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 2012  giugno 01 Venerdì calendario

Biografia di Paolo Ricca

• Torre Pelice (Torino) 19 gennaio 1936. Teologo. Docente emerito di Storia della Chiesa della Facoltà Valdese di Teologia di Roma (in cattedra dal 1976 al 2002). Numerose pubblicazioni, da ultimo L’ultima cena, anzi Prima. La volontà tradita di Gesù (Claudiana, 2014). Curatore delle opere di Lutero per la casa editrice Claudiana.
• «Il più conosciuto teologo protestante italiano. Ma la sua fama si è diffusa anche oltre i confini del nostro Paese, tanto che la facoltà di Teologia di Heidelberg gli ha conferito la laurea honoris causa. In particolare, di Ricca è noto l’impegno ecumenico» (Maurizio Schoepflin).
• «Sono nato a Torre Pellice che è il centro del movimento valdese. La mia famiglia vi arrivò nel 1600. Si stabilì nelle valli: luoghi spesso inaccessibili, resi ospitali dal duro lavoro. Mio nonno, a un certo punto, emigrò a Nizza e lavorò come portiere d’albergo. Riuscì a far studiare mio padre da pastore. Mia madre, in origine cattolica, si convertì e condivise con il marito il ministero. Dal 1962 al 1965 sono stato pastore in una piccola comunità, a Forano Sabino, non lontano da Rieti. A quel tempo venni incaricato di seguire i lavori del Concilio Vaticano II e scrivere un commento teologico. Poi, per circa un decennio, sono stato pastore a Torino. Erano gli anni della contestazione. La gente disertava la chiesa. Mi chiedevo spesso se stessi facendo bene il mio lavoro. Trovavo difficile l’accordo tra le mie parole e quelle dell’Evangelo» (ad Antonio Gnoli) [Rep 30/3/2014].
• «Il discernimento del bene e del male è possibile là dove si sa che cosa siano il bene e il male. Nella visione biblica questa capacità l’uomo non ce l’ha. E quindi anche il suo discernimento è offuscato. Perciò è necessaria la parola di Dio. Ma l’aspetto più sorprendente del discorso biblico è che la Legge viene dopo l’Esodo. Ovvero, Dio prima libera il suo popolo e soltanto dopo gli dà la legge, fondata dunque sulla libertà raggiunta, che impedirà di tornare a uno stato di schiavitù. (…) Ma Dio, che peraltro non è mai “necessario”, ci indica la strada per dare alla legge il suo vero significato: non come sottrazione di libertà, ma come suo massimo dispiegamento. Io penso che dobbiamo liberarci da questa idea secondo cui Dio deve esserci. Bonhoeffer parla di “un Dio che c’è, non c’è”, proprio per riaffermare che Dio non è necessario. Che Dio è libertà, non necessità. La rivelazione della Bibbia è tale proprio per questo. Rivelare, togliere il velo, vuol dire aiutare l’uomo a capire ciò che non vede: Israele ha creduto in un Dio liberatore, prima che in un Dio giudice e legislatore. È un messaggio formidabile. Certo, sempre se uno ci crede!» (a Franco Marcoaldi) [Rep 10/1/2013].
• «La fede è un viaggio che non si conclude nell’arco di una vita. Quando inizia la fede comincia anche l’inquietudine. La fede rende inquieti ma non dubbiosi. Il dubbio è un interrogativo rivolto a Dio. L’inquietudine è dubitare di se stessi, di ciò che si sta facendo, di quale società si intenda costruire, quale eredità lasciare ai propri figli. (…) Non è detto che se non ci fosse la fede il mondo sarebbe peggiore. Ma neanche migliore. Gesù ha invitato i suoi discepoli a essere servitori inutili. Quindi anche la fede può essere inutile. Ma Dio non è inutile, la fede in lui, sì, può esserla» [a Gnoli cit.].