3 giugno 2012
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Biografia di Roberto Saviano
• Napoli 22 settembre 1979. Giornalista. Scrittore. Enorme successo con il best seller Gomorra, romanzo-inchiesta sulla camorra (Mondadori 2006, vincitore subito del premio Viareggio opera prima: il libro cominciò a entrare in classifica dopo l’estate). Dal 13 ottobre 2006 vive sotto scorta ed è stato cautelativamente trasferito lontano da Napoli. «La cosa più bella è stata vedere gli spacciatori di Secondigliano con il mio libro tra le mani».
• Vita Studi al liceo scientifico Armando Diaz (compagno di banco del fratello minore di Pietro Taricone, Maurizio) e laurea in Filosofia (allievo del meridionalista Francesco Barbagallo) in soli tre anni, un soggiorno a Düsseldorf, in Germania, con il progetto Erasmus. Subito dopo gli studi le prime collaborazioni giornalistiche e i primi pezzi dal ventre di Napoli. Si sintonizza sulle frequenze della polizia per arrivare con la sua Vespa insieme alle pattuglie sui luoghi dei delitti, studia le carte giudiziarie. Free-lance, scrive anche per Lo Straniero, la rivista diretta da Goffredo Fofi, e pubblica un racconto nella raccolta Napoli comincia a Scampia (l’Ancora del Mediterraneo 2005). Nell’agosto 2005 è vittima di un’aggressione durante un servizio: dopo aver intervistato gli ormeggiatori a Mergellina, molti sotto inchiesta per abusivismo («Mi informavo sui prezzi»), viene accoltellato a un braccio da un rapinatore a cui stava consegnando cento euro.
• Nell’aprile 2006 Mondadori pubblica Gomorra, e la sua vita in pochi mesi cambia radicalmente. «Se il libro fosse rimasto confinato al paese, a Napoli, alla mia realtà locale, allora gli andava anche bene, anzi, i camorristi se lo regalavano tra loro, contenti che si raccontassero le loro gesta. Avevano perfino cominciato a farne delle copie taroccate da vendere per la strada e un boss aveva rimesso le mani in un capitolo riscrivendosi alcune parti che lo riguardavano». Arrivano le prime lettere minatorie, telefonate mute. I boss hanno mal tollerato il successo del libro che ha imposto i loro traffici all’attenzione nazionale. E sono «infuriati per la sfida che Saviano ha portato nel loro feudo, nella Casal di Principe che negli anni Novanta aveva il record di omicidi» (l’Espresso). Sul palco accanto a Fausto Bertinotti, il 23 settembre, chiama i padrini per nome ed esclama: «Non valete niente, ve ne dovete andare da qui». In ottobre gli viene assegnata la scorta e il ministero dell’Interno caldeggia il suo trasferimento, lontano da Napoli. Ora, per una sua visita a Casal di Principe, devono essere schierati i cecchini sui tetti. «Non mi sarei mai immaginato di trovarmi in una situazione simile. Mi dispiace per la mia famiglia, che ne è stata coinvolta».
• «Roberto Saviano è ancora un ragazzo. E ogni tanto riesce anche a sorridere, con le labbra che si tendono su una faccia sempre più tesa, sempre più pallida. Quando racconta della presentazione di Gomorra a Helsinki, con lo speaker che lo introduce come Roberto Soprano, e i finlandesi che sono lì soltanto per via della serie televisiva americana, riesce pure a ridere di loro. Li chiama così, “loro”. I suoi nemici. Come se fosse una questione personale, tra lui e i mafiosi di Casal di Principe che lo hanno costretto ad una vita infame, da animale braccato» (Marco Imarisio).
• «Spero di riavere la mia libertà, un giorno. Come un ragazzino, immagino di aprire la porta e poter camminare in strada, da solo. Ma è solo un sogno».
