1 giugno 2012
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Biografia di Francesco Rosi
• Napoli 15 novembre 1922 - Roma 10 gennaio 2015. Regista.
• Tra i suoi film: Salvatore Giuliano (Orso d’argento 1962 al Festival di Berlino), Le mani sulla città (Leone d’oro a Venezia nel 1963), Il momento della verità (David di Donatello 1965 come miglior regista), Il caso Mattei (Palma d’oro a Cannes nel 1976), Cadaveri eccellenti (David regia 1976), Cristo si è fermato a Eboli (David regia e miglior film 1979), Tre fratelli (David regia e sceneggiatura, Nastro d’argento regia e miglior film 1981), Carmen (David film e regia 1985), La tregua (David film e regia 1997). Nel 2008 premiato a Berlino con l’Orso d’oro alla carriera, nel 2012 a Venezia col Leone d’oro alla carriera. Da ultimo era stato attivo soprattutto a teatro con testi di Eduardo De Filippo (Napoli milionaria, Le voci di dentro, Filumena Marturano).
• «Sono nato nel novembre del ’22, l’anno della marcia su Roma, lo stesso giorno in cui nacque Salvatore Giuliano. Bisognava portare la divisa da balilla, poi da avanguardista, una volta ero a un’adunata senza uniforme, si incazzarono, fui punito».
• «Lo chiamano “Il professore” per la pignoleria con cui segue la lavorazione dei suoi film. Ma un altro soprannome di Francesco Rosi è “Kinglax” marca di famosi cioccolatini purgativi del Ventennio, il cui bozzetto pubblicitario fu tratto da una foto che il padre gli aveva fatto quando aveva solo un anno e mezzo» (Patrizia Carrano).
• «Il mio battesimo avvenne con Chaplin. Mio padre mi portò a vedere Il monello e lì, in quella umile sala rumorosa, intravidi cosa il cinema mi avrebbe potuto dare e cosa io avrei potuto realizzare con questo mezzo (…) La mia educazione avvenne sulle idee di Giustino Fortunato e Gaetano Salvemini. L’impegno sociale, la pulizia morale, le buone regole li avevano stampati in fronte. E poi venne Visconti: fu per me determinante. Diventai primo assistente a La terra trema e fu un’esperienza fondamentale. Il film lo girammo interamente in Sicilia. Per attori furono presi i pescatori e le donne del posto. Eravamo ad Acitrezza. Le riprese durarono sei mesi. Quel film mi ha fatto capire quanto importante è il rigore e l’assenza di artificio» (ad Antonio Gnoli) [Rep 12/11/2012].
• «Mio padre è stato uno straordinario caricaturista e un ottimo fotografo. Era un uomo schivo, gentile, che per senso di responsabilità nei confronti della famiglia rinunciò a fare il fotografo di professione e divenne direttore di un’agenzia marittima. Tutta la prima parte della mia vita è contrappuntata dalle sue fotografie: da quella in cui somiglio a Jackie Coogan nel Monello di Chaplin, con cui vinse il primo premio di un concorso indetto dai distributori del film (un viaggio a Hollywood che rifiutò per fare contenta mia madre) alle tante scattate sui miei set, sempre un passo dietro a me: lo ricordo ancora emergere da una nuvola di calcinacci con la sua Rolleiflex quando feci crollare un palazzo a via Marittima per Le mani sulla città».
• «A Napoli frequentavo il CineGuf assieme a Maurizio Barendson. Quando pensai di iscrivermi al Centro Sperimentale, papà non si oppose. Pretese, da buon genitore bolognese, una laurea. Mi iscrissi a Giurisprudenza, ma la laurea non la presi mai».
• «La gioventù borghese napoletana alla quale è appartenuto Rosi (stessa “classe” di Lizzani e Pasolini, e di Berlinguer) richiama uno di quei gruppi generazionali che hanno fatto la storia politico- culturale dell’Italia postbellica. Accanto ai nomi di Giorgio Napolitano, Peppino Patroni Griffi, Aldo Giuffré, Raffaele La Capria, Antonio Ghirelli, Maurizio Barendson, Domenico Rea — futuri protagonisti in una grande varietà di ambiti — spicca anche quello di Rosi. Punto di incontro e debutto per questa giovanissima intellettualità è la stazione di Radio Napoli dopo la liberazione della città e sotto la giurisdizione militare alleata» (Paolo D’Agostini) [Rep 11/1/2015].
• Abbandonati gli studi di Giurisprudenza, debuttò nel 1946 come aiuto regista in teatro, poi divenne assistente di Visconti, Emmer, Matarazzo, Antonioni, Monicelli.
• «Frequentavo l’ambiente teatrale, ero aiuto di Ettore Giannini e anche attore: ricordo una lunghissima tournée con E lui diceva, uno spettacolo che prendeva in giro le riviste dell’epoca. Ballavo assieme a Panelli, Carlo Mazzarella e Salce, vestito come uno dei boys della Osiris mentre Sordi – che poi diressi ne I magliari – metteva a punto la sua gag di “Boni... state bboni...”».
