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 2012  giugno 01 Venerdì calendario

Biografia di Francesco Rutelli

• Roma 14 giugno 1954. Politico. Eletto alla Camera nel 1983, 1987, 1992, 2001, 2006, al Senato nel 2008 (Radicali, Verdi, Ulivo/Margherita, Pd). Presidente del movimento Alleanza per l’Italia dal dicembre 2009, co-presidente con François Bayrou del Partito democratico europeo (rieletto nel dicembre 2012). Ex sindaco di Roma, eletto nel 1993 (vittoria al ballottaggio contro Gianfranco Fini) e nel 1997 (al primo turno contro Pierluigi Borghini). Vicepresidente del Consiglio e ministro per i Beni e le attività culturali nel Prodi II (2006-2008). Dal 2008 al 2011 presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir).
Vita «Alle elementari frequentava la prestigiosa scuola delle suore di Nevers, all’Eur, a due passi dall’elegante casa di una solida famiglia borghese romana: Marcello, il padre architetto; Sandra, la madre; due sorelle. Scolaro modello e attore in erba, si distinse interpretando la parte di Sant’Agostino. La formazione cattolica continua al Massimo, esclusivo liceo dei gesuiti. Diversi i ricordi del padre, raccolti da Gente nel 1993: “Francesco, seguendo la moda dell’epoca, faceva il contestatore. Stava per essere cacciato dal Massimo e lo iscrissi al liceo statale Socrate”. Era il 1971: il suo compagno di banco, in III D, era Vieri Maria Manetti, poi dirigente Ibm. Che lo descrive così: “Estroverso, simpatico, bravo ma non un secchione, per niente politicizzato”. La divisa dei ragazzi di sinistra imponeva l’eskimo e la borsa di Tolfa. Francesco girava in cachemire. A scuola si faceva chiamare Checco, nomignolo del quale andava molto fiero. Alla maturità, nel 1972, se la cavò bene: prese 54, il voto più alto della classe, portando la materia in più: storia dell’arte. La commissione gli consigliò di iscriversi ad Architettura. Laureato? Sì, anzi no. Rutelli ha sempre raccontato il periodo universitario con frasi a doppia interpretazione: “Ho iniziato a lavorare con mio padre a metà anni Settanta, prima ancora di laurearmi in Architettura” (Gente, 13 dicembre 1993). Nell’autobiografia, Piazza della libertà (Mondadori), del 1996, spiega di essersi fermato alla soglia della laurea, con 22 esami. Di fatto, la pecora nera in una famiglia di architetti illustri: il bisnonno Mario firmò la fontana delle Naiadi in piazza della Repubblica (più nota come piazza Esedra, a Roma – ndr) e la statua di Anita Garibaldi sul Gianicolo. Il padre Marcello, a due giorni dall’elezione a sindaco, disse (intervista del 1993 a Gente, una settimana dopo quella del figlio): “Mio figlio diede pochi esami, soprattutto quelli dove si chiacchierava, tipico di tanti tribuni della politica. Lì era bravissimo... Non svolse gli esami tecnici fondamentali: neppure Analisi matematica, una delle prime prove. Non ci fu nulla da fare per fargli continuare gli studi”. Lavoro: part-time nello studio di famiglia. Rutelli in Piazza della libertà si dipinge come un lavoratore indefesso: prima animatore in un villaggio turistico, poi pubblicitario, infine molto impegnato nell’ufficio del padre. Che invece si lamentava: “Lo invitavo a collaborare. Lui si presentava ogni tanto, ma dopo pochi minuti se ne andava”. Francesco, giornalista pubblicista, dividerà per un po’ con lo scrittore Carlo Cassola la direzione dell’Asino, rivista antimilitarista con la stessa testata dello storico giornale di satira politica. E anche sul servizio militare, che Rutelli evita, le cose appaiono un po’ oscure. Nel 