1 giugno 2012
Tags : Antonino Rotolo
Biografia di Antonino Rotolo
• Palermo 3 gennaio 1946. Mafioso. Detenuto al 41 bis. Capomandamento di Pagliarelli, a Palermo. Numero 25 nel codice dei pizzini di Bernardo Provenzano.
• Come ha cominciato la carriera lo spiega Tommaso Buscetta al presidente della commissione parlamentare Antimafia, Luciano Violante, in un’audizione del 1995: «Antonino Rotolo era una persona amica nostra, di un’altra famiglia rispetto a Pippo Calò ma che si era molto affezionato a Pippo Calò e che si era dato, insieme a Pippo Calò, a questi sequestri e al traffico di droga, diventando molto ricco ed antipatico a Stefano Bontade, il quale aveva detto che si era fatto uomo d’onore un uomo il cui cognato era vigile urbano». Nella guerra di mafia scatenata negli anni Ottanta dai corleonesi contro Stefano Bontade e alleati (vedi Totò Riina), infatti si schierò coi corleonesi, e finì così intorno al tavolo della commissione, essendo seduto a capotavola Totò Riina.
• Tra gli ammazzati per mano sua, Santo Inzerillo (26 maggio 1981: «Santo Inzerillo fu invitato quel giorno a una riunione per un chiarimento. Voleva sapere a tutti i costi chi aveva ucciso il fratello Francesco. Ad un segno di Antonino Rotolo io, Francesco Davì, Salvatore Scaglione e Raffaele Ganci, bloccammo Inzerillo mentre Antonino Rotolo gli mise una corda al collo e lo strangolò» (il pentito Giuseppe Marchese, ndr).
• Arrestato a Roma nell’85, fu condannato per la prima volta per mafia il 16 dicembre 1987, all’esito del maxiprocesso, a 18 anni di reclusione.
• Nel 2001 i giudici accertarono (in via definitiva) che non aveva smesso di essere mafioso neanche nel periodo di detenzione, condannandolo ad altri tre anni, in continuazione con la prima condanna, e nel 2005 lo condannarono ad altri trent’anni per l’omicidio di Gioacchino Crisafulli, ucciso in Palermo il 27 aprile 1983 (ex appuntato dei carabinieri, non si faceva i fatti suoi, informandosi del contenuto di alcune casseforti spedite, tra gli altri, da Rotolo, negli Stati Uniti, contenenti droga raffinata a Palermo).
• Stava dunque scontando in carcere le varie pene, quando, nel 2003, si fece diagnosticare una gravissima ipertensione, ottenendo gli arresti domiciliari. Fu così che entrò nel direttorio ristretto di Cosa Nostra, formato, oltre a lui, dal medico Antonino Cinà, Totuccio Lo Piccolo e Bernardo Provenzano, il capo supremo (che però nei pizzini gli scriveva: «Io e te siamo uguali»). Con Provenzano comunicava per lo più a mezzo pizzini, che Nicola Mandalà gli consegnava in un certo box in lamiera, dove lui teneva riunioni con altri mafiosi relative a pizzo, appalti, concorsi negli ospedali, candidature politiche. Gli misero una microspia in questo box e a un certo punto lo sentirono dare lezioni di omicidio al suo figlioccio, Gianni Nicchi: «Spara sempre due-tre colpi (...) Non ti avvicinare assai... Non c’è bisogno di fare troppo scrusciu (...) Quando cade a terra, in testa e basta. Vedi che in testa poi ti puoi sbrizziari» (cioè “schizzare”). Vittima designata Salvatore Lo Piccolo per il suo desiderio di far rientrare gli scappati (vedi Salvatore Lo Piccolo).
• Prima che scoppi un’altra guerra di mafia il 20 giugno 2006 gli inquirenti fanno scattare l’operazione “Gotha” (oltre a lui arrestano altre 44 persone), e questa volta i giudici alla storia dell’ipertensione non ci credono più. Per tutti i reati contestati nell’ordinanza di custodia cautelare del 2006 (associazione mafiosa, nel ruolo direttivo, ed estorsioni, anche in danno di nove piccoli commercianti cinesi), il 21 gennaio 2008 è stato condannato in primo grado a vent’anni di reclusione (pena ridotta a nove anni in appello, grazie al riconoscimento della continuazione con le precedenti condanne – sentenza definitiva il 12 novembre 2011).
• Il 19 maggio 2011 è stato condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio di Giovanni Bonanno (vedi Antonino Cinà).
• Rispetto Intercettato, il 23 ottobre 2005, mentre spiegava la differenza tra soggezione e rispetto: «Noi campiamo per il popolino. Prima uno deve rispettare la gentaccia del quartiere per essere voluto bene, perché tu non devi essere, come dire, temuto. Tu devi essere voluto bene, che è diverso. Perché il rispetto, signori miei, è una cosa. La soggezione è un’altra: appena ti giri… e un altro ha la possibilità, un colpo di pugnale te lo dà. Ma se tu, come si dice, fai del bene, la pugnalata non te la dà nessuno». (a cura di Paola Bellone).