• «Esordì nella regia nel 1958 con La sfida, rielaborazione di un fatto di cronaca (l’ascesa e la caduta di un trafficante di sigarette nei mercati generali di Napoli) dove la lezione neorealistica si intreccia a quella del cinema americano. Anche in I magliari (1959) ritroviamo la lotta tra il vecchio boss e il nuovo arrivato in una Germania di piccoli e grandi truffatori, ma è con i due film successivi che Rosi modificherà radicalmente il modo di fare cinema politico in Italia. E non solo. Il primo è Salvatore Giuliano (1961, Orso d’argento a Berlino): le gesta del bandito e la sua misteriosa uccisione sono scomposti e ricostruiti attraverso una lunga serie di flashback dove finzione e documentario si fondono magistralmente. Il nodo economico-politico che ha portato all’affermazione della mafia viene presentato con grande chiarezza e in modo cinematograficamente esemplare. La stessa esemplarità all’origine di Le mani sulla città (1963, Leone d’oro a Venezia), dove un caso inventato di speculazione edilizia a Napoli gli serve per mostrare i compromessi del potere economico e politico (ancora una volta) e come si adatti ai cambiamenti della città. Scavare nel reale — della Storia, della Cronaca, della Politica — sarà sempre il faro che illuminerà il suo cammino di regista, sia nei film più liberi e fantasiosi, come Il momento della verità (1965, un povero andaluso cerca il riscatto nella tauromachia), C’era una volta… (1967, una favola ispirata a Basile, sulla furbizia popolaresca) o Carmen (1984, dove l’opera di Bizet è riletta in un rigoroso verismo), sia in quelli più impegnati e militanti, come Uomini contro (1970, da Lussu, sulla prima guerra mondiale), Il caso Mattei (1972, sulla morte del padre dell’Eni), Lucky Luciano (1973, sulla carriera del boss mafioso), Cadaveri eccellenti (1976, sulle trame degli anni di piombo), Cristo si è fermato a Eboli (1979, dal romanzo di Carlo Levi) o Tre fratelli (1981, sui destini di tre italiani variamente impegnati. Per me il suo vero, struggente canto del cigno) Gli ultimi film – Cronaca di una morte annunciata, 1987; Dimenticare Palermo, 1990 e La tregua, 1997 – non ritrovano la forza delle opere precedenti ma non inficiano minimamente un’opera di grandissimo livello, capace di “rappresentare la vita e i personaggi in un contesto sociale e politico”, come disse lo stesso Rosi, «sperando così di aiutare il pubblico a conoscere la realtà del nostro Paese”» (Paolo Mereghetti) [Cds 11/1/2015].
• «Mi considero un testimone del mio tempo e con il mio cinema ho proposto di riflettere sui momenti critici della storia d’Italia. La grande guerra in Uomini contro, la mafia, la corruzione politica, il conflitto d’interessi. Cos’era Le mani sulla città? Un imprenditore che è anche assessore all’urbanistica vuole essere riconfermato per dare le licenze di costruzione alle proprie imprese... Per me fare film ha sempre significato essere utile. Salvatore Giuliano: dieci anni dopo i fatti, durante i quali sono stati scritti fiumi di inchiostro a partire dal famoso articolo dell’Europeo “Di sicuro c’è solo che è morto”, è arrivato il film. Con il potere d’urto che solo un film ha, perché nel cinema ci sono le emozioni, c’è il ritmo che coinvolge lo spettatore, che io ho reso interlocutore. Ecco la novità. Salvatore Giuliano, Il caso Mattei, Le mani sulla città, Lucky Luciano: soprattutto quando ho trattato personaggi veri, io non faccio fiction. Spesso ho chiesto il contributo di giornalisti. Tutti i miei film sono strutturati come inchieste. Solo che di questa struttura facevo il punto di partenza di una narrazione che mette l’uomo al centro di tutto».
• È stato contestato sia da destra (per Le mani sulla città) che da sinistra (per Il caso Mattei).
• Cinzia Colombo rivelò che suo zio, il produttore Nello Santi, ricevette e rifiutò un’offerta da Mariano Rumor, allora ministro dell’Interno, per non mandare nelle sale Le mani sulla città. Rosi si disse all’oscuro di questa vicenda [Paolo Mereghetti, Cds 27/8/2013].
• «È stato anche testimone d’accusa al processo per la scomparsa di Mauro De Mauro. Negli ultimi giorni del luglio 1970 contattò il cronista per fargli ricostruire sul campo le ultime giornate siciliane tra corse a Gagliano Castelferrato dal presidente dell’Eni Enrico Mattei» (Marco Imarisio) [CdS 11/6/2011].
• Tra i rimpianti ha messo «due film mai nati: il ritratto di von Karajan e quello di Guevara. Un mese dopo che fu ucciso il Che, andai in Bolivia per i sopralluoghi, poi a Cuba, dove incontrai Fidel. Ma il film non si fece perché Castro voleva imporre il suo imprimatur finale. E io, che pur apprezzando molto della rivoluzione cubana non intendevo chiudere gli occhi su niente, lasciai perdere» (a Giuseppina Manin).
