1 giugno 2012
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Biografia di Guido Rossi
• Milano 16 marzo 1931. Giurista. Avvocato. Manager. È stato, tra l’altro, presidente dalla Consob (15 febbraio 1981-10 agosto 1982) che lui stesso aveva contribuito a far nascere (anni Settanta), senatore indipendente di sinistra eletto delle liste del Pci nella X legislatura (1987-1992) e realizzatore della normativa antitrust, presidente della Telecom (in due diverse circostanze), commissario della Federazione Italiana Gioco Calcio. Ha guidato, da presidente di Ferfin-Montedison, il risanamento dell’azienda dopo l’uscita dei Ferruzzi. Consulente di Abn Amro ai tempi della vittoriosa battaglia per Antonveneta e di Massimo D’Alema nel caso Unipol. Uno dei potenti d’Italia. Importanti rapporti con la Procura di Milano.
• Insegna Diritto commerciale a Trieste, Venezia, Pavia, Milano (Statale). Professore emerito di Diritto commerciale alla Bocconi. È stato docente di Filosofia del diritto nell’Università del San Raffaele.
• «È un genio nonostante la faccia da macellaio. Quando era un giovanotto ed era iscritto a Giurisprudenza, era un fenomeno. Figlio di una impiegata (modesta) del Comune di Milano, aveva una particolarità: studiava assai. Soprattutto capiva quello che studiava, ed era lui a insegnare ai professori, non viceversa. Un suo compagno di facoltà o di collegio mi ha raccontato: preparava gli esami in due notti e prendeva trenta e lode; noi ci spaccavamo le natiche per mesi e rimediavamo venticinque-ventisei. Suo padre non lo ha mai riconosciuto come figlio, ma gli ha fornito i mezzi per laurearsi. Mai soldi furono spesi meglio. La madre nel suo piccolo è stata divina: lo ha saputo educare come chiunque di noi sogna di educare la prole. La storia di questa famiglia zoppa mi incanta e commuove. Ecco perché non dirò mai una parola storta su Rossi. Rossi finge di essere comunista per motivi sentimentali. Una sera gli capitò di cenare con Berlinguer e ne fu affascinato. Calcola poi che a sinistra le strade sono in discesa e Rossi non prende mai strade impervie. Semplifica» (Vittorio Feltri).
• Studi al collegio Ghisleri di Pavia, laurea in Giurisprudenza nella medesima città (1953), Master of Laws a Harvard nel 1954, dove è allievo di Louis Toss, maestro di Diritto commerciale comparato (aveva insegnato anche a Yale). Rientrato a Milano avvia con successo lo studio di avvocato commercialista e viene chiamato a insegnare all’università. Adolfo Tino, a quell’epoca presidente di Mediobanca, impressionato dai suoi articoli lo vuole conoscere e poi include il suo studio tra quelli che, da allora in poi, seguiranno tante partite dell’istituto.
• Nominato presidente della Consob, si dimette perché in disaccordo col governatore della Banca d’Italia Ciampi sulla gestione del caso Calvi-Ambrosiano.
• «È lui l’avvocato che presenta in procura, per conto di Gemina, l’offerta di acquisto per la Rizzoli-Corsera che consegna, nel 1984, ad un prezzo quasi simbolico, via Solferino all’accoppiata Fiat-Mediobanca. È sempre lui a difendere le ragioni di Mediobanca quando, nel 1987, si scopre l’esistenza di un patto di sindacato tra i privati e le banche Iri. E quando Carlo De Benedetti ed Eugenio Scalfari incrociano le spade contro la Fininvest nella guerra per la Mondadori, è Guido Rossi a rappresentare il fronte della Cir» (Ugo Bertone).
