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 2012  giugno 01 Venerdì calendario

Biografia di Carlo Rubbia

• Gorizia 31 marzo 1934. Fisico. Premio Nobel 1984 per la scoperta delle particelle elementari W e Z (insieme a Simon van der Meer). Senatore a vita (nominato da Giorgio Napolitano il 30 agosto 2013, gruppo parlamentare Autonomie-Psi). «Un ipotetico quadrato di specchi, lungo 200 chilometri per ogni lato, potrebbe produrre tutta l’energia necessaria all’intero pianeta».
• «Nella sua bella faccia giuliana dalla non lontanissima somiglianza con quella dell’attore americano John Wayne, ciò che più colpisce sono gli occhi di bambino messi su un uomo antico alto quasi un metro e novanta e spalancati sulla meraviglia. “Ho vissuto a cavallo di due secoli, conosciuto una quantità innumerevole di persone e tra queste menti geniali come Enrico Fermi, Niels Bohr, Richard Feynman, Wolfgang Pauli. Ho imparato che la vita è un recipiente, devi considerarlo sempre mezzo pieno. Sono nato in un tempo di tragedia in cui non potevi non essere ottimista (…) Da piccolo il regime fascista mi fece vestire da balilla, mio padre era partigiano, mia madre profondamente antifascista. Mi hanno educato alla libertà e alla conoscenza. Ho sempre prediletto il domani rispetto all’oggi e mi è sempre piaciuta l’invenzione. Per un’invenzione ancora non diffusa avrei potuto morire. La penicillina, scoperta nel 1929, non fu disponibile se non dopo la guerra. Fortunatamente riuscii ugualmente a guarire dalla broncopolmonite. Nell’immediato dopoguerra la voglia di progredire era una spinta fortissima, una carica di energia che non si è mai più rinnovata con la stessa forza. La conoscenza è basata sull’incertezza, sui traguardi che appaiono impossibili, sulle piccole cose che scorgiamo lontanissime, indefinite e spaventose ma che ci attraggono come un magnete. Solo gli intrepidi e gli avventurieri le vedranno da vicino. Il mondo è stato cambiato dall’eccezione, non dalla media”» (Dario Cresto-Dina).
• Figlio di un ingegnere elettronico e di una maestra elementare, dopo aver fallito il primo esame di selezione (undicesimo su dieci), entrò alla Normale di Pisa dove si laureò nel 1957 (col grande Marcello Conversi, tesi sui raggi cosmici), poi un anno alla Columbia University. Dopo una breve sosta alla Sapienza di Roma andò a lavorare al Cern di Ginevra (l’Organizzazione europea per la ricerca nucleare), dove ancora oggi si occupa di ricerche inerenti la fisica delle particelle elementari. Insegna Complementi di fisica superiore all’Università di Pavia.
• La fama internazionale arrivò dall’esperimento con cui nel 1983 scoprì le particelle che sono responsabili dell’interazione debole, cioè i bosoni vettoriali W+, W− e Z, confermando anche la teoria dell’unificazione della forza elettromagnetica e della interazione debole nella forza elettrodebole. Nel 1984, ad un anno dalla scoperta, ricevette insieme all’olandese Simon van der Meer il Premio Nobel per la fisica.
