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 2012  giugno 03 Domenica calendario

Biografia di Francesco Schiavone

• Casal di Principe (Caserta) 3 marzo 1954. Camorrista, della confederazione dei Casalesi (prende il nome da Casal di Principe), che riunisce in sé in rapporto di autonomia federativa tutte le famiglie camorristiche del Casertano.
• Detto “Sandokan” per la sua somiglianza con Kabir Bedi. Il procuratore aggiunto Federico Cafiero de Raho: «È un soprannome che ha sempre rifiutato. Ricordo che in udienza, una volta, s’impuntò, e sbraitando disse che all’anagrafe lui era solo Schiavone Francesco di Nicola» (Matteo Scanni, Ruben H. Oliva).
• Sposato con Giuseppina Nappa, sei figli (in ordine di età, Nicola, Carmine, Ivanhoe, Walter, e due gemelline, nate durante la sua latitanza).
• È detenuto al 41 bis dal giorno del suo arresto, l’11 luglio 1998. Per rigettare il suo reclamo contro il decreto ministeriale che prorogava il regime del carcere duro nei suoi confronti, il 14 dicembre 2006 ai giudici è bastato richiamare il «curriculum giudiziario del soggetto» e la pendenza a suo carico di ulteriori procedimenti per reati connessi all’associazione camorristica.
• Condannato a due ergastoli: il 30 giugno 2006, in secondo grado, per concorso nell’omicidio premeditato di Saverio Ianniello, del reato di tentato omicidio in danno di Sahli Mongi e dei reati di detenzione e porto illegali di armi, fatti commessi in Falciano del Massico il 17 aprile 1983 (ma il 17 maggio 2007 la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza e rinviato gli atti per un nuovo giudizio). Da aggiungersi ai 6 anni e 6 mesi di reclusione inflitti in via definitiva il 16 aprile 2004 per porto e detenzione illegali di armi e munizioni comuni e da guerra (fra cui due fucili mitragliatori del tipo Kalashnikov Akm70). Tra le ordinanze di custodia cautelare notificate in carcere, il 17 marzo 2004, per estorsione ai danni del gruppo Cirio, «avvalendosi della forza di intimidazione promanante dall’appartenenza al clan dei casalesi, imponendo la distribuzione di tale prodotto ed eliminando qualsiasi tipo di concorrenza».
• Si fa conoscere per la vocazione criminale fin da ragazzo (a diciott’anni finisce in galera per detenzione e porto abusivo di armi da fuoco). Arruolato nel clan di Antonio Bardellino (affiliato di Cosa Nostra, legato a Tano Badalamenti e Tommaso Buscetta, e sopravvissuto agli agguati dei corleonesi che nel frattempo avevano spazzato il potere dei primi), per la fedeltà e il coraggio dimostrati viene ingaggiato nella scorta del narcotrafficante Umberto Ammaturo. Nell’81 diventa affiliato a tutti gli effetti. Promosso responsabile militare, matura l’ambizione di salire al vertice, e fa il doppiogiochista per sostituirsi al capostipite, Antonio Bardellino. Per far questo accusa Mimì Iovine, fratello di Mario (uno dei boss dei casalesi) di essere confidente dei carabinieri, provocando la sua uccisione per ordine di Bardellino, e scatenando la vendetta di Mario, che con la scusa di un incontro di affari va a casa del medesimo Bardellino, in Brasile, e gli sfonda il cranio con una cazzuola (anno 1988, il cadavere non fu mai trovato, da qui la leggenda che fosse ancora vivo a godersi le sue ricchezze in un’isola sudamericana).
• Fatto fuori Bardellino, invita a un summit suo nipote ed erede sul territorio, Paride Salzillo, e lo strozza, mentre due affiliati gli tengono gambe e braccia (lo strangolamento, simbolo di successione al trono dal 1345, quando Andrea d’Ungheria fu strangolato ad Aversa in una congiura organizzata da sua moglie Giovanna I e dai nobili napoletani comandati da Carlo Durazzo che ambiva al trono napoletano). Fu così che Sandokan diventò capo del clan (col fratello Walter a coordinare l’aspetto militare, il cugino Carmine quello economico e finanziario, il cugino Francesco sindaco di Casal di Principe e il cugino Nicola assessore alle Finanze) (Roberto Saviano).
