3 giugno 2012
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Biografia di Mario Scaccia
• Roma 26 dicembre 1919 – Roma 26 gennaio 2011. Attore. Regista.
• Figlio di un pittore, nel 1948 si diplomò all’Accademia nazionale d’arte drammatica. «Sono salito sulla scena per la prima volta a 3-4 anni. Mia zia, filodrammatica, aveva bisogno di una bambina, e io avevo i capelli lunghi (...) Dopo la guerra ho debuttato da professionista nel 1946 con Nino Besozzi, Isa Pola, Franco Scandurra, e i due generici della compagnia eravamo Marcello Mastroianni e io. Vengo dal basso, ho fatto tutta la trafila» (da un’intervista di Luigi Vaccari).
• «Maestri? Intanto Pelosini, grande dicitore di versi all’Accademia, e sono cresciuto con Randone, Benassi, Tofano, Cimara... L’avvento della regia da noi arrivò tardi. La figura-guida fu Visconti, raffinato, capace di farti vedere un Delitto e castigo bellissimo senza Dostoevskij. A diffondere la qualità è stato Strehler».
• «Facevo nel 1968 Il prezzo di Arthur Miller diretto e anche interpretato da Raf Vallone che, a un tratto, doveva fumare. Ed era importante che lo facesse in quel momento. Ma si era dimenticato i cerini e vidi il terrore nei suoi occhi. Io, che non dovevo fumare, tirai fuori una scatola di fiammiferi: “Permette?”. E gli accesi la sigaretta. Alla fine mi disse: “Ma lei è un mostro”. “Non sono un mostro. Mi hanno insegnato che in scena può accadere tutto e quindi devo essere pronto a tutto”».
• «La mia vita è stata tutta un atto di generosità. Fino alla dissipazione. Nel mio lavoro, artisticamente. E come energie: non solo fisiche, anche spirituali. Ho dato agli altri il meglio di me. Gli attori veri, ma sono pochi, sono quasi tutti prodighi. Si risparmia chi non è un autentico attore: dosa le forze, calcola tutto. Io rispetto i compagni di scena, i giovani in particolare: cerco di favorirli, do la battuta... Ho dissipato anche tutti i miei guadagni; e ho guadagnato tanto. Non sono attaccato al denaro e alla roba. Ho vivo il sentimento della morte. A 22 anni, sottotenente di complemento di fanteria, dovevo morire in guerra. Quando gli americani sono sbarcati in Sicilia, a Gela, sono stato preso in pieno dallo spostamento d’aria di una granata e sbalzato lontano in una buca, dove sono rimasto aspettando la fine della battaglia. Mi sono salvato per miracolo. Questo episodio ha segnato un po’ la mia vita. Mi sono sentito un sopravvissuto: tutto quello che è venuto dopo, mi è stato regalato».
• Recitò con Franco Enriquez, Valeria Moriconi e Glauco Mauri nella Compagnia dei Quattro. «Mi ammalai di polmonite, mentre interpretavo Il rinoceronte di Eugène Jonesco. Avevo 39 di febbre e a San Remo il medico m’impose il ricovero in clinica. Mentre ero in convalescenza, i miei compagni mi mandarono il medico fiscale pensando che fossi tornato a Roma per girare un film. Mi sentii offeso nel profondo e in estate li abbandonai. Sei anni dopo, quando Mauri lasciò la compagnia, Enriquez mi richiamò: ”Verresti a farmi Shylock?”. ”Sì, non vi porto rancore”».
• «Tanto tempo fa me ne andai dal Teatro di Roma, perché in disaccordo col trattamento: ero diventato quasi un metalmeccanico. Una volta, in un Misura per misura con Vannucchi, arrivai a dire alle abbonate glaciali del giovedì santo “Battetemi le mani, stronze, e andate perché chiudono i sepolcri”. Il Teatro di Genova non volle più saperne di me. Sono docile, ma per il lavoro divento una belva. Ero adorato da Macario cui facevo da spalla, però quando protestai per gli orari di scena che adottava per sue strategie con le donne, non mi volle più bene».
