Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  giugno 03 Domenica calendario

Biografia di Arrigo Sacchi

• Fusignano (Ravenna) 1 aprile 1946. Allenatore di calcio. Con il Milan vinse uno scudetto (1988), due coppe dei Campioni (1989, 1990), due coppe Intercontinentali (1989, 1990) ecc. Con la Nazionale fu nel 1994 vicecampione del mondo (sconfitta ai rigori in finale col Brasile). Ora commentatore tv (Mediaset). È stato anche consulente del Coni per le Olimpiadi 2012 e coordinatore delle nazionali giovanili per la Figc dal 2010 al 2014. «Il mio amico Ancelotti ha scritto: Sacchi era così convinto di quello che ci insegnava che alla fine gli abbiamo creduto»
.
• La carriera tra i professionisti cominciò nel 1977, al settore giovanile del Cesena, dove restò fino all’82, con un anno di stop per frequentare il Supercorso di Coverciano (1978-1979). Nell’82 guidò il Rimini in C1: quarto posto, promozione sfiorata. Nell’83, chiamato da Allodi, andò ad allenare la Primavera della Fiorentina. Tornato a Rimini nell’84, ottenne ancora un quarto posto in C1. Nell’85 andò a Parma (C1) e ottenne la promozione in B. Nel 1987 fu chiamato dal Milan, che aveva eliminato in coppa Italia. Ha allenato anche l’Atlético Madrid, è stato dirigente del Parma, directór de futbol del Real Madrid.

• «Il campionato Primavera vinto con i ragazzi del Cesena è forse dal punto di vista tecnico il più grande successo della sua carriera. Altri hanno vinto scudetti con il Milan, nessun altro ha vinto campionati Primavera con il Cesena. Ma Sacchi non è stato un vero tecnico. Sacchi aveva il nerbo e la rapidità degli innovatori. Non ha inventato mai niente. C’era già tutto prima di lui, la zona, le ripartenze, l’aggressione agli spazi. Si chiamavano in altro modo ma esistevano già. Sacchi inventò altre cose. Il ritmo del calcio, un nuovo metodo di lavoro. L’allenamento forsennato, la teoria del sacrificio ad ogni costo. Che andava adattata, normalizzata, ma già era sconvolgente. Sacchi portò il nostro calcio nella modernità, ne fece, quasi involontariamente, qualcosa pronto per diventare un fenomeno industriale. Infatti il suo vero avversario non fu un altro tecnico, ma Diego Armando Maradona, il calcio patriarcale che rappresentava, il talento che se ne frega del metodo e invita tutti a seguirlo per allegria. Chi abbia vinto è difficile dire e anche poco importante. Importante è rappresentare qualcosa, saperla fare. Tocca agli altri scegliere. Sacchi faceva muovere le sue squadre come fossero le migrazioni di un popolo. Le vedevi ripartire ogni volta e allargarsi rapide come uno sciame d’api. Gli avversari stretti contro le fasce laterali, stremati, stupiti, battuti. Alla fine degli anni Ottanta, con tanto calcio olandese negli occhi e tanto calcio italiano da dimenticare, il suo Milan fu uno spettacolo straordinario» (Mario Sconcerti).
• «A Bellaria arrivai in panchina da signor nessuno, come al solito. C’era in squadra un giocatore che era stato in A e in B. Un giorno sentii che diceva “io non ho mai fatto nessuna delle cose che ci chiede questo qui: o è un folle oppure un genio”. Spero la seconda, gli risposi».
• «Quando decisi di smettere di lavorare per far l’allenatore, dissi a mio padre: “Ho capito che vivrò una vita sola e quindi devo viaggiare”, perché purtroppo morì mio fratello e dovetti io far la parte commerciale: “Devo viaggiare e non mi piace il lavoro, a me piace il calcio. Vivendo una vita sola dico smetto di lavorare e vado a fare l’allenatore”. Andai a fare l’allenatore al Cesena e il presidente mi disse: “Che cosa vuole?” e io risposi: “Mi dia lei quello che vuole”, e lui disse: “No, poco, ma mi dica lei”, e prendevo di stipendio in un anno quello che a lavoro con mio padre io prendevo in un mese, e quando dovevo fare dei contratti all’inizio mi vergognavo sempre perché mi vergognavo di chiedere dei soldi per una cosa che mi piaceva così tanto, e quando mi son fatto pagare, e le assicuro che ho preso molto di meno di quanto avrei potuto... l’unica volta che ho preso davvero dei soldi fu il secondo anno al Milan (…) Berlusconi mi chiese un favore: lui sapeva che io dovevo incontrarmi con una società il venerdì, mi chiese, disse “Guardi io devo andar via alcuni giorni, le chiedo un favore, di rimandare quell’appuntamento, e noi ci ritroviamo qua lunedì prossimo”. Dissi “Sì”, però non ero convinto, andando a casa dissi no, non posso fare una figuraccia del genere, rimando un appuntamento e poi... e la mattina telefonai a Rognoni (responsabile dei servizi sportivi Mediaset, ndr) e gli dissi “Guarda, ringraziali molto ma non me la sento di fare una figuraccia del genere... Io mi devo ancora incontrare, non posso dire rimandiamo...”. Mi disse “Sei matto? Al 99 per cento sei tu l’allenatore del Milan”. Dissi: “No no, non me la sento” e andai agli allenamenti del Parma. Ricordo che quel giorno la sera torno a casa e mia moglie mi dice “Guarda, chiama subito Ettore Rognoni che t’ha cercato due o tre volte», e mi fa «domani sera hai degli impegni?”. “No”. “Allora non ci sarà Berlusconi ma ci sarà Galliani, Paolo Berlusconi, Confalonieri”. Dico: “Mah per me son anche troppi” e andai su, e allora lì capii che volevano veramente prendermi come allenatore. Andai su e firmai in bianco. “Voi avete un grande coraggio”. Io dico: “O siete dei fenomeni o siete dei suicidi e comunque io firmo in bianco”, e presi meno di quanto prendevo a Parma... E feci un contratto... Io facevo sempre contratti di un anno solo perché volevo smettere» (a Francesco Pacifico) [IL 10/2012].
• «Una volta Van Basten mi disse: mister, ma perché agli altri basta vincere e noi del Milan dobbiamo anche convincere? Gli risposi: Marco, se vuoi rimanere nella memoria della gente devi vincere in un certo modo, facendo anche divertire il pubblico, perché non basta la vittoria in sé. Forse è per questo che io vengo ricordato così tanto, anche al di là delle vittorie, poche o tante, che ho ottenuto» (da un’intervista di Andrea Sorrentino).
• «Il calcio è come la scuola: se hai un’idea non hai paura di sederti in prima fila» [Bruno Forza, Cds 13/8/2013].

