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 2012  giugno 01 Venerdì calendario

Biografia di Sergio Rubini

• Grumo Appula (Bari) 21 dicembre 1959. Attore. Regista. Sceneggiatore. Tra i suoi film: Intervista (Fellini 1987), La stazione (1990, David di Donatello e Nastro d’argento come miglior regista esordiente), Una pura formalità(Giuseppe Tornatore 1993), Nirvana (Gabriele Salvatores 1996), Tutto l’amore che c’è (2000), La passione di Cristo (Mel Gibson 2004, fa la parte di uno dei due ladroni), La terra (2006), Colpo d’occhio (noir del quale è regista e sceneggiatore, 2008), Qualunquemente (2011), Mi rifaccio vivo (girato da lui, 2013), Che strano chiamarsi Federico (Ettore Scola, 2013) e La nostra terra (di Giulio Manfredonia, 2014). Prossimo film La stoffa dei sogni (di Gianfranco Cabiddu). Anche televisione: nel 2006 è nella fiction Rai La contessa di Castiglione (Josée Dayan). A teatro è stato impegnato nella stagione 2013-2014 con il dramma di Cechov Zio Vanja, diretto da Marco Bellocchio.
• «Tutto sta nei capelli. Il fatto che non mi sono mai pettinato genera una serie di equivoci. Io scomposto, caotico, scapigliato, zingaro, casinista del sud. E invece poi sono uno regolare, molto meno meridionale di come sono visto. A vent’anni sono scappato a vivere in Norvegia, dove regnano l’ordine e il rigore, e dove c’è la biondezza, un mistero lontano dal mio che però mi attraeva. Ecco, questa tensione verso un’altra natura, un altro mondo, è il conflitto che vivo. Il cinema m’ha dato una grande opportunità: quella di conoscere, e conoscermi. Nei miei film parlo quasi sempre di me, ma con mistificazioni. Nel senso che mi viene da raccontare ciò che avrei voluto che fosse successo, incontri come non sono mai avvenuti. I film più “miei” sono anche menzogneri, tipo L’amore ritorna, o Tutto l’amore che c’è. Non metto in giro messaggi nella bottiglia: quando scrivo una storia, sento la responsabilità di regole narrative precise. Ciò non esclude che la scrittura abbia una dimensione intima e struggente. E se dirigere un film è continuare a scrivere, interpretarlo è un fatto di irrazionalità» (a Rodolfo Di Giammarco).
• «Io sono arrivato a Roma diciottenne, sono entrato in una scuola di recitazione dove ho dovuto disimparare il mio dialetto, il mondo dello spettacolo l’ho sposato come mettendo una giacca. Camilleri era mio insegnante all’Accademia. Disse una volta che quando era andato via dal suo paese aveva deciso che sarebbe tornato solo quando avesse dimenticato il numero delle colonne che sostenevano la facciata del Comune. Io pensai allora che la stessa cosa fosse indispensabile anche per me. I primi anni a Roma ho vissuto cercando il più possibile di dimenticare» (da un’intervista di Paolo D’Agostini).
• «Il colpo di fortuna del giovane e smilzo ragazzino pugliese arriva, dopo i passaggi inevitabili fra pensioncine alla stazione e parenti ospitali, con un incontro. Sulla sua strada c’è, ad aspettarlo, Federico Fellini (e Fellini mi spiegò che quel ragazzino lo colpì moltissimo, si ritrovava in lui, non pensava affatto che il loro incontro fosse casuale)» (Barbara Palombelli).
• «Avevo 21 anni, lui stava mettendo su il cast per E la nave va, mi presentai a Cinecittà con il solito album sottobraccio. Mi disse subito: “Complimenti, lei somiglia alle sue fotografie. Di solito, gli attori sono sempre diversi dalle immagini ritoccate. Prima o poi, io e lei lavoreremo insieme”. Quattro anni dopo, mi chiamò. Diventammo amici. Andavamo a mangiare ai Castelli o ci vedevamo a casa sua in via Margutta. Un’amicizia che condividevo con la mia ex moglie, Margherita Buy. Facevamo lunghi giri in auto, come gli piaceva, Federico si sentiva rassicurato dalla guida di Margherita». «Il suo assistente mi lasciava continui messaggi in segreteria: “Il maestro le ricorda di non ingrassare”. Fellini, invece, lo chiamava ogni mattina alle 6 e mezzo per insegnargli ad alzarsi presto e lui, per non farsi trovare con la voce impastata, metteva la sveglia un quarto d’ora prima e girava per casa facendo vocalizzi» (Costanza Rizzacasa) [Pan 9/9/2011].
• «È una voragine, quella che m’ha lasciato l’assenza di Fellini, un padre senza che io me ne accorgessi» (a Rodolfo Di Giammarco).
• «Ho sofferto per l’età a 27 anni: sentivo arrivare i trenta, era come la fine dell’età più pregiata. Poi, un giorno, mi lamentavo con Monicelli: “Sai, ormai ho 47 anni”. Stava bevendo del brodo, mi ha guardato e mi ha detto: “Dobbiamo consolare un quarantasettenne?”» (a Sara Faillaci) [Vty 11/10/2007].
• «Quando Rubini mi ha conosciuta di anni ne avevo 18, non 16. Lo ricordo bene perché appena sono diventata maggiorenne ha provato a corteggiarmi. L’ha fatto per circa 7 minuti, non voleva fare la fine degli altri» (Valeria Golino).
• Il suo traguardo più bello: «Aver risposto alla domanda letale di quelli del Sud: “Ma dove vuoi andare?”».
• «Non ho figli e questo un po’ mi spaventa. Quando vedo i miei genitori che sono anziani, ed io li aiuto, poi mi chiedo: “Ma chi aiuterà me?” (…) Non ho nemmeno una casa di proprietà, sono un vero precario. Non suggerirei a tutti di fare come me, vivere nell’incertezza continua. Però evidentemente c’è una parte di me che pensa di dover vivere così. Non misuro il mio stare al mondo perché ho la prole o il mattone» [a Denise Negri, SkyTg24 25/8/2013].
• Con la Buy hanno divorziato nel 2012, ma si erano separati nel 1993: «Pensavamo che dopo la separazione fosse tutto automatico. Molti ci percepiscono sempre insieme, e d’altronde io nei film faccio spesso il marito di Margherita». Ora sta con Carla Cavalluzzi, sceneggiatrice. «È del mio paese, di Grumo Appula, era amica di famiglia e la conoscevo quando era ragazzina. Poi l’ho incontrata di nuovo girando Tutto l’amore che c’è, scoprendola appassionata di cinema e laureata con una tesi su Kieslowski».