La guerra La confederazione si spacca in due: le famiglie vicine a Sandokan-Iovine (con Francesco Bidognetti come alleato) e quelle vicine a Vincenzo De Falco, detto ‘o Fuggiasco. Il 13 dicembre 1990 Sandokan convoca una riunione per eliminare Vincenzo De Falco, che non si presenta, avendo fiutato l’imboscata. Irrompono invece i carabinieri, che arrestano Sandokan e Bidognetti con l’accusa di detenzione di armi e associazione camorristica (blitz di Santa Lucia). La prima Sezione penale della Cassazione presieduta da Corrado Carnevale annulla il provvedimento di carcerazione in ordine all’accusa di associazione camorristica, e nel gennaio del 92 la Corte d’Appello assolve entrambi anche per l’imputazione residua (dando credito ai gregari presenti alla riunione che si sono accollati la responsabilità della detenzione delle armi, scagionando i capi). Sospettato di avere fatto la soffiata ai carabinieri, il De Falco viene ucciso in macchina crivellato di colpi il 2 febbraio 1991 (la polizia lo trova accasciato su se stesso con lo stereo a palla e una cassetta di Modugno che ancora girava), e vendicato il 6 marzo successivo con l’uccisione di Mario Iovine a Cascais, in Portogallo (crivellato di colpi in una cabina telefonica).
• Morto Mario Iovine, Sandokan diventa leader assoluto, consolidando il suo potere nei quattro anni successivi di guerra contro le famiglie avversarie, che alla fine accettano l’alleanza. Scarcerato nel 92 dopo l’assoluzione, Sandokan rientra in carcere ad aprile per scontare una vecchia condanna, ma ottenuto uno sconto di pena nell’ottobre del 93, torna libero, salva la sottoposizione a un provvedimento di sorveglianza speciale (a cui si sottrae non presentandosi alla convocazione dei carabinieri).
• Sandokan ha trasformato la camorra casalese «in un’impresa polivalente» (Saviano). Accumula capitali con le estorsioni, col risultato di ottenere credito agevolato e sbaragliare la concorrenza grazie ai prezzi bassi (oltre alle intimidazioni). Da un’indagine della Questura di Caserta risulta che fosse uno dei più importanti soci di Cirio e Parmalat in Campania. In tutto il Casertano, in parte del Napoletano, delle Marche, dell’Abruzzo e della Lucania, grazie all’alleanza stretta con la camorra casalese e alle tangenti pagate dalle aziende ai clan per mantenere la preminenza, il latte distribuito dalla Cirio e poi dalla Parmalat conquista il 90 per cento del mercato.
Il bunker Colpito da ordinanza cautelare il 5 dicembre 1995 (inchiesta “Spartacus”), viene arrestato l’11 luglio 1998 nel bunker che si era costruito sotto la sua enorme villa al centro di Casal di Principe, un appartamento di cento metri quadrati, senza porte e finestre, con cunicoli e grotte naturali come vie di fuga. Illuminato da luci al neon e con pavimenti in maiolica bianca, munito di videocitofono, il bunker ha due accessi, non identificabili dall’esterno (le porte si aprivano facendo scorrere pareti di cemento armato sui binari). In caso di pericolo di perquisizioni il boss, attraverso una botola nascosta in sala da pranzo, raggiungeva una serie di cunicoli (undici), collegati tra loro, che rappresentavano l’ultimo rifugio, con alcune tende da campo montate. Per arrestarlo la Dia ha fatto appostamenti per un anno e sette mesi, e per accedere al nascondiglio ha sfondato il muro con una sega elettrica. Nell’appartamento bunker due frigoriferi con scorte alimentari per sei persone per una dozzina di giorni, una parete con sofisticato impianto stereo e videoregistratore, e bagno con vasca idromassaggio. Durante la latitanza ha avuto due figli dalla moglie, Giuseppina Nappa.
• Era finito tra i milletrecento inquisiti dell’inchiesta avviata dalla Dda nel 1993 (partita dalle dichiarazioni del cugino Carmine), sfociata nel maxiprocesso “Spartacus”, celebrato a Santa Maria Capua Vetere (presidiato per l’occasione da duecento tra poliziotti e carabinieri), durato sette anni e ventuno giorni, per seicentoventisei udienze complessive (cinquecento testimoni, ventiquattro collaboratori di giustizia, di cui sei imputati). Il giorno della pronuncia della sentenza, 15 settembre 2005, Sandokan, in videoconferenza, detenuto nel carcere di Viterbo, chiede di parlare alla fine della lettura del dispositivo di trenta pagine (per un totale di ventuno ergastoli e altri settecentocinquanta anni di carcere inflitti), per ribadire la sua tesi difensiva (essere un imprenditore di successo, invidiato da magistrati marxisti), ma il presidente Catello Marano gli toglie la parola. Nel corso del processo sono sequestrati 199 fabbricati, 52 terreni, 14 società, 12 autovetture, 3 imbarcazioni. Sandokan, condannato all’ergastolo con isolamento diurno per due anni, si vedrà confermare la sentenza fino in Cassazione (15 gennaio 2010), dove i giudici sintetizzano così la sua carriera criminale: «prima gregario del Bardellino Antonio, poi elimina lui ed il nipote, recluta giovani adepti, investe i ricavi illeciti, elimina poi l’area dissidente facente capo al De Falco ed ai suoi, diventa capo assoluto (anche perché il Bidognetti viene arrestato nel 1993), diventa latitante fino all’arresto intervenuto nel Luglio 1998».