• Divenne poi capo della Telecom semiprivatizzata: «A chiedergli di accettare l’incarico è Massimo D’Alema. Lo chiama a casa una sera del gennaio 97. Rossi ha già rifiutato altre offerte da Botteghe Oscure. I loro rapporti sono stati fino allora non proprio strettissimi e D’Alema sa che dev’essere convincente. “Questa volta, caro professore, non potrà dirmi di no”. In ballo c’è la “madre di tutte le privatizzazioni”. E in effetti Rossi non rifiuta. Con Tomaso Tommasi di Vignano, che di Telecom era direttore generale, va a sostituire Biagio Agnes ed Ernesto Pascale, “dimissionati” dal governo. Ma non dura granché. Rossi, dieci mesi dopo, se ne va dopo un duro scontro sui poteri nella società ormai sul mercato. Con un’arringa polemica di 45 minuti contro la “permanente cultura delle partecipazioni statali” (arringa che non è proprio gradita al Bottegone) e dopo “un lungo, affettuoso colloquio telefonico” con Romano Prodi, come sottolinea una nota ufficiale di Palazzo Chigi» (Sergio Bocconi).
• Il suo giudizio su D’Alema e su quella scalata fu molto duro: «Palazzo Chigi è l’unica merchant bank dove non si parla inglese». Ha rappresentato Abn Amro nell’“estate dei furbetti” (vedi CONSORTE Giovanni, FIORANI Gianpiero, RICUCCI Stefano) sostenendo subito la tesi del “concerto”: le tre operazioni erano collegate e i tre scalatori si aiutavano l’un l’altro. Questa teoria finì poi per essere trasformata dalla Procura di Milano in un’accusa per associazione a delinquere.
• Da commissario della Figc, nominato la sera del 15 maggio 2006 dal Coni dopo le dimissioni di Franco Carraro in conseguenza dello scandalo detto Moggiopoli (vedi MOGGI Luciano), mise a capo dell’Ufficio indagini Francesco Saverio Borrelli (protagonista di Mani pulite), a presidente del Caf Cesare Ruperto, che era stato presidente della Corte Costituzionale, alla Corte federale Piero Sandulli. Fece in modo che le sentenze relative allesquadree fossero emesse in tempo per la formazione dei calendari. Difese poi strenuamente Lippi, che molta stampa avrebbe voluto estromettere dalla responsabilità di ct della Nazionale dato che il nome di suo figlio Davide era saltato fuori nel corso dell’inchiesta. Guido Rossi difese l’allenatore e difese pure Cannavaro, che in una conferenza stampa aveva imprudentemente rilasciato dichiarazioni non sfavorevoli a Moggi. Poté così rinvendicare una parte del merito per il titolo conseguito poi in Germania. Accettò quindi l’idea di Demetrio Albertini di affidare la squadra a Donadoni, dopo che Lippi, vinto il Mondiale, diede dimissioni irrevocabili. Commentò così le prime vittorie degli Azzurri sotto la nuova gestione: «La vittoria di Donadoni è l’affermazione del principio di competenza sul principio di appartenenza. Solitamente in questo paese vai avanti se “appartieni” a qualcuno, se sei di Cl oppure se lavori per Mediaset. Se sei competente o meno, non importa a nessuno. Donadoni è stato bravo prima di tutto perché con la determinazione, il lavoro e la serietà è riuscito a sovvertire questo principio cardine della nostra società». Quando Tronchetti lo nominò presidente della Telecom, avrebbe voluto mantenere la carica di commissario della Figc, ma dovette cedere all’assalto di tutta la struttura del calcio, che lo aveva vissuto come un intruso assai pericoloso e che sostenne con forza la tesi dell’incompatibilità e del conflitto di interessi (la Telecom e Tronchetti erano legati all’Inter, società del cui cda, peraltro, lo stesso Guido Rossi aveva in passato fatto parte). Diede su quel mondo il seguente giudizio: «Circa un anno fa, dopo la morte dell’ispettore Raciti (vedi SPEZIALE Antonino - ndr), i responsabili politici dello sport dissero: fermiamoci a riflettere. Un anno dopo dicono: fermiamoci a riflettere. La verità è che loro non sono proprio capaci di riflettere. Parlano così, giusto per dire qualcosa che colmi un vuoto, un silenzio. E poi si ricomincia da capo». Quando Tronchetti lo chiamò alla presidenza (15 settembre 2006: Guido Rossi diede le dimissioni dalla Figc il 18), la Telecom era oggetto di quattro grandi inchieste della magistratura e il suo azionista principale era appena uscito da una dura battaglia con il governo in