1 giugno 2012
Tags : Gianfranco Rosi
Biografia di Gianfranco Rosi
• Asmara (Eritrea) 1964. Regista. Documentarista. Nel 2013 il suo Sacro GRA ha vinto la Palma d’oro a Venezia.
• Doppia nazionalità, italiana e statunitense, si è diplomato presso la New York University Film School. Il primo film nel 1993, Boatman, seguono Afterwords (2001), Below sea level (2008, premio Orizzonti – Doc a Venezia), El sicario-room 164 (2010, premio Fripesci Award a Venezia).
• «Un documentarista deve restare anonimo. Non racconto mai la mia storia. Sono nato in Eritrea perché ad Asmara lavorava mio padre. Ma non dico altro, aprirei un territorio in cui non voglio entrare» (a Valerio Cappelli) [Cds 8/9/2013].
• Nato durante la guerra tra Etiopia ed Eritrea, a 13 anni venne portato in salvo in Italia in un aereo militare, mentre i genitori rimasero ad Asmara. Cresciuto tra Roma e Istanbul.
• «Due anni di medicina alla Normale di Pisa, poi nel 1985 una fuga a New York e l’iscrizione alla NYU film school. Il tempio della fiction, la scuola che ha formato sia Jim Jarmush che Spike Lee o Joel Cohen. Lui però dichiara che i suoi maestri sono Mizoguchi, Ozu e Robert Kramer. E fin dall’inizio cerca storie vere, volti, frammenti di realtà. Una strada tutta sua che non somiglia né al documentario d’inchiesta alla Michael Moore, né al purismo e alla fredda registrazione fotografica della scuola francese da Jean Rouch a Raymond Depardon» (l’Espresso).
• «A Boatman ho lavorato quattro anni, cinque ce ne sono voluti per Below sea level. Con la stessa passione umanista ho vissuto sulla barca di un pescatore del Gange e nella comunità di senza tetto di un’ex base militare del deserto californiano. Solo El sicario-room 164 è stato un instant movie, il monologo di un criminale del narcotraffico; l’ho incontrato in un motel del Centro-America, un tizio qualunque che potresti trovare al supermercato. Diceva che su cento rapiti ne tornano a casa cinque o sei. Quando lavoro, so quando inizio e mai quando finisco. Arriva il momento in cui le parole diventano storie e comincio a girare (…) Mi piace lavorare in solitudine. Non inseguo una verità assoluta. Ci dev’essere l’incontro con un luogo, poi vengono i personaggi e la storia. Ogni storia si propone in modo diverso, non ho un approccio stilistico. Alla fine, per un anno non guardo il materiale, continuo a girare, i film li scrivo facendoli. Poi organizzo le emozioni, si configura un ordine attraverso il montaggio». (Valerio Cappelli) [Cds 8/9/2013]
• «Ad Asmara non sono mai tornato e forse, per paradosso, ora che ci penso, il mio prossimo film dovrei farlo proprio lì. Il passato, prima o poi, è giusto affrontarlo. Pensi che durante la lavorazione di SacroGra, in un momento di debolezza, volevo mollare tutto e tornare in America. Mi sono confrontato con questo paese. Dopo tanti anni fuori dall’Italia, era il momento. Mi ha convinto, anzi obbligato, la mia ex moglie» (a Malcom Pagani) [Fat 23/9/2013].
• «Ho qualche modello di riferimento, ad esempio Cassavetes, ma sono sicuro che non sarei un bravo regista di fiction. Dovrei lavorare in un modo che non mi è congeniale e francamente, non ne ho nessuna voglia. Se lo immagina un produttore a cui proponi anni di studio prima di sentir pronunciare il primo ciak?» (ibidem).
• Un matrimonio finito con Anna, da cui ha avuto una figlia, Emma, 14 anni.