• Tra i fatti accertati nel processo l’illecita aggiudicazione di appalti pubblici da parte di imprese del clan, perfino per la costruzione del carcere di Santa Maria Capua Vetere. «La prima cosa che si faceva era sapere il nome dell’impresa che doveva eseguire i lavori. Poi chiaramente questa persona veniva chiamata, si chiudeva il lavoro e i soldi che doveva dare all’organizzazione e in più dicevamo dove rivolgersi nella zona per prendere il cemento» (dalla testimonianza al processo di un collaboratore di giustizia).
• Condannato insieme all’altro capo del clan, Domenico Bidognetti, invia una lettera a un quotidiano locale, per smentire un altro quotidiano locale, su cui era uscita la notizia che lo stesso Bidognetti aveva collaborato coi carabinieri rivelando la sua latitanza. La notizia avrebbe fatto scoppiare un’altra faida, invece Sandokan nella lettera, pubblicata il 21 settembre 2005, imputa la soffiata a Carmine Schiavone, e dichiara che non rinnoverà più l’abbonamento al quotidiano che ha dato l’informazione falsa, e che così faranno in molti (infatti da decine di carceri italiane arrivano le disdette di abbonamento al giornale e richieste di abbonamento al quotidiano a cui il boss aveva indirizzato la lettera).
Pranzo di nozze Il 5 giugno 2008 era in corso il pranzo di nozze del figlio Carmine (in un albergo a cinque stelle di Viesti con vista mozzafiato sulla Costiera Amalfitana, costo 175 euro a persona), quando hanno fatto irruzione settanta poliziotti diretti dal capo della Squadra Mobile di Caserta per identificare gli ospiti, caso mai ci fosse in mezzo qualche latitante e comunque per aggiornare l’elenco degli alleati del clan. Va detto che lo stesso giorno si stava svolgendo il funerale di Michele Orsi, 47 anni, dirigente della Eco4 S.p.a. e collaboratore di giustizia, ucciso quattro giorni prima a colpi di pistola in piazza Dante a Casal di Principe, che proprio quel giovedì 5 giugno avrebbe dovuto testimoniare nel processo sulle tangenti pagate al clan dei Casalesi e al clan La Torre di Mondragone dai soci privati della Eco4, che gestiva in appalto lo smaltimento dei rifiuti del basso Casertano.
• Affari Fatturato del clan dei casalesi stimato dalla Dda di Napoli nel 2008: 30 miliardi di euro (la sola famiglia degli Schiavone aveva subito nel 1996 e nel 1997 il sequestro di beni per 450 e 515 miliardi di lire).
• Come il cugino omonimo, il 27 ottobre 2010 condannato in via definitiva all’ergastolo per il duplice omicidio di Giuseppe De Falco e della sua amante Caterina Mancini (in Villa Literno, il 5 marzo 1992).
• Tra le sue passioni la storia, in particolare il Regno delle due Sicilie (millanta avi tra i funzionari dello Stato borbonico) e Napoleone Bonaparte, e la letteratura epica (Omero, il ciclo di Re Artù). Romanzo storico prediletto Ivanhoe, di Walter Scott (nome scelto per battezzare uno dei suoi figli). Trascorse la latitanza ad approfondire i suoi interessi letterari e a dipingere icone religiose e ritratti di Bonaparte e Mussolini. In alcune botteghe di Caserta si vendono ancora rarissimi dipinti eseguiti da Schiavone, che nel ritrarre Gesù Cristo riproduceva i tratti del proprio viso.
• Il pentito Antonio Iovine (vedi), ha spiegato perché Sandokan all’improvviso revocò il suo difensore Santonastaso: l’avvocato si era permesso in aula, durante un’udienza, di appoggiare le proprie mani sulle spalle, rispettivamente di sua moglie e di sua madre. «Io conosco quando si innervosisce Schiavone, quindi lo guardai e me ne accorsi e... gli era venuto “l’ingrippo”».
• Intanto è finito al 41 bis anche il figlio Nicola, definito dalla DDA di Napoli «boss di seconda generazione che capitalizza al massimo il background paterno, lo affina ed applica un nuovo metodo alla forza intimidatrice del clan, che inizia a imporsi attraverso l’uso sapiente dell’economia e della strumentalizzazione del mercato» (relazione DNA 2013). Si sarebbe dato da fare anche negli appalti. Parlando con il pentito Roberto Vargas, infatti, gli avrebbe detto: «Cosentino è cosa nostra» (dichiarazioni di Vargas al processo “Il principe e la scheda ballerina”, in corso a Santa Maria Capua Vetere, dove l’ex sottosegretario all’economia ed ex parlamentare Pdl Nicola Cosentino, è imputato per riciclaggio e corruzione, con l’aggravante di avere favorito il clan dei casalesi). (a cura di Paola Bellone).