• «Ho fatto parte dell’Assemblea socialista credendo veramente nella partecipazione degli intellettuali, ma davamo fastidio. Sono stato ai comizi di Cofferati, ero a Piazza Navona la sera dello “schiaffo” di Moretti, sotto al Senato contro la Cirami, ho manifestato per la giustizia e in difesa dei giudici. Sto col centrosinistra, spero si possano superare le divisioni nella sinistra. Come quando mi sentivo vicino a Nenni. Ma ho avuto amici cari comunisti. Quando firmai il manifesto degli intellettuali napoletani a favore del centrosinistra fui insultato come “riformista” da Mario Alicata. Elio Petri, comunista fino al 1956, era un amico. E siamo stati felici di condividere la Palma d’oro ex aequo al suo La classe operaia va in paradiso e al mio Mattei. Ma anche con Franco Solinas che scrisse con me Salvatore Giuliano, rimasto sempre ortodosso, siamo stati amici. Io ero e sono un riformista. Prima era un insulto, adesso tutti sono riformisti. C’era un comizio di Nenni in piazza Plebiscito a Napoli, era gremitissima. A un certo punto Nenni fece un richiamo al Vaticano e io nella foga giovanile gridai “abbasso il papa!”. Si gira un operaio, di quelli con la faccia da altiforni dell’Ilva, mi fulmina con lo sguardo e mi dice: e che cazz’, si ’ncominciamm’ a di’ strunzate nuie... Mi ha seguito tutta la vita».
• Preannunciò il suo voto per Gianni Cuperlo alle primarie del Pd nel 2013.
• Sposato con Giancarla Mandelli (sorella di Mariuccia più nota come Krizia), la secondogenita Carolina (1966) fa l’attrice; la prima, Francesca, nata dall’unione con l’attrice Nora Ricci (1924-1976), morì quindicenne in un incidente d’auto: «Era una bambina down, una creatura esile e piena di grazia».
• Su Giancarla: «Me ne innamorai la prima volta che la vidi: una sera al bar Rosati di Roma. E non ebbi più pace fino a quando non ci mettemmo insieme. Allora, uscivo da una relazione con Nora Ricci che mi aveva dato Francesca, una bambina bellissima che, in seguito, manifestò qualche problema (…) Siamo stati felici, insieme, per cinquant’anni. Senza di lei non avrei realizzato quasi nulla di tutto ciò che ho fatto. Capisce? Ci completavamo. E quando è caduta prima in depressione e poi è rimasta preda dell’Alzheimer, sono come impazzito. Per starle più vicino ho smesso di fare cinema. Mi sono dedicato al teatro. Ma quasi tutto il tempo lo dedicavo a lei (…) Vivo in una casa dove non ho spostato nulla dalla scomparsa di Giancarla. Sono tornato a dormire nella sua stanza da letto. Quando mi sveglio la mattina vedo il mondo che apparteneva a lei e questo per me significa continuità, mi rassicura sui sentimenti che provo» (ad Antonio Gnoli, cit.).
• Con Michel Ciment ha scritto l’autobiografia Dossier Rosi (Il Castoro, 2008). Nel 2013 Gianni Minà ha realizzato il documentario Francesco Rosi. Nel 2014 è stato pubblicato il libro-conversazione Giuseppe Tornatore Io lo chiamo cinematografo (Mondadori).
• «Si è spento serenamente, nella sua casa di via Gregoriana a Roma, a due passi da Trinità dei Monti, con la figlia, l’attrice Carolina, accanto a lui, insieme ai più giovani colleghi e discepoli, Marco Pontecorvo, figlio di Gillo, Marco Tullio Giordana, Roberto Andò, Giuseppe Tornatore, subito accorsi» (Paolo D’Agostini, cit.).
• «È stato il mio amico più caro, con lui in ottant’anni non ho mai perso i contatti. Ci sentivamo quasi tutti i giorni. Ma con un amico si scambiano i sentimenti, Franco e io abbiamo lavorato insieme, dunque all’affetto abbiamo aggiunto la consuetudine delle idee» (Raffaele La Capria a Francesco Erbani). [Rep 11/1/2015].
• «Ci telefonavamo tutti i giorni. Era un rito fisso, la mattina, da dieci anni. Confrontavamo le opinioni sui fatti del paese. Attaccavamo il telefono e lui dieci minuti dopo richiamava per indignarsi su un altro argomento. Facevamo lunghe passeggiata da casa sua, in via Gregoriana, fino al Pincio, al bar di villa Borghese. Ci si vedeva anche per parlare di niente, intrattenere silenzi tra noi. Per sentirci solidali di un progetto comune: il miglioramento del paese. Anche la sua natura di regista era quella di affrontare continuamente la realtà che aveva intorno. L’attaccamento al paese ha fatto la grandezza del suo cinema e di lui come uomo» (Ettore Scola ad Arianna Finos) [Rep 11/1/2015].