• A proposito del Nobel: «Quando ho avuto la notizia stavo andando a Trieste. Ero in taxi e da Linate mi dirigevo a Malpensa, dove il mio volo era stato dirottato. In macchina il tassista aveva la radio accesa e a mezzogiorno venne data una notizia flash. Un italiano aveva vinto il Premio Nobel per la Fisica. E fecero il mio nome. Il tassista commentò: “Ma chi è questo Rubbia?”. “Guardi che sono io”, gli risposi. E lui si commosse talmente che non volle farmi pagare la corsa. La notizia non mi prendeva del tutto di sorpresa, sapevo di essere in una rosa di candidati, ma quello che accade tra i membri dell’Accademia delle Scienze non ha nulla di formale ed è davvero imprevedibile. Quando ti capita una tegola del genere sulla testa è come essere percosso da una forza centuplicata. Un premio Nobel deve sapere tutto e su tutti. Almeno questo si aspettano gli altri. Il messaggio che un evento del genere veicola, che poi non è altro che uno dei tanti eventi della vita, perché non ti dà l’immortalità..., è che agli occhi degli altri ti trasformi in James Bond. E invece non lo sei, tu sei rimasto lo stesso, nulla è cambiato, hai soltanto ricevuto un riconoscimento. E invece quello che dici, tutto ciò che fai assume un peso enorme. Così impari a trattenerti, a stare attento a come ti esprimi. Quando prendi un premio Nobel nel bel mezzo del cammin della tua vita, hai ancora un sacco di cose da fare. Ma come le fai? La ricerca è fatta di errori, di ripensamenti, di cambiamenti di rotta. Se devo fare un calcolo, direi che delle mie idee ha funzionato un 10 per cento, l’altro novanta invece no. Ma questo accade anche a Silicon Valley. Ma se sei un Nobel devi sempre dire la cosa giusta, e la tua produttività non può fermarsi. Invece la produttività scientifica ha una caduta fisiologica, a causa del carico di responsabilità. È un fenomeno che è stato anche studiato e analizzato. E così è. Naturalmente un premio Nobel non è soltanto una tegola sulla testa. C’è anche l’aspetto positivo. Innanzitutto è l’unico premio che ti dà un’influenza politica. Se vuoi incontrare un politico non devi fare altro che chiederlo e vieni ricevuto. E quindi hai la possibilità di fare cose utili e necessarie per la ricerca, per i giovani e per la comunità scientifica. Se hai perduto produttività come individuo, guadagni in peso politico e sociale. Uno scienziato quando lavora non pensa ai riconoscimenti. Non ragiona come un atleta alle Olimpiadi che ha come obiettivo la medaglia d’oro. La ricerca è motivata dal piacere e dal divertimento. Il piacere che si prova ad essere l’unica persona al mondo ad avere una risposta, di essere in possesso di una verità che nessun altro in quel momento sa, è il premio infinitamente più importante di qualsiasi altro. Del Nobel mi resta il ricordo della cerimonia così regale. La persona che vince il Nobel per la Fisica ha un ruolo molto importante, scende dalla scalinata tenendo il braccio della regina e sua moglie il braccio del re. Ricordo il frac preso a nolo. Le prove per non sbagliare nulla. Il cerimoniale è ferreo. Provi i tempi. Tutta la cerimonia si svolge in svedese, allora ti spiegano come capire quando è il tuo turno: “Quando sentirai pronunciare in modo chiaro il tuo nome è il momento di alzarti”. Ti insegnano perfino come sederti alzando le code del frac, perché se ti siedi come abitualmente fai, quando ti presenti davanti al re hai tutte le code spiegazzate».
• Dal 1999 al 2005 fu prima presidente, poi commissario straordinario, poi di nuovo presidente dell’Enea (Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente): nominato dal governo D’Alema, se ne andò con Berlusconi. L’esperienza fu fonte di molte amarezze per le differenze di opinione (e l’impossibilità di qualunque mediazione) con il Consiglio d’amministrazione dell’Ente. Alla fine, dopo la pubblicazione su Repubblica di una lettera di protesta («si è giunti al punto di chiedermi, avendo io presentato una rosa di cinque nominativi, di proporne invece una di sei, indicandomi ovviamente anche quale dovesse essere il sesto nome: quello che avevano già deciso dovesse occupare la carica di direttore generale»), il governo lo revocò dall’incarico.
• Lasciata l’Enea, emigrò in Spagna per impegnarsi con il Ciemat (Centro di ricerca sull’energia, l’ambiente e la tecnologia) nella creazione della prima centrale termodinamica solare. «Lo studio è conosciuto con il nome di “Progetto Archimede” e, negli ultimi anni, Rubbia aveva tentato inutilmente di realizzarlo in Italia. La prima centrale solare termodinamica doveva, infatti, essere costruita a Priolo, in Sicilia. L’idea riprende il famoso principio degli specchi ustori di Archimede e, non per caso, avrebbe dovuto essere realizzata in Sicilia, con una compartecipazione Enel-Enea. Il progetto Archimede era il frutto di tre anni di lavoro e non avrebbe richiesto fondi pubblici. La realizzazione della centrale avrebbe beneficiato del finanziamento bancario» (Daniela Daniela).
