3 giugno 2012
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Biografia di Benedetto Santapaola
• Catania 4 aprile 1938. Mafioso. Detto “Nitto”, soprannominato “il Cacciatore” e “il Licantropo”. Detenuto al 41 bis dal giorno dell’arresto, 18 maggio 1993. Vedovo di Carmela Minniti, tre figli (uno, Vincenzo, al 41 bis per mafia).
• Nato e cresciuto nel quartiere malfamato di San Cristoforo a Catania, frequenta la scuola dai salesiani e annesso oratorio, ma poi preferisce darsi alle rapine, senza per questo rinunciare ad aprirsi un’attività come «venditore ambulante di generi ortofrutticoli» (così sulla carta d’identità). Nel 62 la prima denuncia per furto e associazione e delinquere. Se la cava con una diffida e il soggiorno obbligato. Comincia la scalata alla Cupola approfittando del comune interesse con Totò Riina di far fuori il capomafia di Catania Pippo Calderone, membro della commissione regionale di Cosa Nostra, competente nel dirimere i contrasti tra famiglie mafiose. Ammazzato Calderone, Santapaola prende il suo posto a Catania e Riina elimina gli alleati dei palermitani nella Sicilia orientale. Schierato dalla parte dei corleonesi nella seconda guerra di mafia contro i palermitani, nel contempo è impegnato a fare guerra ai Ferlito, la cosca rivale di Catania, e il 16 giugno 1982, pur di fare fuori Alfio Ferlito, detenuto, fa fuori l’intera scorta che lo sta traducendo da Enna al carcere di Trapani (Franzolin, Raiti, Di Barca e Di Lavore, è la cosiddetta “strage della circonvallazione”). D’altra parte a Catania si parla ancora di quando Nitto (era il 6 giugno 1981), fu inseguito a bordo della sua Fiat 132 blindata per venti minuti per le strade della città, mentre i killer di Ferlito cercavano di ammazzarlo a colpi di lupara. Difeso dalla sua scorta che seminò duemila bossoli di kalašnikov e tre bombe inesplose, dovette abbandonare l’auto con il libretto di circolazione intestato a lui. Si presentò spontaneamente in Questura a fine giugno, spiegando di non averlo potuto fare prima causa i molteplici impegni di lavoro, e fu ascoltato come teste (transitava lì per caso, era andato a trovare il fratello, ma aveva dimenticato la combinazione per avviare il motore). Creduto in tutto, l’auto gli fu restituita lavata (Alfio Caruso, I Siciliani).
• Entrato nella commissione provinciale di Cosa Nostra, approva e organizza la strage di via Carini (quella in cui muoiono il generale Alberto Dalla Chiesa, sua moglie e l’agente di scorta, 21 settembre 1982). Colpito da mandato di cattura per la strage (firmato da Giovanni Falcone), si dà alla latitanza, dedicandosi al mercato degli appalti a braccetto di quattro imprenditori edili di Catania, tra cui Gaetano Graci, che oltre a essere suo compagno di caccia è anche uno degli editori del Giornale del Sud, dall’80 all’82 diretto da Giuseppe Fava, cioè fino a quando non viene licenziato perché si occupava troppo di mafia (poi, il 5 gennaio 1984, visto che non smette, Santapaola lo uccide).
• Da latitante, secondo il pentito calabrese Giacomo Lauro, commissiona al clan di ’ndrangheta De Stefano-Tegano, per conto della Cupola, l’omicidio del procuratore generale incaricato di sostenere in Cassazione l’accusa del maxiprocesso, Antonio Scopelliti (ucciso il 9 agosto 1991). Sarà assolto da questa accusa per insufficienza di prove. Nel 92 fa ancora in tempo a partecipare alla deliberazione delle stragi di Capaci e di via D’Amelio (vedi RIINA Salvatore), e all’alba del 18 maggio 1993 viene arrestato in una masseria di Mazzarone, nelle campagne tra Catania e Ragusa (operazione “Luna Piena”).
• Il 12 maggio 1995 subisce la prima condanna per associazione mafiosa.
• Il primo settembre 1995 due sicari del clan rivale citofonano a casa sua, qualificandosi come poliziotti, e uccidono, a colpi di pistola calibro 38, la moglie, risparmiando la figlia. Il 20 ottobre 1996 dal carcere Santapaola spedisce a un giornale una lettera aperta in cui perdona gli assassini (con l’intenzione di mettere al sicuro da ulteriori vendette il figlio Francesco, appena scarcerato). Il 23 ottobre seguente, al processo per l’assassinio di Carmela Minniti, l’imputato Giuseppe Ferone dichiara di aver perdonato a sua volta gli assassini del padre e del figlio (ma nei giorni successivi a Catania e provincia i mafiosi continuarono a uccidersi).