carica (Prodi II). È probabile che Tronchetti fidasse nel patrimonio di relazioni del grande avvocato, che lo aveva già consigliato, cinque anni prima, in un progetto di contenzioso contro Gnutti e Colaninno. Rossi, invece, non fu per niente un presidente docile alla volontà dell’azionista di maggioranza: Tronchetti ha sostenuto o fatto sostenere che Rossi impedì l’accordo con Telefonica e lavorò per deprimere la quotazione del titolo in obbedienza al disegno prodiano di costringerlo a cedere l’azienda a un socio amico del governo che avrebbe poi, rigirando la rete alla Cassa depositi e prestiti, reso possibile la rinascita di una specie di Iri (vecchio sogno, mai abbandonato, del prodismo). Rossi ha sostenuto di aver impedito le intese fra Tronchetti e gli spagnoli - come si andavano configurando in quel momento - perché avrebbero favorito il solo socio Pirelli e gravemente danneggiato gli azionisti di minoranza. Finì che 203 giorni dopo essere stato nominato, il 6 aprile 2007, Rossi fu estromesso dalla presidenza. Ecco quello che disse, a questo proposito, a Federico Rampini: «Il 16 aprile è convocata l´assemblea della Telecom. Lei fino a quell´assemblea è ancora il presidente. Che farà? “Non credo proprio che mi presenterò. Che cosa farei, in mezzo a una lista di amministratori designati per obbedire a chi di suo ha investito lo 0,6% del capitale, e pretende di controllare la società? Qui vengono a galla problemi strutturali del nostro capitalismo, che ho denunciato da decenni. Si paga il prezzo delle riforme mai fatte, delle opportunità sprecate anche quando il centro-sinistra era al governo. Di recente è diventato di moda scoprire il sistema dualistico di governance d´impresa, il modello tedesco (su cui vedi anche GERONZI Cesare): lo scopriamo noi proprio quando la Germania per modernizzarsi prende le distanze da una formula vecchia di settant’anni. Ci si trastulla con questi inutili diversivi, nessuno invece osa toccare le anomalie patologiche del nostro sistema: le scatole cinesi, i patti di sindacato. Questa vicenda Telecom passa tutta sopra la testa del mercato, ecco l’unica certezza: i piccoli azionisti sono resi impotenti, e saranno beffati come sempre. E un paese che soffre di una così grave mancanza di regole naturalmente è il terreno ideale per chi vuole approfittarne, per chi pensa a portar via più soldi che può. Invece del fare, c´è l´arraffare. Questa sembra la Chicago degli anni Venti, sembra il capitalismo selvaggio dei Baroni Ladri nell’America del primo Novecento. Ma almeno in America un secolo non è passato invano. Là semmai con la Sarbanes-Oxley oggi hanno addirittura il problema opposto, quello di un sistema iper-regolato”. Tronchetti ha aperto ufficialmente un tavolo di trattativa per la cessione del controllo di Telecom all’americana AT&T associata coi messicani di America Movil. The Wall Street Journal sostiene che si sono rimessi in moto altri due contendenti stranieri, France Télécom e Telefonica. Alla fine sono tutti gruppi esteri, con eventuali soci bancari italiani nella funzione di comprimari. Una parte della sinistra preme su Prodi perché difenda l’italianità della Telecom. Lei che ne pensa? “Ma ben vengano gli stranieri! Il nostro sistema paese sta dando il peggio di sé. In questa situazione mi par di vedere dei ricorsi storici, torniamo a un´epoca in cui un pezzo d´Italia era sotto gli austriaci, un altro sotto gli spagnoli… Fuor d´ironia, non sono mai stato un nemico della globalizzazione. Se veramente si hanno a cuore gli interessi dell´Italia, vanno difesi in altri modi. Bisogna creare le condizioni ambientali, dalla formazione dei giovani nelle università alla ricerca scientifica, perché questo sia un paese dove è comunque vantaggioso mantenere attività ad alto valore aggiunto, centri d´innovazione. Chi predica la difesa dell´italianità, dov´era quando occorreva costruire le fondamenta di un mercato dei capitali moderno, cos´ha fatto per definire regole serie in difesa degli azionisti? Questo è un paese disperante per chi ha creduto nelle riforme. È un paese dove ormai o si muove la magistratura - e lei stessa è sempre più paralizzata dalle inefficienze - oppure non succede più niente”».