• «Offre il suo corpo ed è quasi incorporeo. Mette insieme ammirazione e pietà, senso civico e voyeurismo intorno a una figura ormai più simbolica che reale. Lui, però, è uno che crede con tutto se stesso a quel che fa e a quel che dice. Su questo sono tutti d’accordo, anche i colleghi che in privato discutono del suo romanzo con toni a volte assai poco favorevoli. Saviano ha in testa camorra e Gomorra quando scrive e quando va in tv, ma anche quando va a pranzo e quando va a letto. È letteralmente posseduto, dicono gli amici, da un’autentica, benigna, minuziosa ossessione per l’argomento. In meno di trent’anni non si è occupato praticamente d’altro. Scriveva per Nuovi Argomenti ma soprattutto per siti Internet come Nazione Indiana, dove Gomorra è apparso nelle fasi di lavoro, a puntate, prima della pubblicazione. Proponeva instancabilmente agli editori, spesso non riusciva a trovare ascolto. La sua idea di reportage narrativo sembrava condannata a non funzionare, e la stessa Mondadori quando puntò sul libro non si aspettava quel che sarebbe accaduto. Lui non mollava mai, gentile e insistente. Alla fine ha avuto ragione» (Mario Baudino).
• «Me la faranno pagare. Troveranno un modo per colpirmi. Prima con la diffamazione, diranno che è tutto falso, l’operazione di un ragazzotto assetato di visibilità. Poi chissà. È l’unica certezza che ho».
• Nell’aprile 2008 incontrò a New York Salman Rushdie: «Hanno parlato delle loro vite di scrittori colpiti da fatwa (fondamentalistica o camorristica)». I due furono invitati alla successiva cerimonia di consegna dei premi Nobel.
• Nel maggio 2008 un gruppo di proprietari si oppose alla sua volontà di prendere in affitto un appartamento al Vomero: vicino di casa non gradito. Aveva confessato al settimanale francese L’Express il desiderio di trasferirsi all’estero. Ha avuto la cittadinanza onoraria di Torino, Milano, Firenze, Mantova. Ha rifiutato l’ospitalità che la Svezia gli aveva offerto per mettersi al sicuro. Trasferitosi a New York, ha tenuto corsi alla New York University.
• Nell’autunno 2008 il pentito Carmine Schiavone fece sapere che la camorra voleva eliminare lui e la sua scorta entro Natale, in uno dei numerosi viaggi sulla tratta Roma-Napoli. Ricevette anche lettere di minaccia dai camorristi casalesi Antonio Iovine e Francesco Bidognetti.
• Una laurea honoris causa dell’Accademia di Brera (la dedicò ai «meridionali di Milano che sono poi i veri milanesi che hanno fatto grande la città») e una, in Giurisprudenza, dall’Università di Genova (la dedicò ai magistrati che indagavano sul caso Ruby, suscitando le ire di Marina Berlusconi e gettando le premesse per abbandonare la Mondadori).
• È nel gruppo Nuovi Argomenti con Alessandro Piperno, Mario Desiati, Leonardo Colombati: tutti amici, si sono dati un soprannome, quello di Saviano è “il Martire”.
• Agli esordi partecipò al concorso indetto dal 1997 dall’associazione Barrios a Milano (Moni Ovadia).
• Scrive su Repubblica ed Espresso.
• Dopo Gomorra ha pubblicato La bellezza e l’inferno (Mondadori 2009) e La parola contro la camorra (Einaudi 2010). Ha quindi lasciato Mondadori in polemica con Marina Berlusconi per passare a Feltrinelli: nel 2011 ha pubblicato Vieni via con me, con i testi dei suoi interventi all’omonima trasmissione con Fabio Fazio (vedi sotto); nel 2013 ZeroZeroZero, libro-inchiesta sul traffico della cocaina in tutto il mondo. Ha dedicato il libro «a tutti i carabinieri della mia scorta. Alle 38 mila ore che abbiamo trascorso insieme. E a tutte quelle che ancora dobbiamo trascorrere. Dovunque sia».
• La telefonata che Saviano avrebbe ricevuto da Felicia Impastato, madre del magistrato Peppino Impastato, raccontata nel libro La bellezza e l’inferno, è stata smentita dalla famiglia Impastato. Lui querelò Paolo Persichetti che aveva rivelato la vicenda ma la querela fu archiviata.
• Con Fabio Fazio ha condotto quattro puntate di Vieni via con me, in prima serata su Raitre nel novembre 2010 (cachet di 80 mila euro a puntata per Saviano): nella prima puntata il suo monologo sulla criminalità organizzata nel Nord registrò il picco di ascolti del programma e scatenò immediatamente una botta e risposta con la Lega. Con lo stesso Fazio ha poi condotto Quello che (non) ho su La7, nel 2012 tornando in Rai, sempre con Fazio, nell’autunno dello stesso anno, a Che tempo che fa.