• Nel 2007 è tornato a lavorare in Italia come consulente del ministero dell’Ambiente (guidato allora daAlfonso Pecoraro Scanio) sulle fonti di energie rinnovabili: «Non solo il petrolio e gli altri combustibili fossili sono in via di esaurimento, ma anche l’uranio è destinato a scarseggiare entro 35-40 anni, come del resto anche l’oro, il platino o il rame. Non possiamo continuare perciò a elaborare piani energetici sulla base di previsioni sbagliate che rischiano di portarci fuori strada. Dobbiamo sviluppare la più importante fonte energetica che la natura mette da sempre a nostra disposizione, senza limiti, a costo zero: e cioè il Sole, che ogni giorno illumina e riscalda la Terra» (a Giovanni Valentini).
• Nel maggio 2008, dopo l’annuncio del ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola di voler procedere alla costruzione di nuove centrali atomiche, ebbe uno scontro a distanza conUmberto Veronesi, diventato paladino del nucleare: «Si occupi di oncologia, dove riesce benissimo, lasciando il nucleare a chi ne ha competenza», disse. Veronesi non volle replicare.
• Oggi dirige un think tank sull’energia a Potsdam, collabora con la Cina per realizzare amplificatori nucleari al torio (macchine soprannominate Rubbiatron), guida un esperimento sui neutrini tra il Cern e il Gran Sasso e collabora con il Fermilab di Chicago, che sta per lanciare test analoghi. [Elena Dusi, la Repubblica 31/8/2013].
• Le sue ricerche più recenti riguardano la stabilità del protone, della fissione, della fusione nucleare controllata. Rubbia ha infatti ideato un motore (il progetto 242) che usando solo 2,5 kg di americio 242 può portare un’astronave fino a Marte in un tempo molto minore degli attuali propulsori.
• Ha ricevuto 32 Lauree Honoris Causa.
• Dice di vivere la sua esperienza da senatore a vita come «un alieno che viene dal passato più che dal futuro».
• Socio onorario nazionale dell’Accademia Nazionale dei Lincei, della Pontificia Accademia delle Scienze, della National Academy of Sciences americana, dell’Accademia Russa delle Scienze, della Royal Society e di numerose altre accademie europee e americane, si è visto intestare anche un asteroide, l’8398 Rubbia.
• Cattolico: «La natura è costruita in maniera tale che non c’è dubbio che non sia costruita così per un caso. Più uno studia i fenomeni della natura, più si convince profondamente di ciò. Esistono delle leggi naturali di una profondità e di una bellezza incredibili. Non si può pensare che tutto ciò si riduca a un accumulo di molecole. Lo scienziato in particolare, riconosce fondamentalmente l’esistenza di una legge che trascende, qualcosa che è al di fuori e che è immanente al meccanismo naturale. Riconosce che questo “qualcosa” ne è la causa, che tira le fila del sistema. È un “qualcosa” che ci sfugge. Più ci guardi dentro, più capisci che non ha a che fare col caso».
• «La scienza è un’avventura piena di dubbi, di fallimenti e di momenti di emozioni straordinarie. Molte volte ciò che propone non funziona, dovremmo continuare a chiederci: perché non così? perché non così? Romperci la testa in laboratorio. E, invece, il fallimento non è ammesso. Siamo conservativi, ostinati nel pensare che quello che ha funzionato nel passato continuerà a funzionare nel futuro. Ma il più delle volte è un errore. Ci resta quasi tutto da capire, è la cosa che ci differenzia dalle altre specie. A me piace guardare. Un quadro, un libro, un film, un ingranaggio, non c’è separazione tra il lavoro e il divertimento. (…) È un enorme peccato che non si vada su Marte con i piedi e la bandiera. La Luna è un sasso, nulla. Marte invece ha tutto: il Nord, il Sud, l’equatore... Senza un motore a propulsione nucleare però non ce la possiamo fare. Il problema non è andare, ma tornare da Marte sulla Terra. E centrarla la Terra... È una lunga storia. Ah, mi creda, sarebbe un posto fantastico da visitare... se solo ne avessimo il tempo (…) Dopo la morte? Non so rispondere ma il difetto non mi preoccupa. Né mi preoccupa la mia, di morte. Le cose sono e continueranno a essere, resterà ciò che abbiamo costruito, l’amore che abbiamo saputo offrire, l’amore che abbiamo meritato. Vado avanti come se niente fosse, imparerò quello che ancora riuscirò ad imparare. Come si dice? The show must go on, ballerò fino al giorno prima di sparire» (a Dario Cresto-Dina).
• Vedovo di Marisa Romé (scomparsa nel settembre 2013), due figli, Laura (medico) e André (ingegnere).