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 2012  giugno 03 Domenica calendario

Biografia di Gabriele Salvatores

• Napoli 30 luglio 1950. Regista. Premio Oscar 1991 con Mediterraneo (miglior film straniero, anche David di Donatello come miglior film e Nastro d’argento per la regia). «Io sono cresciuto ascoltando Jimi Hendrix, mica Peppino Di Capri».
Ultime Nel 2014 nei cinema con Il ragazzo invisibile: «Sognavo da sempre di fare un film che portasse al cinema padri e figli, un film come E.T. di Spielberg e il cinema che mi è sempre piaciuto, capace di riunire davanti allo schermo un pubblico più vasto. Grazie ai miei produttori Nicola Giuliano e Francesca Cima, anche loro in cerca di un progetto adatto ai loro figli, questo sogno è diventato realtà» [Alessandra De Luca, Avvenire 3/7/2014]. Sua la regia di Educazione Siberiana (2013) – tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Nicolai Lilin (Einaudi 2009) – e di Happy Family (2010). Nel 2008 ha diretto Come dio comanda, con Elio Germano e Filippo Timi, tratto dall’omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti (premio Strega 2007), come già Io non ho paura: «Storia di emarginati in grigi paesaggi post industriali: la solitudine dei centri commerciali, dove anche una carezza a lungo soffocata diventa violenta» (Maurizio Porro).
• È anche il direttore artistico della miniserie Tv (su Sky) tratta dal suo film Quo vadis, baby? e diretta da Guido Chiesa.
Vita Trasferito a Milano con la famiglia da piccolo, era destinato a diventare avvocato come il padre Renato: “Cominciai a fare spettacolo a scuola, da ragazzo. Al liceo, già nel 1967, le interrogazioni di greco erano state cancellate e sostituite con rappresentazioni di gruppo. Una volta, recitammo l’ultimo atto dell’Antigone: la professoressa è uscita dalla classe indignata”. Alla facoltà di Giurisprudenza della Statale, “arrivai nel ’68, a 18 anni, incontrai quello che è stato per tanti di noi un fratello maggiore: Mario Capanna, allora capo indiscusso del Movimento studentesco. Era più grande, aveva un modo di fare protettivo e rassicurante. Mio padre aveva perso la sua sfida: avevo i capelli così lunghi e mi vestivo così strano che lui, se dovevamo uscire insieme, sceglieva di camminare sul marciapiede opposto, non ce la faceva a starmi vicino. La musica di Jimi Hendrix, vera reincarnazione di Mozart, Frank Zappa e i film di allora, dal Laureato a Il pane e le rose, insieme all’immensa energia umana che ti trasmetteva il movimento, mi portarono verso la politica rivoluzionaria, verso un estremismo anche esistenziale. È stato un passaggio breve, ma forte: per un soffio, tanti di noi, mi metto io per primo, non sono finiti nella lotta armata, nel terrorismo o nell’eroina. È un caso, un destino, un rimescolamento di carte: il confine era sottilissimo. Forse, mi hanno salvato proprio il rock, la chitarra elettrica, gli spettacolini che organizzavamo fra noi. Ci dividemmo, a ripensarci oggi, fra chi scelse l’impegno e chi la fantasia, il sogno, una diversa utopia, la voglia di fuga di un’intera generazione, la stessa che ho poi raccontato con i miei film” (da un’intervista di Barbara Palombelli).
• Diploma all’Accademia d’arte drammatica del Piccolo Teatro di Milano, nel 1972 fu tra i fondatori del Teatro dell’Elfo per il quale realizzò, in dieci anni, ventuno spettacoli. Dopo il successo del musical tratto da Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare, nell’83 girò il suo primo lungometraggio (stesso titolo).
• Tra i suoi film: Kamikazen (1987), Marrakech Express (1989), Turné (1990), Puerto Escondido (1992), Sud (1993), Nirvana (1997), Io non ho paura (2003), Quo vadis, baby? (2005).