• «Frequento Saviano da un tempo sufficiente per sapere che il suo rapporto con il cibo è complicato come quello dei bambini. Accade che lui ti chiami e ti chieda di andarlo a trovare nella sua tana del momento: “Sono solo. Non mi va di rompere le palle ai ragazzi. Perché prima non passi da un cinese? Va bene anche un Big Mac”. La stranezza non è in gusti gastronomici così corrivi. Semmai nel modo con cui Saviano tratta quella sbobba. Mangia con gli occhi più di quanto non faccia con la bocca. Si avventa sul cibo con aria famelica, ma si sazia subito. Si alza in piedi, inizia a parlare e a gesticolare come una marionetta. Ti racconta le abitudini sessuali di qual capomafia, l’ossessione per le ostriche di quel pentito. E lo fa per impressionarti, con aria di sfida, ma anche perché non può farne a meno. L’ossessione di Saviano per l’universo malavitoso ha origini balzacchiane. Lui si interessa al caleidoscopio criminale con la dedizione di un moralista classico. Tale fissazione è così radicata da aver polarizzato ogni altro interesse: ecco perché Saviano è un ospite straordinario quando t’invita nel suo regno ma non è mai disposto a muovere le chiappe per venire a visitare il tuo. Ciò che non gli somiglia non lo interessa. Puoi condurre la discussione su qualsiasi terreno: sport, politica, sesso... Ma le sue idee su questi argomenti difficilmente superano la soglia del buonsenso. Ma se ti interessa il genio allora ti basta innescare la sua monomania. Intanto il resto finisce con l’annoiarlo. Le proposte sessuali che riceve tramite My space o Facebook – a prescindere dal sussulto di orgoglio che gli procurano –, o le attempate signore bene che gli si offrono, non lo avvincono più degli spring rolls o dei Big Mac. Non c’è uomo più immune da istinti edonisti di Roberto Saviano. Anni fa Mario Desiati, all’epoca segretario di redazione di Nuovi Argomenti nonché scout della Mondadori, mi fece leggere un racconto-reportage sulla malavita campana scritto da un certo Roberto Saviano. Poco più che ventenne aveva pubblicato qualche articolo molto tosto e documentato su Lo straniero e su Nazione indiana. A Mario sfuggì un commento tipo: “È una forza della natura ma anche un kamikaze. Bisogna tenerlo d’occhio” (…) “Quando all’estero mi affidano una scorta” mi dice ridendo “la prima cosa che faccio è cercare di capire come sono organizzati. Il che mi aiuta a conferire un senso a quello che sta avvenendo, e a prevenire quel che sta per succedere”. Finché la conversazione tra me e lui si fa più intima: “La fine di un amore. Ecco una cosa che non capisco. Contro la quale mi ribello. Forse perché lì il meccanismo mi sfugge. È come se d’un tratto tutto negasse ciò che hai impiegato del tempo ad accettare. L’esatto contrario del mondo criminale. Fatto di slealtà e tradimenti, ma obbediente a regole precise. Non trovi che la sfera affettiva sia quella che riservi le sorprese peggiori?”. Il desiderio di essere amato, la competizione, la richiesta continua di protezione e di riconoscimenti, la suscettibilità. Tutto questo fa di Saviano un suddito onorario del regno di Edipo. “Mia madre è una donna bella con un carattere da colonnello che si è ammorbidito con gli anni. La mia vita è stata il tentativo di dimostrarle che ero meglio di quello che sembravo. Temo mi considerasse una specie di intellettuale inconcludente” (…) Curioso il modo in cui Saviano assimila il culto di cui è fatto oggetto. Con divertimento direi. Ma anche con una serietà che ti lascia sbigottito. È come se lui intravedesse una relazione tra l’ardore religioso che anima gli altri e la sua percezione di essere in pericolo (…) «Certo, l’idea che un’esplosione mi stacchi una gamba mi fa orrore” (…) Ogni tanto annuncia (via sms) che ha un brutto presentimento. Lo chiami e lui non risponde. Altre volte ti spiega con tristezza, come se la cosa non lo riguardasse, che è inutile farsi illusioni, tanto quelli “non dimenticano”. Sicché dalla sua enciclopedia dell’orrore stipata di atti criminosi tira fuori un paio di storie istruttive: “Ale, si tratta di persone dotate di una pazienza infinita. Quando tutti si saranno stancati di questa storia, loro agiranno. Te l’ho detto, per i casalesi tutto è cinema. L’happy end è il mio cadavere”» (Alessandro Piperno) [Cds 24/12/2008].