• «Un critico rimproverò bonariamente all’attore di recitare la parte di Polonio “come se fosse lui il protagonista” del capolavoro di Shakespeare (Amleto, ndr). E Scaccia replicò con un telegramma tagliente e spiritoso: “Non sapevo che fosse Amleto il protagonista. Firmato Polonio”» (Rosaria Amato) [Rep 26/1/2011].
• «Il pubblico? Non esiste più. Batte le mani a tutto, indifferentemente. Quando il teatro era teatro, il contatto era umano. Al Burghteater di Vienna, Albertazzi e io in Amleto non avemmo alcun riscontro durante la recita, ma alla fine ci fu un applauso interminabile» (da un’intervista di Rodolfo Di Giammarco). «La specificità del teatro sta nel rapporto d’amore, animalesco, carnale, erotico, sensuale, vero, che si instaura fra il palcoscenico e il pubblico, e non sopporta contraccettivi. Senza, non c’è teatro. In passato, quando il teatro era vero, andavo a vedere Otello recitato da Renzo Ricci all’Argentina e la sera dopo Otello recitato da Gino Cervi all’Eliseo. Il pubblico si forma così: confrontando le varie interpretazioni».
• «Il fisico particolare, la smorfia con gli occhi spiritati che gli riusciva con tanta efficacia, lo destinarono presto alle caratterizzazioni, e fu insuperabile come Shylock e come Malvolio, e poi come Polonio, come fra’ Timoteo nella Mandragola e come Manfurio nel Candelaio ; da protagonista assoluto, rispolverò e portò al successo Chicchignola di Petrolini. Del ritorno in auge del grande comico romano fu il principale promotore, a partire dagli Anni 60, così come fu un suo cavallo di battaglia la lettura del Belli» (Masolino D’Amico) [Sta 27/1/2011].
• Annunciò l’addio al teatro nel 2009, tuttavia nel 2010 si esibì in Interpretando la mia vita (spettacolo autobiografico, tratto dal suo libro omonimo). Nel 2006 Un curioso accidente di Goldoni (regia di Beppe Arena), Il signore va a caccia di Feydeau (anche regista). Nel 2005 interpretò con grande successo lo stesso Goldoni dei Mémoires (spettacolo diretto da Maurizio Scaparro): «Io, ottantaseienne, impersonavo lui ottantaseienne, nel momento in cui sta morendo a Parigi. Lui ripensa alla sua vita, io ripensavo alla mia: le lotte, le ansie, i rammarichi, i sogni rimasti nel cassetto. Il fatto è che gli artisti si somigliano un po’ tutti fra loro».
• Decine di film, come caratterista, tra gli altri Peccato che sia una canaglia (Alessandro Blasetti 1954), Per grazia ricevuta (Nino Manfredi, 1971), La proprietà non è più un furto (Elio Petri, 1973) ecc.
• «La Rai mi scritturò per un anno per ben 75mila lire la settimana, una pacchia, per recitare in commedie, romanzi sceneggiati, spettacoli leggeri. Certo, era un’altra tv, ho interpretato grandi sceneggiati da La pisana del 1960 a Le avventure di Pinocchio. Dalle telecamere alle cineprese per me è stato facile, ed ho avuto la fortuna di incontrare grandi registi. Ho pero un solo rimpianto: di non aver mai lavorato per Fellini. Pensi che eravamo amici da prima che diventasse regista. Io ero molto amico di Mastroianni e della Masina, con cui recitavo nella compagnia universitaria, e Federico veniva tutte le sere a prendere la sua fidanzata. Un giorno mi disse: “Creo un personaggio solo per te, nel mio Casanova. Se non lo fai tu, lo cancello”. Ovviamente, quando si decise a girare il film io ero in tournée e il personaggio saltò» (a Angela Calvini) [Avv 23/12/2009].
• «Negli ultimi anni non si vergognava più a dire che era finocchio. Sa cosa rispondeva quando gli chiedevano cosa avrebbe fatto se non fosse stato attore? “L’attrice”» (Paolo Poli).
• Morì al policlinico Gemelli per alcune complicazioni susseguenti ad un intervento chirurgico.