• Nemico dei patti di sindacato, forte assertore del modello delle “public company” o “aziende ad azionariato diffuso”.
• In Mercato d’azzardo, uno dei suoi saggi (Adelphi 2007), ha analizzato i guasti prodotti dal prevalere dell’economia sulla politica concludendo che la crisi mondiale - provocata inizialmente dai guasti dei subprime - sarà molto più lunga di un anno: «Le scommesse sulle insolvenze delle società o credit default swaps ammontano in questo momento a 45 mila miliardi di dollari, cinque volte l’intero debito Usa».
• Sostenitore della candidatura di Giuliano Pisapia a sindaco di Milano, polemizza con la Moratti (allora primo cittadino), e le lobbies che (a suo dire) comandano nel capoluogo meneghino. «Guido Rossi in effetti non ha mai avuto bisogno delle lobbies essendo egli stesso una gigantesca e potentissima lobby. In Borsa anche i sassi sapevano che se per una società le cose stavano mettendosi male i telefoni da chiamare erano solo due: quello di Enrico Cuccia e quello di Guido Rossi. Il primo serviva per uscire dai pasticci legati alla mancanza di denaro, il secondo per uscire da tutti gli altri guai. I due infatti non si sopportavano (…). La sua firma si ritrova in tutte le operazioni che contano da trent’anni a questa parte: da Telecom agli swap della Fiat, vere e proprie acrobazie giuridiche che, con lo stesso metro riservato ad altri sarebbero state oggetto di scandalo, diventavano (anche e soprattutto per le autorità di controllo e per i tribunali) regolari e perfette» (Claudio Borghi) [Grn 15/5/2011].
• «Casa in piazza Castello a Milano, appena sopra la dimora di Umberto Eco, in quello che rischia di essere il condominio con il più alto QI d’Italia, residenze sparse appunto dal piacentino (con piscina olimpionica, il nuoto è una sua grande passione), alla grande villa tonda disegnata da Cini Boeri alla Maddalena, fino alla casa di Venezia. A Milano gli si conoscono poche ma forti amicizie: l’architetto Gae Aulenti, l’editrice Rosellina Archinto e il giornalista del Manifesto Bruno Perini che un paio d’anni fa, quando suo zio Adriano Celentano ebbe bisogno di consulenza legale, non esitò a far varcare anche a lui la soglia di via Sant’Andrea. E poi lavoro e cultura in quantità e qualità inimmaginabili per la maggior parte dei comuni mortali: biblioteca d’arte sterminata, passione soddisfatta per Canaletto e Tintoretto, ma anche per Carrà di cui possiede una tela celebre come I funerali dell’anarchico Galli. Per la letteratura si va dai classici a Simenon per l’appunto, a Proust, scoperto e molto amato in età matura» (Francesco Manacorda).
• Tifa per l’Inter (è stato anche nel suo cda tra il 95 e il 99). Ha risolto presso la Fifa il contenzioso col Barcellona per Ronaldo. Ha cancellato dalle sue abitudini il bar sotto casa dove milanisti e juventini stavano tutte le mattine ad aspettarlo per sfotterlo.
• Sposato, due figli.