1 giugno 2012
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Biografia di Carol Rama
• (Olga Carolina) Torino 17 aprile 1918. Pittrice. «La solitudine ti permette di pensare al passato, ai ragazzi che hai baciato al ginnasio, al liceo e anche dopo, durante la tua vita. Se ti capita di non dormire, allora cominci a contare. Una sera, fra quelli che ho baciato e quelli che ho scopato, ne ho contati settantuno. Ho avuto vergogna, ma mi è piaciuto molto».
• «Suo padre, Amabile, è un piccolo industriale che produce automobili col marchio Sintesi. Nella sua fabbrica, in via Digione 17 a Torino, lavora, tra gli altri, un impiegato modello, Vittorio Valletta, che però lascia la Sintesi per andare alla FIAT. L’azienda paterna entra in crisi e viene dichiarata fallita quando Carol è ancora bambina. Subentrano anni durissimi per la benestante famiglia Rama; i genitori si separano e le difficoltà economiche sono aggravate dalla morte del padre, che si suicida nel 1942 a 52 anni. Carol Rama inizia a dipingere giovanissima, come autodidatta, per cercare evasione (“dipingo per guarirmi”, dice nel 1981 ad un incontro con gli studenti della Facoltà di Architettura di Milano, organizzato da Corrado Levi). La sua formazione avviene non attraverso studi regolari alla Reale Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino, come per la gran parte dei suoi colleghi maschi, bensì frequentando Felice Casorati, a quell’epoca il “maestro” più noto e influente in città, il cui atelier è un effervescente cenacolo. Carol ricorda Casorati come “un gran signore” che le voleva molto bene, apprezzava il suo lavoro e la consigliava senza imporle scelte» (Guido Curto).
• «Ha dipinto ritratti e figure geometriche (aderendo, nel ’50, al Movimento arte concreta), paesaggi e maschere tribali, organi genitali maschili (per cui è stata definita “Nostra signora dei falli”) e femminili, orinatoi e protesi ortopediche, scarpe e occhi di vetro. Mai volgare, però. È probabile che, in una Torino piuttosto conservatrice, puritana ed eretica ciò le abbia nuociuto. Come pure un certo “autobiografismo”, che si presta a un doppio registro di lettura: grande temperamento, per i suoi amici; qualcosa di insopportabile per quanti si limitavano ad un esame superficiale dell’artista. Anche perché Carol Rama non ha mai seguito schemi prestabiliti, regole, comportandosi, invece, in maniera istintiva (“una scheggia impazzita nella città di Casorati”, la definirà Lea Vergine) e anche con una buona dose di innocenza. Anche quando ha il coraggio di dire cose tipo: “Per fare i pittori bisogna avere le palle ed essere spiritosi”» (Sebastiano Grasso).
• «Troppo eccentrica per avere successo popolare con le sue immagini conturbanti di sessi, protesi, arti, dentiere; troppo fuori dagli schemi dell’arte, per stile e per comportamento; troppo solitaria nel rifugio della sua claustrofobica mansarda torinese con le finestre coperte da tende nere» (Francesca Bonazzoli) (Corriere della Sera 26/6/2013).
• «A me piacevano quei sessi femminili grandissimi che faceva Fontana, ringraziavo Manzoni che con le sue scatolette ci aveva invitato a pensare alla merda. Ma trovavo volgare che dovesse dichiarare, scrivendolo, che il barattolo conteneva merda. Quando io disegno un sesso maschile, e ne ho disegnati tanti, penso che non possano essere volgari perché fan parte del corpo, come un piede, una testa. A me fan star bene, io disegno e sto bene. E senza paure. La paura è indice di qualcosa che non hai realizzato. Forse l’unica paura che può avere un artista è quella della povertà».
• «Mi ricordo di quando Massimo Mila le regalò i suoi denti per farne un quadro. Lei rimase sconvolta e credeva di morire: raccontava di come aveva messo i denti nell’alcol e dell’orrore che le suscitavano. Fece un quadro bellissimo dove i denti divennero scaglie di una chimera sopra la testa di Mila» (Corrado Levi a Francesca Bonazzoli) (Corriere della Sera 13/11/2008).
• Nel 2003 Leone d’oro alla Biennale di Venezia: «Chiamata ufficialmente a ringraziare per il premio alla carriera alla Biennale, non si mostrò per nulla risarcita, ma giustamente sembrava ancor più risentita e caustica e ricordava con tenera rabbia “la fame patita e l’incomprensione” e sembrava dire: bravi merli adesso ve ne accorgete? Ma piantatela con le cerimonie! Io ci sono sempre stata e con tremenda fatica, ma voi, burocrati della critica e dei musei, dove eravate?» (Gillo Dorfles e Marco Vallora nel catalogo Skira edito per l’antologica inaugurata a Genova il 22 giugno 2008).
• «Non ho avuto modelli per il mio dipingere; non ne ho avuto bisogno avendo già quattro o cinque disgrazie in famiglia, sei o sette tragedie d’amore, un malato in casa, mio padre che si è suicidato. Il senso del peccato è il mio maestro».
• «Se fosse nata in Texas sarebbe miliardaria» (Quirino Conti). Vive a Torino, in una mansarda sul Lungopo con le pareti dipinte di grigio: «Per proteggermi dalle cose negative che ogni giorno porta con sé».