• Nel 2003 viene condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio Fava e per la strage di Capaci, nel 2008 per la strage di via D’Amelio (in alcuni processi è stato difeso da avvocati pagati dai contribuenti, essendo stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato).
• Fedi Lo scambio delle fedi tra Nitto Santapaola e Leoluca Bagarella (anche lui vedovo, vedi scheda), l’estate del 2007, quando, trasferiti di cella, l’uno in quella dell’altro, ognuno lasciò appesa al chiodo la propria.
• Amanti Francesco Chillemi, il giudice del Tribunale di Messina che nel 2005 denunciò per calunnia il pentito Vincenzo Paratore perché lo aveva accusato di omosessualità, in particolare di essere l’amante di Nitto Santapaola (paratore è stato condannato in primo grado a tre anni e mezzo di reclusione).
• Ceffoni I coetanei del figlio Francesco si ricordano ancora di quella volta che Francesco si buscò un ceffone davanti a tutti solo perché, vedendolo arrivare per strada (quando era latitante), si era fatto scappare: «Ciao papà».
• Salute Diabetico. Ogni tanto, per protesta, in carcere rifiuta l’insulina. Sfogandosi con Sergio D’Elia e Maurizio Turco che nel 2002 sono andati a trovarlo in carcere a Parma: «Sono cieco da un occhio e sto perdendo anche l’altro, sono già stato operato ad un occhio per una cataratta trascurata… ho un polipo alla cistifellea e alle corde vocali… da Parma esco morto». Come dice il secondo soprannome, soffre di licantropia.
• Cavalli Da sempre passione del clan, secondo le indagini erano usati per scommesse clandestine, come Mister Personal, campione di competizioni internazionali, acquistato a suon di minacce da Angelo Santapaola, cugino di Nitto, reggente del clan prima di essere ucciso e bruciato, nell’autunno 2007, a dire degli inquirenti per ordine della Cupola, perché faceva troppo rumore (l’ultima volta con quattro attentati in un giorno, uno di seguito all’altro).
• Massoni Secondo il pentito Leonardo Messina, nel 91 si riunì insieme a Totò Riina, Binnu Provenzano e Giuseppe Madonia a Enna per discutere del progetto politico separatista («In tal modo Cosa Nostra si sarebbe fatta Stato»). Il progetto sarebbe stato concepito dalla massoneria e sarebbe stato finanziato da potenze straniere (con lo stanziamento di mille miliardi). Teorico del progetto il Professor Gianfranco Miglio, «dietro il quale c’erano Gelli e Andreotti» (procedimento “Sistemi criminali”, che vedeva Santapaola indagato per associazione con finalità di eversione dell’ordine democratico, archiviato nel 2001 – vedi CATTAFI Rosario Pio). Nella primavera 62 risulta che lo stesso Santapaola, insieme, tra gli altri, al fratello Salvatore e a Nino Calderone (fratello minore di Pippo), sia stato affiliato nella massoneria di Nicolosi, a metà costa dell’Etna (Alfio Caruso, I Siciliani).
Ambasciate Nel processo sulla c.d. Trattativa Stato – Mafia è citato dall’imputato Cattafi, che ha riferito di avere ricevuto un’ambasciata per lui niente meno che dal magistrato Francesco Di Maggio (al bar Doddis a Messina). Oggetto del messaggio: «con i ROS abbiamo deciso di prendere le cose in mano».
• Rolex Per evitare una faida per questioni di appalti pare che lo stesso Angelo Siino (vedi) si sia recato a Catania. «Appena arrivato, Siino viene derubato del Rolex d’oro: Santapaola chiama un tirapiedi e ordina di ritrovare subito l’orologio, pena la decimazione di tutti i ladri. Tre ore dopo il Rolex brilla di nuovo al polso dell’intoccabile personaggio, il quale per dare un quadro di che cos’era quella Catania testimonierà che Nitto e il suo vice Mangion andavano a trovarlo scortati da pattuglie della polizia. Gli agenti avrebbero usato macchine di servizio ed erano molto solleciti nell’aprire e nel chiudere le portiere ai due mafiosi» (Alfio Caruso, I Siciliani).
• Fu a lungo confidente del colonnello dei carabinieri Franco Morelli (piduista).
• Il figlio Vincenzo è accusato di essere stato il mandante dell’omicidio di Luigi Ilardo, insieme a Giuseppe Madonia (vedi scheda). (a cura di Paola Bellone).