• Ha chiesto 4,7 milioni di danni a Il Corriere del Mezzogiorno lamentando di essere stato diffamato: il giornale aveva pubblicato una lettera di Martha Herling, nipote di Benedetto Croce, che smentiva una storia raccontata da Saviano in tv.
• A New York vive da single: «Le regole del dating posso ignorarle, adesso (ride, ndr). Vivo una meravigliosa solitudine, voglio tenere tutti a distanza, anche perché una delle cose che arrivano con la fama è che le persone si relazionano a te solo per chiederti qualcosa. Solo i libri ti danno senza pretendere favori, promesse, scambi. Le sembrerà strano ma nei libri trovo l’unica resistenza e conforto. I libri restano la famiglia che mi protegge e con cui condivido i momenti migliori» (a Marco De Martino) [Vty 7/5/2014].
• Nel 2010 Dagospia aveva parlato di un suo flirt con Sofia Passera, figlia di Corrado Passera. Nell’estate 2014 il quotidiano napoletano Il Roma ha scritto di una sua relazione con l’europarlamentare del Pd Pina Picierna, nata a inizio anno.
• Tifa per la squadra di basket di Caserta. Nel calcio si è detto «grande tifoso del Napoli e della Nazionale, specie quando giocano calciatori meridionali».
• Per sfuggire allo stress s’è dato alla boxe: «Il primo giorno sul ring ero completamente impacciato, avrei potuto mollare. E invece la boxe mi salva, con tutto quello che accade: la vita blindata, gli affetti negati, le minacce e i continui spostamenti. Già da ragazzino avevo questa passione. Quando abitavo ai Quartieri Spagnoli nella mia stanza sistemavo i pochi mobili che avevo in modo da ricreare il perimetro del ring. Come scriveva Jack London» (a Carlo Annese) [Gds 17/9/2010].
• «Da ragazzo ho praticato basket, boxe e anche pallanuoto, ai tempi del Volturno, ma senza eccellere. Per il basket sono alto appena 1.70 e tiro male; a pallanuoto m’ispiravo a Manuel Estiarte, un genio: ero alto quanto lui e magro, ma evidentemente non è bastato. Nel pugilato ho avuto uno dei migliori allenatori al mondo, Mimmo Brillantino, maestro di campioni olimpici. All’inizio anche lui credeva in me, poi un giorno mi ha fatto sorridere dicendo: “Robbe’, mi sa che devi soltanto scrivere”, come a dire che il ring lo avrei potuto frequentare esclusivamente per migliorare il fisico» (ad Annese, cit.).
• Al collo porta una piastrina militare con nome, cognome, gruppo sanguigno, una frase latina di Terenzio: «Che nulla di umano sia a me estraneo». «L’ho voluta dopo essere stato ai funerali di un pugile di San Prisco saltato su una mina in Afghanistan».
• Suo padre, Luigi, fu sospettato di avere rapporti con giudici tributari coinvolti in un’inchiesta per riciclaggio di denaro gestito dalla camorra. Le indagini accertarono poi che la persona sospettata era omonima del padre di Saviano.
• Il libro Gomorra è stato inserito dal New York Times e dall’Economist tra i migliori cento libri del 2007. In Gran Bretagna è stato censurato (l’editore temeva che fare il nome di un boss non ancora condannato potesse portare all’accusa di diffamazione). Più tradotto del Manzoni (è arrivato in 43 paesi), ha superato in Italia il milione e mezzo di copie. Ha vinto, oltre al Viareggio Opera prima, i premi Giancarlo Siani, Stephen Dedalus ecc. Nel 2011 ha vinto il Pen/Pinter prize, prestigioso riconoscimento letterario per la libertà di espressione, come «scrittore coraggioso». Poiché Scotland Yard non gli aveva concesso la scorta, lui non andò a ritirare il premio a Londra.
È stato portato a teatro da Mario Gelardi e al cinema da Matteo Garrone: il film ha ottenuto il Grand Prix della giuria al Festival di Cannes del 2008 (nella pellicola la figura del giovane che accompagna Toni Servillo nelle sue peregrinazioni è ispirata allo stesso Saviano). È stato consulente alla regia della serie-tv andata in onda su Sky nella primavera 2014, grande successo di critica e di pubblico (record di ascolti per Sky), venduta in oltre quaranta Paesi. In preparazione la seconda serie.