1975, a 21 anni, fa domanda per l’obiezione di coscienza, a 23 scrive al ministro della Difesa di allora, il dc Attilio Ruffini: “Stai boicottando la legge sull’obiezione, dunque io non farò più il servizio civile e ti annuncio che dovrai sbattermi in un carcere militare”. Lo scrive in Piazza della libertà. È curioso che basti una lettera al ministro, e con quei toni, per evitare la naja. Panorama ha chiesto lumi allo Stato maggiore della Difesa. Niente da fare: “Non abbiamo la pratica e poi c’è la legge sulla privacy. Chiedete alla segreteria di Rutelli”. Nel 1973 lo studente di 19 anni varca la soglia di via di Torre Argentina 18, storica sede del Partito radicale. Marco Pannella gli apre la porta. Una folgorazione» (Panorama). Segretario del Partito radicale dall’81 all’89, nel 1990 fu nominato coordinatore nazionale della Federazione dei Verdi. Nel 1993 fu per un giorno ministro dell’Ambiente nel governo Ciampi (si dimise, con gli altri ministri, per protesta dopo il voto contrario del Parlamento alla richiesta di autorizzazione a procedere contro Bettino Craxi). Ottimi rapporti sia col Psi anticomunista che col Pci antisocialista, nello stesso anno gli fu facile essere il punto di riferimento di tutto il centrosinistra alle elezioni per il sindaco di Roma. Ancora privo dell’esperienza cattolica, prese ad andare a messa e risposò in chiesa la moglie Barbara Palombelli. All’epoca, aveva una parola buona per tutti: «Con il vecchio Pci, burocratico e non di rado settario, ho avuto molti momenti di scontro, ma i militanti comunisti non li ho mai considerati avversari. Ho imparato dagli scritti di Ernesto Rossi a riconoscere il valore e la passione ideale del “popolo della sinistra”»; «Il formidabile Papa Giovanni Paolo II»; «Non si può avere antipatia per Antonio Di Pietro»; «Massimo D’Alema, cui mi unisce un sentimento di autentica stima» ecc.
• «Gli inglesi lo direbbero anxious to please, ansioso di piacere. I suoi rivali (il generale Angioni) traducono alla vaccinara: è un piacione. “Non è un’offesa, per ora non polemizzo con nessuno”, ribatte lui» (Giorgio Battistini seguendo la campagna elettorale del 93, quando Rutelli aveva 39 anni: la definizione gli è rimasta appiccicata addosso per molto tempo).
• Alle elezioni politiche del 2001 fu “candidato alla presidenza del Consiglio” dell’Ulivo: in ticket con Piero Fassino, fu sconfitto da Silvio Berlusconi. «Ho tirato la carretta, ho mangiato pane e cicoria per costruire il centrosinistra e consegnarlo a Prodi (nel 2001, ndr)» disse poi nel maggio 2005, respingendo con l’80 per cento del partito l’ipotesi di una lista unitaria, fortemente voluta da Prodi, alle elezioni del 2006 (avrebbe fatto poi una parziale retromarcia: la Margherita si presentò da sola al Senato e nella lista dell’Ulivo alla Camera). Ebbe del resto frequenti tensioni con Prodi e i prodiani nella Margherita (e l’ex premier nel 2004 fece ridere una piazza in Puglia dicendo che la sua qualità migliore era l’essere «’nu bello guaglione»). Nel Pd si è schierato da subito con Veltroni.
• Come ministro per i Beni culturali si è impegnato per il ritorno in Italia di alcuni capolavori trafugati, contrabbandati ed esposti in grandi musei stranieri, soprattutto americani. Con il Getty Museum, in particolare, chiuse una trattativa cominciata cinque anni prima e giunta fino alla minaccia di un embargo culturale nei confronti dell’istituzione californiana: nell’agosto 2007 venne raggiunto l’accordo per la restituzione di una quarantina di opere, compresa la Venere di Morgantina.
