto. Ma anche le Ande boliviane, la Spagna, l’Africa, l’India, l’America. Non si dimentichi che Scianna, approdato a Milano nel 1968, gira il mondo per L’Europeo: collaboratore, fotoreporter; infine, corrispondente per un decennio da Parigi. Proprio qui avviene l’altro “incontro capitale”: quello con Henri Cartier-Bresson, che lo coopta nell’agenzia Magnum Photos, di cui diverrà socio nell’82» (Sebastiano Grasso).
• «Il mio amico Ferdinando Scianna, che è uno dei migliori fotografi del mondo, mi ha raccontato di una delle sue tante passeggiate per Parigi con Leonardo Sciascia, di cui Ferdinando fu al tempo stesso il discepolo prediletto e l’amico giusto e senza compiacenza, dunque ideale compagno di passeggiate, cioè di filosofia peripatetica perché di dialoghi e passeggiate è fatto il pensiero occidentale. Ebbene, un pomeriggio i due si trovarono a passeggiare per la rue Saint-Denis, in quel quartiere che è al tempo stesso bazar turistico e area a luci rosse. E come appunto nell’era classica capitava al filosofo peripatetico di guardare il cielo e di finire dentro una pozzanghera, così a Leonardo e Ferdinando capitò di finire davanti all’ingresso di un teatro-bordello. Si guardarono in faccia e Ferdinando chiese: “Trasemu?”. E Sciascia rispose: “Trasemu”. I due dunque entrarono, pagarono il biglietto e si sedettero a guardare lo spettacolo senza scambiare una parola. Dieci minuti dopo tornarono a guardarsi in faccia e Ferdinando chiese: “Niscemu?”. E Sciascia rispose: “Niscemu”. Ripresero la loro passeggiata, ancora senza parlare, entrambi sprofondati in una sorta di malinconia che alla fine Sciascia interruppe dicendo ferocemente all’amico: “Il vero spettacolo osceno là dentro eravamo noi”» (Francesco Merlo).
• Nel 1993 ha dedicato il libro di foto Marpessa alla top model Linda Evangelista.
• Celebri i suoi ritratti raccolti nel volume I siciliani (Einaudi 1977) con prefazione di Sciascia. Tutti in bianco e nero.
• «Il bianco e nero è la tradizione della fotografia. Oggi lo si usa per una scelta linguistica più che per un atteggiamento di superiorità estetica. Però il colore è paradossalmente più arbitrario. La fotografia a colori è fortemente condizionata da una scelta industriale. I cieli delle vecchie diapositive che si usavano sino a poco tempo fa non erano i cieli che sceglievano i fotografi, erano i blu che le grandi multinazionali della fotografia imponevano con la qualità di certe pellicole su altre. I fotografi scattavano in funzione di quelle pellicole creando una vera estetica della sottoesposizione, deformando il reale. Alla fine quelle fotografie erano meno realistiche di qualsiasi fotografia in bianco e nero» (a Gianluigi Colin).
• «Ho fatto più di un milione di fotografie. Ma non sei mai responsabile della foto che fai. La materia prima è il caso, come per il falegname è il legno. Cartier-Bresson diceva: “fotografare è organizzare in una forma l’istante”. Io aggiungo che il fotografo non scrive con la luce, ma legge: è il mondo che scrive per i nostri occhi. In oltre 40 anni di lavoro mi han mandato dappertutto: al Festival di Sanremo, nelle alluvioni più disastrose, tra le modelle più belle. Per prendere l’immagine giusta che è nel reale, ci vuole freschezza di risposta, bisogna accorgersi che si sta componendo davanti a noi» (ad Antonio Bozzo). (a cura di Lauretta Colonnelli).