• «È una storia di merci e di corpi quella che Roberto Saviano racconta in Gomorra, un lungo reportage sulla camorra nel Napoletano e nel Casertano, sulla sua potenza imprenditoriale e sulla sua ferocia. Ma è un reportage fino ad un certo punto, fino a dove la scrittura cronachistica, precisa e asciutta, assume quel di più di stile che la trasforma in una narrazione. La cronaca non basta, si dev’esser detto Saviano. Non basta il referto accurato. Il dato analitico. Serve una lingua che abbia ambizioni espressive e servono dei personaggi. Occorre che ci siano scrittura e azione scenica per rendere sia la ramificazione affaristica che procede dall’illegale verso il legale, e viceversa, e perché si misuri appieno la forza di ammonimento, di esercitazione retorica che, per esempio, assumono le tecniche di omicidio e le mutilazioni inferte ai cadaveri. Merci e corpi sono la sostanza del potere camorrista, sono il luogo del suo dominio, su di essi si fondano e si distruggono le dinastie, ma merci e corpi navigano anche nel mare delle immagini, danno vita a universi simbolici. Saviano la camorra non la studia sui rapporti di polizia o nelle indagini sociologiche. Le carte le legge, spulcia ore di registrazioni telefoniche e ambientali, ma si fa anche assumere da un trafficante cinese che controlla l’importazione di merci nel porto di Napoli e che ha acquistato una serie di palazzi nel centro della città, li ha svuotati, ha lasciato in piedi solo qualche tramezzo per inzepparli di cartoni pieni di giubbotti, k-way e ombrelli. E da quella postazione il giornalista osserva come funziona il mercato internazionale delle griffes» (Francesco Erbani).
• «Il giornalista Simone di Meo è andato per avvocati al fine di dimostrare come alcuni passaggi di Gomorra fossero ripresi da suoi articoli comparsi sulle “Cronache di Napoli”» (Pierluigi Panza). Le cause intentate sia da Cronache di Napoli che da Il Corriere di Caserta si erano concluse in favore di Saviano ma in appello Saviano fu condannato a risarcire 60 mila euro a Di Meo.
• Silvio Berlusconi contestò a Saviano di aver reclamizzato la criminalità organizzata col suo libro, rafforzando nel mondo l’equazione Italia = malavita. La tesi suscitò polemiche a non finire.
• Critica «Mi ricorda il Pasolini capace di intarsiare, a mosaico, cronaca e letteratura. Però le sue esternazioni sulla letteratura mi sono parse un montare in cattedra un po’ retorico» (Alberto Bevilacqua).
• «Non ho molti amici tra gli scrittori. Con Saviano ho una totale alterità dialettica e non mi vestirei mai come lui ma mi sta molto simpatico» (Alessandro Piperno).
• «Annalena (Benini - ndr) definisce Saviano una icona pop alla Andy Warhol e lo invita a comportarsi di conseguenza. Infine, se la prende con “tutti i viscidi che stanno trasformando Roberto Saviano in un’effigie eroica, infelice e malvestita con un sito Internet di maniacale accuratezza tradotto in cinque lingue”. L’unica cosa che condivido è il fatto che Saviano veste maluccio» (Antonio D’Orrico).
• «Il tema è la responsabilità morale che ha l’autore quando scrive qualcosa. Spesso accade che si vuole denunciare una situazione, per esempio la camorra, ma lo stile che si usa assomiglia a quello di ciò che vogliamo condannare. L’ambiguità è rischiosa. Il suo è un libro molto bello e importante, ma forse un maggior rigore stilistico gli avrebbe giovato. Ci sono parti in cui l’eccesso di rappresentazione non favorisce la verità» (Antonio Pascale).
• «Quando era piccolo, Saviano mandò dei racconti da leggere a Goffredo Fofi. Erano di stile surreale, onirico, alla Tommaso Landolfi, uno degli scrittori più originali e misteriosi che l’Italia abbia avuto. Fofi gli rispose di lasciar perdere il gotico ciociaro risciacquato in Arno di Landolfi e di aprire la finestra della sua stanza e scrivere di quello che vedeva affacciandosi. Saviano lo prese in parola e si guardò intorno. Così nacque Gomorra» (Antonio D’Orrico)[Cds 6/4/2013].