• Di nuovo candidato al Campidoglio nel 2008, è stato sconfitto al ballottaggio da Gianni Alemanno (Pdl). Al primo turno aveva ottenuto il 45,5 per cento dei consensi, rispetto al 40 per cento del suo avversario, ma aveva già raccolto in sostanza tutti i suoi voti (Pd, Partito radicale, Italia dei valori, Sinistra Arcobaleno), mentre Alemanno vide incrementare il proprio risultato di ben 13 punti e mezzo percentuali, grazie ai voti della Destra e dell’Udc. La sconfitta nella città che aveva governato per otto anni (gestendo l’organizzazione del Giubileo nel 2000, avviando i lavori dell’Auditorium di Renzo Piano e dell’Ara Pacis ecc.) e consegnato poi per due mandati a Walter Veltroni, è stata molto pesante anche sul piano personale, tanto più che negli stessi seggi Nicola Zingaretti, candidato vincente del Pd alla presidenza della Provincia, aveva conquistato 55 mila voti più di lui. Si disse che non aveva battuto abbastanza il chiodo della sicurezza, che non aveva saputo parlare ai giovani, che era stato un errore in partenza candidarlo per la terza volta (di scelta sbagliata parlò pubblicamente qualche mese più tardi il coordinatore politico del Pd, Goffredo Bettini, irritando una volta di più Rutelli). Si disse anche che il Pd non aveva afferrato la voglia di cambiamento che era nell’aria: questa considerazione chiamava in causa lo stesso Veltroni, ultimo inquilino del Campidoglio, la dirigenza del Pd e le scelte calate dall’alto, rinfocolando le polemiche sugli equilibri (e i conflitti) interni del partito. «Ci hanno mandato al suicidio, hanno usato Francesco per uccidere a freddo Veltroni», disse subito dopo la batosta il tesoriere del candidato sindaco Luigi Lusi. Il rutelliano Arnaldo Sciarelli si spinse più in là: «È iniziata la resa dei conti dalemiana».
• Dopo la sconfitta di aprile e in vista delle europee del 2009, riaprì il solco nel Pd, tra quelli che erano stati i ds e la Margherita, sulla questione dell’adesione al partito socialista europeo, confermando l’intenzione di rimanere divisi in Europa: gli ex ds con i socialisti, gli ex dl con i liberaldemocratici. Nel giugno 2008, registrando i malumori dell’area cattolica dei democratici, dovette rassicurare che non esistevano rischi di scissione, ma propose anche «una nuova alleanza di centrosinistra», più spostata al centro (sempre a lui si deve la formula delle «alleanze di nuovo conio», espressa come necessità nel luglio 2007 quando già la coalizione guidata da Romano Prodi soffriva delle tensioni tra riformisti e sinistra radicale).
• Il 27 ottobre 2009 annunciò l’abbandono del Pd. Il mese dopo fondò il movimento Alleanza per l’Italia: «Il Pd è andato a sinistra. Io lo rispetto, ma noi abbiamo creato un movimento in grado di unificare le forze democratiche, riformiste e liberali per migliorare questo nostro Paese» (Corriere della Sera).
• Nel 2012 venne coinvolto nel caso di Luigi Lusi, senatore del Pd ed ex tesoriere della Margherita, accusato di appropriazione indebita (la procura di Roma gli contestava di aver sottratto circa 13 milioni di euro, arrivati come rimborsi elettorali, dalle casse del partito). A maggio Lusi dichiarò di aver trasferito parte di quei soldi a Rutelli, accuse ritenute poco credibili dalla magistratura e cadute del tutto due mesi dopo perché «smentite dai fatti».
• Sposato con la giornalista Barbara Palombelli, con rito civile nel 1982 e con rito religioso nel 1995. Quattro figli, gli ultimi tre adottivi: Giorgio, Francisco, Serena e Monica.
• Tifa per la Lazio.
• Gioca bene a tennis. Adriano Panatta, che l’affiancò in un doppio contro il sindaco di Mosca e un maestro russo: «Si vede che da ragazzino ha preso lezioni e quindi ha una buona impostazione classica. Alla Federer per capirci».
• Superstizioso: fece togliere dal suo ufficio di Palazzo Chigi due quadri del Settecento che rappresentavano due naufragi.
• «Ha incornato gli avversari con il subito famoso “discorso del pane e cicoria”. Quali assonanze si mettono in moto, all’ascolto di tale semplice, eppure complessa, espressione? (...) È un acuto lettore ad avere tratto la lezione decisiva, per via enigmistica. “Pane e cicoria” si anagramma in “acre piacione”: non è l’ossimoro perfetto?» (Stefano Bartezzaghi).