1 giugno 2012
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Biografia di Gigi Riva
• (Luigi) Leggiuno (Varese) 7 novembre 1944. Ex calciatore. Dal 1990 al 2013 team manager della Nazionale italiana. «Oggi il mestiere dell’attaccante è molto più facile. Vietato fermare gli attaccanti per la maglia. Proibito il fallo dell’ultimo uomo. Rigori facili».
• Con il Cagliari (nel quale giocò per tutta la carriera dopo esser stato lanciato in C dal Legnano) vinse nel 1970 uno storico scudetto e fu tre volte capocannoniere in serie A (1967, 1969, 1970). Con la Nazionale vinse l’Europeo del 1968 (in gol nella finale bis di Roma contro la Jugoslavia) e fu nel 1970 vicecampione del mondo (a segno nello storico 4 a 3 nella semifinale dell’Azteca contro la Germania Ovest), in tutto 42 presenze e 35 gol (record tuttora imbattuto). Secondo, dietro Gianni Rivera, nella classifica del Pallone d’oro 1969, terzo dietro Gerd Müller e Bobby Moore nel 1970, sesto nel 1968 ecc.
• «Ugo Riva, il padre, era tornato dalla prima guerra mondiale con una medaglia di bronzo al valore. Aveva fatto il sarto, il barbiere, poi era entrato in fonderia. Una scheggia di ferro schizzata via dalla pressa lo passa da parte a parte, come fosse in guerra. Muore il 10 febbraio del 1953. Edis, la madre, lavora in filanda e arrotonda facendo pulizie nelle case dei meno poveri. Gigi è mandato in collegio dai preti: a Viggiù, a Varese, perfino a Milano. Scappa un sacco di volte, e ogni volta lo riportano indietro. Se avrà incubi, da adulto, riguarderanno i giorni in collegio e più tardi quelli in divisa militare, sempre obbligato a obbedire. “E il peso, l’umiliazione di essere poveri, le camerate fredde, il mangiare da schifo, il cantare ai funerali anche tre volte al giorno, il dover dire sempre grazie signora grazie signore a chi portava il pane, i vestiti usati, e pregare per i benefattori, e dover stare sempre zitti, obbedienti, ordinati, come dei bambini vecchi”. Quand’era ancora al Laveno gli arrivò la convocazione dell’Inter e Gigi era interista. Mostrò quel pezzo di carta a tutto il paese, compresi i dirigenti del Laveno che glielo sequestrarono e addio convocazione dell’Inter. E poi, quand’era al Legnano e in Nazionale juniores, la svolta. Italia-Spagna all’Olimpico, 13 marzo 1963, molti osservatori in tribuna, per il Cagliari Silvestri, Tognon e il dirigente Arrica. Nell’intervallo, accordo col Legnano per 37 milioni. Nel secondo tempo Gigi segna il definitivo 3-2 e Dall’Ara (Bologna) offre 50 milioni. Ma ormai è fatta» (Gianni Mura).
• «Quando si andava in trasferta a Milano, a Torino, ci chiamavano pecorai. Oppure banditi. Avevamo dalla nostra migliaia di sardi all’estero, in quell’Italia del nord. Non esisteva la Costa Smeralda, non c’era mica l’Aga Khan, questa bellissima terra non l’avevano ancora massacrata. Noi, che pure eravamo solo dei calciatori, le demmo un nome. Eravamo una questione d’orgoglio, di rivincita per tanta gente. Ed eravamo una squadra completa, giusta sul campo in ogni ruolo. A Milano, una volta, un arbitro si rivolse a Suarez chiamandolo “signor Suarez”, e a un mio compagno invece urlò “se non stai zitto ti sbatto fuori”. Non ci sentivamo soltanto la squadra di Cagliari, ma il simbolo di tutta la Sardegna. Io rispondevo alle ingiustizie a muso duro, e spesso mi perdonavano perché ero importante per la Nazionale e non potevano squalificarmi: allora, gli squalificati non venivano convocati».
• «Angelo Moratti diede un sacco di soldi al Cagliari per congelarmi, perché non fossi venduto a nessuno. Boniperti ci scherza e mi aggredisce ancora, quando mi incontra: in tasca ha sempre il foglio a quadretti dove il nostro presidente scrisse cosa voleva per vendermi: Bettega, Capello, uno tra Marchetti, Gentile e Cuccureddu, più Boni della Sampdoria, Casarsa del Bari, Brignani del Cesena, e inoltre che gli piazzassero Albertosi per avere un altro portiere. Rifiutai la Juve, rifiutai l’Inter e il Milan» (da un’intervista di Maurizio Crosetti).
• «Non tocca palla da latino, non ha neppure il destro come dovrebbe un giocatore della sua fama, e però la sua classe ha pochi, pochissimi eguali al mondo. Il suo scatto è così imperioso da riuscire travolgente. Il suo dribbling di solo sinistro è tuttavia irresistibile quando viene portato in corsa, al di sopra del ritmo normale. Il suo tiro è fortissimo, sia da fermo sia in corsa, sia a volo. I suoi stacchi sono violenti e insieme coordinati, così da consentirgli incornate straordinariamente efficaci. Riva è intelligente e tuttavia coraggioso fino alla temerarietà» (Gianni Brera in Il mestiere del calciatore, 1972).
• «Lo chiamavano Rombo di Tuono. Era stato Gianni Brera a soprannominarlo così commentando la partita Inter-Cagliari del 25 ottobre 1970. Sei giorni dopo, a Vienna, veniva falciato dal difensore austriaco Hof. Seconda gamba fratturata, stavolta la destra, stavolta in modo ancor più serio rispetto al crac al perone sinistro del 27 marzo 1967, Italia-Portogallo. Ha dato due gambe alla Nazionale. Terzo infortunio il primo febbraio 1976: “Correvo, avevo Bet al mio fianco. Cercai di compiere una torsione. I tacchetti mi bloccarono il piede al terreno e mi girai solo con l’anca. Avvertii il dolore acuto di quando si rompe qualcosa. Crollai a terra. Mi portarono via in barella. È finita, pensai”. Era finita» (Stefano Boldrini).
• Fumatore accanito: ai tempi dello scudetto ne fumava «soltanto» dieci-quindici al giorno, adesso si tiene sul vago: «Più di un pacchetto, meno di due. Ma sono passato alle sigarette da donna. Quelle lunghe e strette, per intenderci...» (da un’intervista di Elvira Serra).
• Ha lasciato l’incarico di team manager azzurro perché non riusciva più a guardare le partite: «Era diventato molto stressante per me: durante i match dovevo prendere il Lexotan per calmarmi». Non va più nemmeno allo stadio: «Ora ascolto il risultato finale e il giorno dopo mi guardo la partita» (Elvira Serra) [Cds 17/12/2013].
• Vive a Cagliari, in Sardegna.
• Cena tutte le sere «da Giacomo, che ha un ristorante di pesce, ma a me prepara il minestrone di verdure. Mangio da solo o, se capita, in compagnia».
• Il 9 aprile 2013 fu iscritto nel registro degli indagati per falso ideologico, poi assolto: «Bello scherzo... Volevo andare a trovare Massimo Cellino (ex presidente del Cagliari – ndr) in carcere e Mauro Pili (parlamentare del Pdl – ndr) disse che mi ci faceva entrare lui. Poi però mi ha fatto firmare come segretario. Figuriamoci, con i questurini che mi chiedevano del calcio» [Serra, cit.].