• «Il gomorrismo è diventato l’alibi per le cattive coscienze disimpegnate, si esibisce il romanzo come si faceva una volta con il libretto rosso di Mao, pensando di esaurire così il proprio ruolo. È il pretesto per rimanere lettori e spettatori, mentre la camorra continua a governare intere zone del Paese» (Tano Grasso, leader della Federazione antiracket).
• «Quando uscì Gomorra, qualcuno fece notare che alcuni teoremi sfoggiati da Saviano lasciavano un po’ a desiderare. In un focus dell’Istituto Bruno Leoni, ad esempio, si leggeva un’analisi economica della equazione camorra uguale capitalismo stabilita nel romanzo. E si arrivava a questa conclusione: impossibile “affermare che un’azione aggressiva, intimidatoria e oggettivamente criminale come è quella condotta dai clan camorristici possa essere ricondotta alle logiche, pacifiche e volontarie, del libero mercato”» (Alessandro Gnocchi) [Grn 20/4/2010].
• Il sociologo Alessandro Dal Lago nel 2010 pubblicò con Manifestolibri Eroi di carta, in cui si sostiene «la tesi che la mediatizzazione dell’’eroe” e “icona” Roberto Saviano è una sorta di proiezione del senso di colpa collettivo che spinge a sentirsi con la coscienza a posto quando si sposa superficialmente la causa della legalità un tanto al chilo».
• «Chi lo trovava arrogante, chi esibizionista, chi fanatico, chi semplicemente ossessivo, pur di non ammettere che la sua colpa inemendabile è di aver venduto milioni di copie del suo libro sulla camorra» (Massimo Gramellini).
• «Più che un professionista dell’antimafia, Saviano sembra un ragazzo del Grande Fratello. Conosce una sola espressione del volto, parla soltanto di se stesso e sbanca l’auditel» (Fabrizio Rondolino).
• «A Saviano è andata con le copie come è avvenuto con il dimezzamento delle rendite elettorali destinate a Grillo, fenomeno parallelo e quasi altrettanto banale nello star system dei derelitti di successo, quelli che non hanno niente da dire ma lo dicono con gratificante assiduità e raccogliendo consenso. Offrono al gentile pubblico la possibilità di essere o di pensarsi buono, educato, umanitario, molto impegnato nella lotta al crimine, ma alla fine raccolgono dolenti sbadigli come tutti gli impostori e gli imbonitori» (Giuliano Ferrara, dopo l’uscita di ZeroZeroZero).
• «Ormai è diventato un predicatore, si atteggia, coltiva il personaggio. Si preoccupa di promuovere il suo libro, con un tono non dissimile da un Bruno Vespa» (Aldo Grasso).
• Frasi «Credo nella possibilità che ha la letteratura di mordere il midollo delle cose. Non uso la letteratura per raccontare emozioni e metafore, come fanno troppi scrittori italiani, ma per mostrare i bulloni e le budella delle cose».
• «La letteratura incapace di divenire strumento diviene vizio, e può interessare qualcuno. Ma non è nella carne e nel sangue del mondo. E non mi spendo a leggere quelle pagine. Diviene solo musica da camera e a me piacciono le sinfonie, quelle che si sentono fin fuori i teatri. Credo con Céline, che non ci siano che solo due modi di fare letteratura: fare letteratura e costruire spilli per inculare le mosche. Mi sono sempre giurato di non volere inculare le mosche».
• «Vedere il proprio libro sul grande schermo è come vedere la propria ragazza in mano a un altro» (dopo aver visto il film di Matteo Garrone).
• «Io mi sento quello di sempre. Che va in palestra per sentirsi meno solo, con il mio braccio tatuato maori, e con l’ossessione di raccontare letterariamente il budello del mondo».
• «Nella mia segregazione io sono peggiorato. Mi ritrovo con una grande voglia di vendetta contro chi mi costringe a questa vita e talmente nervoso che mi rovino le mani dando cazzotti contro il muro. E chissà come sarei ridotto se non mi potessi sfogare allenandomi con uno degli amici che mi proteggono, pugile un tempo, prima di entrare nell’Arma. Nervoso per me ma anche per i miei familiari, in quanto porto la responsabilità del loro sradicamento, della loro forzata emigrazione».