 • «Nel suo gioco non conta l’individuo, conta il sistema. Contano certamente gli interpreti adeguati, ma devono sapere che non sono assolutamente dei solisti. Ma parte di un’orchestra. Ci sono teorie politiche che sostengono esattamente quello che Sacchi ha realizzato col Milan» (Massimo Cacciari).
• «Si serviva del romagnolo per diffondere il suo verbo: occhio, pazienza e... bus del cul» (Alberto Costa) [Cda 2/11/2008].
• Il suo nome figura nella Hall of Fame del calcio italiano, l’Arca della gloria del pallone tricolore nata dall’ iniziativa della Federazione e della Fondazione Museo del Calcio. Al museo di Coverciano ha donato la tuta che indossava a Usa ’94.
• Smise di allenare nel 2001, mentre era a Parma, per un attacco di stress. Sempre per stress ha lasciato il coordinamento delle nazionali giovanili nel 2014 (il Milan gli ha offerto un ruolo analogo nel proprio staff). «Ci sono tre categorie: i menefreghisti, gli arrivisti che sono pure peggio, e i perfezionisti. Io sono un perfezionista, dunque un ansioso. Penso che potrei fare sempre di più, sempre meglio, e quando sbaglio è quasi sempre per eccesso. Si paga un prezzo, ci si consuma, ma soltanto così ci si realizza veramente. Altrimenti è un lasciarsi vivere (…) Per un tempo lunghissimo il mio stress è stato un plusvalore, una seconda carica di adrenalina. Alla lunga, però, il logorio non perdona. E se ti senti vuoto, non puoi riempire gli altri» (a Maurizio Crosetti), [Rep 1/8/2014].
• Sposato, due figlie, Federica e Simona. Nell’estate 2007 il Tribunale dei minori di Bologna lo ha indicato come il padre della bambina nata nel 2003 da una donna di Brescia.
• «Non sono stato un buon padre, per lungo tempo non ho dormito a casa per più di tre notti di seguito. Vorrei almeno essere un buon nonno» (nel luglio 2014, spiegando le sue dimissioni d arespondabile del settore giovanile della Fgci).