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 2012  giugno 01 Venerdì calendario

Biografia di Ruggero Raimondi

• Bologna 3 ottobre 1941. Cantante lirico. Basso-baritono. Voce potente. Una grande presenza scenica lo ha imposto anche sul grande schermo. È stato fra l’altro Scarpia, uno dei suoi cavalli di battaglia, in Tosca di Puccini (diretta da Daniel Oren con la regia di Hugo De Ana all’Arena di Verona), protagonista di Assassinio nella cattedrale di Ildebrando Pizzetti a Bari (spettacolo ripreso in un dvd Decca), Falstaff con la regia di De Simone («se questo mi verrà come lo vede Roberto De Simone, credo di aver raggiunto il personaggio ideale fra commedia, comico, tragico e immaginario»). In disco don Pasquale nell’opera di Donizetti accanto al tenore Juan Diego Flórez («Raimondi parla più che cantare, però tratteggia il personaggio eponimo con sano umorismo e la giusta punta di malinconia», Enrico Girardi).
• Secondo di tre figli di una famiglia molto religiosa, a 13 anni stupiva tutti cantando le melodie di Mario Lanza e intonando il Credo dell’Otello. Ottenuta un’audizione dal maestro Molinari-Pradelli, fu raccomandato a Gianna Pederzini per poi perfezionarsi con Maria Teresa Pediconi e col maestro Piervenanzi. Iscritto al Conservatorio Verdi di Milano, poi all’Accademia di Santa Cecilia a Roma, seguì dei corsi a Venezia, infine andò a New York con Daniele Ferro. Trionfante al concorso nazionale di Spoleto, dove cantò la Bohème in occasione del Festival dei due mondi 1964, il 16 dicembre dello stesso anno rimpiazzò all’Opera di Roma Nicola Rossi-Lemeni ne I Vespri siciliani ottenendo il primo grande riconoscimento del pubblico e della critica. Seguì una carriera strepitosa: esordio alla Scala con Turandot nella stagione 1967-1968, debutto internazionale nel 1968 al Royal Festival Hall di Londra (Lucrezia Borgia in forma di concerto). Seguirono esibizioni al Festival di Glyndebourne (1969, Don Giovanni), al Metropolitan di New York (Ernani, poi Macbeth nel 1970), al Covent Garden di Londra (1972, Simon Boccanegra), alla Staatsoper di Monaco (1972, Don Giovanni), alla Fenice di Venezia (Boris Godunov, ruolo in cui trionfò anche all’Opéra di Parigi e alla Scala). Notevoli anche le interpretazioni del Barbiere di Siviglia, di Pelleas et Melisande e della Carmen (Escamillo, da baritono).
• Grandi registi hanno lavorato alla sua formazione drammatica, traendolo dagli impacci degli esordi. Prima di tutti, quando era ancora molto giovane, a Venezia, Piero Faggioni («l’uomo che ha cambiato la mia vita e mi ha insegnato a usare la mia ipersensibilità in modo creativo») con un’edizione del Don Giovanni. Poi Franco Enriquez, per l’edizione del Don Giovanni di Glyndebourne. Partecipò alla leggendaria edizione del Simon Boccanegra messa in scena alla Scala nel 1973, con regia di Strehler e direzione d’orchestra di Claudio Abbado. Lavorò con Luca Ronconi per un Faust andato in scena a Bologna.
• Tutto questo preparò i suoi trionfi cinematografici: il Don Giovanni di Losey, la Carmen di Francesco Rosi, la Tosca di Giuseppe Patroni Griffi (e di Benoît Jacquot), La vita è un romanzo di Resnais, Boris Godunov di Andrzej Zulawski.
• «Gli occhi, nerissimi, scolpiti nel marmo pallido del volto. Le labbra, immobili, incise nel ghiaccio e la cornice trionfante dei capelli, intagliata nell’ebano. Per molti, se non per tutti, il ricordo di Ruggero Raimondi è racchiuso in questa icona indimenticabile: il simbolo del Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart girato da Joseph Losey nel 1979. “No, non mi disturba affatto che la mia faccia sia legata a quella immagine. Anzi, mi ricorda che allora ero un Don Giovanni giovane e seducente e che oggi, invece, sono diventato un Casanova un po’ attempato”. Sullo schermo e in palcoscenico Raimondi non è soltanto una voce, ma anche un corpo, uno dei pochi cantanti lirici a possedere una fisicità prepotente e carismatica» (Guido Barbieri).
• «Don Giovanni rimarrà un film storico per l’abbinamento tra la musica di Mozart e le ville palladiane, la regia, il trucco che mi rendeva conturbante e la caratterizzazione psicologica di quel seduttore. Sulle prime io caricavo tutte le mie espressioni. Losey mi diceva: meno, meno, meno. Così ho capito che il cinema è l’arte di fare il massimo dando il minimo. Fu un’avventura dello spirito che negli altri film non si è più verificata. Il set durò tre mesi e mezzo anziché 15 giorni. Ci alzavamo alle tre del mattino per girare alle sei. I recitativi erano in presa diretta, la clavicembalista ci seguiva su un camioncino e lo strumento doveva essere accordato ogni tre-quattro ore causa l’umidità dell’aria. Non so se il cinema renda più vanitosi i cantanti. Certo non me, che sono semplice nella mia complessità. Siamo esseri che vivono su molte insicurezze: basta uno starnuto a comprometterci e poi siamo tutti un po’ schizofrenici, sempre abitati dai personaggi che ci portiamo dentro».
• «Sono una persona lenta, nel senso che ho bisogno di maturare le idee. Come è stato con il personaggio di Scarpia. Lo feci la prima volta con Karajan nel 1978, poi lo lasciai per dieci anni sempre studiandolo, però per trovare la giusta espressività, e infine lo ripresi e lo portai in televisione nel film di Patroni Griffi».
• «Con il maestro Muti ci stimiamo. Ma non c’intendiamo».
• Sposato con Isabel Maier.