• «Voglio farmi una famiglia e ci riuscirò nonostante le difficoltà. Le cose che fanno gli innamorati, andare a passeggio, a prendere un aperitivo, a visitare un museo, a cena fuori, mi sono tutte quante proibite, ma ci riuscirò lo stesso e sarà la mia vera vittoria. Salman Rushdie mi ha messo in guardia dicendomi che dovevo trovare il coraggio di uscire dalla mia prigione altrimenti il pubblico ci si affezionerà troppo e vorrà continuare a volermi rinchiuso» (a Isabella Bossi Fedrigotti).
• «Cosa avrei fatto senza Gomorra? Il più delle volte penso che sarebbe andata meglio, io mi stavo proprio divertendo».
• «Diciamo le cose come stanno: io non credo che sia nobile aver distrutto la propria vita e quella delle persone che mi stanno intorno per cercare la verità. Vista da fuori può sembrare una cosa coraggiosa: ah che cosa bella. Però, io che l’ho fatto, non sento che sia nobile. Inoltre dico a me stesso: qualche volta avrei potuto fare le stesse cose, con lo stesso impegno, lo stesso coraggio (…). A volte mi chiedo se un giorno non finirò in un ospedale psichiatrico. Parlo sul serio. Già adesso devo ricorrere agli psicofarmaci per andare avanti e non mi era mai successo prima. Non ne abuso, però ogni tanto mi servono. E questa cosa non mi piace affatto, spero che un giorno finisca».
• «Ho capito che la fama è una cosa terribile un giorno in cui ero con la mia scorta in un ristorante, una persona a distanza riprendeva con l’iPhone tutto il tempo. Il mio caposcorta evitò di intervenire. Alla fine gli chiesi “ma cosa ci fai con questa ripresa?” Mi rispose “a casa leggo il labiale, così capisco cosa vi siete detti a pranzo”. Ecco, la fama è anche questa brutta roba. Morbosità».
• «Volevo diventare uno scrittore e mi è toccato in sorte di essere un testimone».
• Politica Molte avances nella campagna elettorale 2008 (Pd, Sinistra Arcobaleno, An ecc.), lui si è negato: «Non è il mio mestiere. Non si può parlare di mafia ad una sola parte politica. È un argomento sul quale non ci si può permettere di essere partigiani». Pierluigi Bersani ci riprovò, invano, per le Politiche 2013 (circolò anche l’idea di una lista Saviano) e lo incontrò subito dopo le elezioni, durante il mandato per provare a formare un governo. Lui firmò un appello a Beppe Grillo perché desse vita a un governo col Pd di Bersani.
• Rapporti tesi con il sindaco napoletano Luigi De Magistris, anche per le riprese ispirate a Gomorra che Sky voleva fare in loco (a Scampia comparve lo striscione “Scampiamoci da Saviano”, seguirono polemiche pro/contro lo scrittore in tutta Italia).
• «Per ora prevale la certezza: Berlusconi è stato sconfitto. E voglio godermela per un po’»; «Mi ero illuso che per una volta la Sinistra potesse vincere e soprattutto ho sperato che Berlusconi potesse essere sconfitto» (i suoi tweet a commento delle elezioni del febbraio 2013).
• Altri suoi tweet: «Nel paragonarsi alla tragedia che visse Enzo Tortora, Silvio Berlusconi si palesa per quello che è: un uomo senza dignità»; «Se Marina Berlusconi ottenesse un incarico pubblico, seguirebbe le sporche impronte del padre. Torna in mente Eduardo: “Fuitevenne”»; «Mi mancherà il fango che in questi anni mi ha gettato addosso. Mai offeso semmai divertito: per me erano medaglie» (su Emilio Fede).
• Firmò un appello per Cesare Battisti ma poi ritirò l’adesione.
• Il suo nome compare in cinque dispacci diplomatici del console americano a Napoli, J. Patrick Truhn, pubblicati da Wikileaks: Saviano viene citato a suffragare la denuncia dello scarso impegno dell’Italia contro la criminalità organizzata.
• Partecipò alla manifestazione contro Berlusconi organizzata da Libertà e Giustizia nel febbraio 2011 al Palasharp di Milano. E a un’altra iniziativa di Libertà e Giustizia a difesa della Costituzione, a Bologna nel 2013.
• A fine 2011 andò a Zuccotti Park a New York, dove andava in scena la protesta di Occupy Wall Street.
• Schierato con Israele, dove aveva anche pensato di trasferirsi per un po’.