• «Non amo la definizione di autore. Che il regista racconti solo la sua visione della vita. Il cinema è un fatto collettivo: io ho il piacere di suonare con gli altri. Se Miles Davis chiama Coltrane, sa che gli cambierà la musica. Ho il piacere della messa in scena, senza rigidità. Questo mi è stato rimproverato. Ricordo un dibattito ai tempi di Turné. A lei che cosa piace, mi chiedono, e io rispondo: raccontare storie. Due cinefili si sono dati di gomito con l’aria di dire: risposta sbagliata».
• Sta con la scenografa Rita Rabassini (San Paolo, Brasile, 17 dicembre 1960).
Amici La compagna è l’ex moglie di Diego Abatantuono: «La loro storia era già finita. Ed è stata necessaria molta maturità, molta intelligenza. Diego e io siamo complementari. Lui molto estroverso, io introverso, talvolta ipocondriaco» (da un’intervista di Alain Elkann).
• «Il mio rapporto con Diego Abatantuono è di croce e delizia. Ha una personalità talmente forte che bisogna contenerlo perché il film non vada nella direzione che intende lui. Ma quando gli metti dei limiti esprime una forza incredibile».
• «Ora mi dedico molto alla Playstation. Con Diego Abatantuono ci sfidiamo per ore. È l’unica persona che conosco che sgridava i bambini perché volevano smettere di giocare e andare a nanna».
Critica Lietta Tornabuoni un anno dopo l’Oscar: «Mediterraneo è dedicato “a tutti quelli che stanno scappando”, ma il regista quarantaduenne non ne può più di leggere o di sentir ripetere che i suoi film generazionali (anche Marrakech Express, anche Turné, anche l’attuale Puerto Escondido) hanno come tema la fuga. La fuga è soltanto l’aspetto più esterno e superficiale, dice, nelle storie che ha raccontato ci sono altre cose (...) Forse un poco troppo consolatorio concettualmente, forse stilisticamente un poco troppo convenzionale, il film ha una qualità di sincerità, una tensione intellettual-sentimentale, una forza di divertimento e di simpatia molto alte: non son riusciti a sciuparle e logorarle neppure quell’eccesso di esaltazione, quell’esagerazione iperbolica, quel trionfalismo chiacchierone e soffocante che hanno accompagnato l’Oscar».
• «È bello quando un regista si sforza di rinnovare il proprio rapporto col cinema, inoltrandosi in esperienze nuove anziché riposare sugli allori. Gabriele Salvatores, a onor del vero, ci aveva già provato con Nirvana e Denti, esperimenti coraggiosi però non del tutto riusciti. Da un po’ di tempo, insomma, aspettavamo da lui un risultato completo, il titolo da annotare come una tappa importante nella sua filmografia: e Io non ho paura lo è (...) Una ricerca sul linguaggio di grande rigore formale mascherata sotto la linearità e la naturalezza del racconto» (Roberto Nepoti).
Frasi «Quando faccio un film è come se stessi preparando una cena. Se non viene nessuno ci rimani male, puoi mangiare da solo ma non è la stessa cosa. Non è calcolo, è una convinzione intima».
• «Si è sempre detto che sono il regista del viaggio, ma prima di Marrakech Express avevo viaggiato pochissimo».
• «Quello che dobbiamo fare è cercare di imparare il più possibile. Io cerco di crescere. Se avessi fatto Mediterraneo 2 e 3 ora avrei una bella villa. Ma mi sarei divertito meno».
Tifo Interista. «A cinque anni, quando da Napoli sono andato a vivere a Milano, tifavo per la squadra della mia città. Ma a furia di mazzate con i compagni di scuola, i miei genitori mi hanno messo dinanzi a una scelta: o Milan o Inter. E io ho optato per la seconda, perché nella maglia c’era l’azzurro del Napoli» (a Federica Lamberti Zanardi). Nel 2007 ha girato un documentario sugli Inter Campus nel mondo.