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 2012  maggio 31 Giovedì calendario

Biografia di Carlo Aymonino

• Roma 18 luglio 1926 – Roma 3 luglio 2010. Architetto. «Compiango chi utilizza il computer per progettare».
• Tra le sue opere: Tiburtino Ina Case a Roma (1950), Quartiere Spine Bianche a Matera (1962), Complesso residenziale del Gallaratese a Milano (1967-72), Sistemazione della Piazza XX settembre a Fano (1972-1974), Tribunale di Ferrara (1977), Piano per il Centro di Firenze (1978), Giardino Romano in Campidoglio a Roma 2005.
• «Padre dell’urbanistica capitolina, assessore al Centro storico per il partito comunista (1980-84), giunta rossa di Luigi Petroselli» (l’Espresso). Riformista, vicino a Napolitano (Pierluigi Panza).
• La figlia Livia Aymonino (avuta da Ludovica Ripa di Meana), costumista, ha sposato Silvio Sircana, portavoce del secondo governo di Romano Prodi. Il figlio Aldo Aymonino (Roma 15 giugno 1953) è architetto.
Vita Esordisce poco più che adolescente come pittore sotto la guida di Renato Guttuso. Si iscrive alla facoltà di Architettura di Roma, dove si laurea nel 1950. Interessi focalizzati sul progetto architettonico della città, per i quali Roma è un luogo ideale. Allievo di Marcello Piacentini, architetto di Mussolini. «Ma prende rapidamente le distanze da un’architettura accademica, impregnata dal monumentalismo celebrativo fascista, e sceglie come maestri Mario Ridolfi e Ludovico Quaroni, alfieri di un’architettura schietta e moderna, “neorealista” in quanto capace di interloquire con la realtà più feriale e quotidiana di una società che sta vivendo radicali mutazioni» (Claudia Conforti).
• Nel 1950, Ridolfi e Quaroni associano il neolaureato Aymonino nel progetto di un insediamento di edilizia popolare, il Tiburtino Ina Case nella periferia orientale di Roma. L’incarico si trasforma presto in un laboratorio di sperimentazione della nuova architettura italiana, di cui Aymonino diventerà un protagonista.
• Frequenta il milanese Ernesto N. Rogers e il siculo-veneziano Giuseppe Samonà che lo portano ad accentuare la dimensione sociale del progetto architettonico e lo spingono verso l’attività politica. Naturale l’elezione nelle liste del Pci al Consiglio comunale di Roma. Chiamato all’insegnamento a Venezia dal rettore Samonà nel 1963, anima, fino a diventare a sua volta rettore, la straordinaria stagione della Scuola di Architettura veneziana dove operano anche Aldo Rossi, Guido Canella, Costantino Dardi e gli urbanisti Vittorio De Feo, Giancarlo De Carlo, Bruno Zevi e Manfredo Tafuri. Tra i prodotti di questa stagione lagunare spicca il complesso residenziale del Gallaratese a Milano (1967-72), che porta Aymonino e il suo allora assistente Aldo Rossi alla ribalta internazionale. L’insediamento contraddice i principi del funzionalismo, imperanti nei tardi anni Sessanta. «Con i volumi scolpiti, ruotanti e slittati, accesi da cromatismi intensi, con il teatro al centro degli spazi comuni, con il bianco inserto orizzontale di Aldo Rossi, il Gallaratese prefigura una città molteplice, innervata sui percorsi, intersecata da ballatoi e traforata da affacci, dove la varietà, lo scarto, l’imprevedibilità prospettica accendono l’immaginazione e alimentano la fiducia in un modo diverso di costruire e di vivere la città» (Conforti).
• Nei primi anni Novanta, scomparso all’improvviso Costantino Dardi, viene incaricato di progettare nel cortile di Palazzo Caffarelli un nuovo spazio dove collocare definitivamente l’originale della statua del Marco Aurelio. Crea una sala vetrata a pianta ellittica (con sei pilastri in acciaio a sostenere l’ampia cupola) nell’area aperta del Giardino Romano dove insistono importanti resti del tempio di Giove, il luogo più sacro della romanità. «All’inizio risposi che non bisognava mettere mano al Campidoglio. Poi, studiando la situazione, mi convinsi che potevo agire. Via via il progetto è cresciuto». La copertura, in cristallo a triangoli con struttura in acciaio, viene poi modificata in cassettoni quadrati. All’inaugurazione, nel dicembre 2005, dice che alla riuscita del progetto ha contribuito anche «la mia passione per la scultura, dal periodo classico a Canova».
• Usa il computer «per le verifiche, ma non per ideare».
• Nel 2006 presenta insieme a Portoghesi, Marconi e Benevolo una proposta per sistemare la piazza dell’Ara Pacis a Roma. Roberto Morassut, assessore ds al territorio, che ha lanciato il concorso, li esclude fin dalla prima selezione. Portoghesi accusa «il gruppo di potere che in Campidoglio gestisce i beni dell’architettura indipendentemente dalla presenza di Veltroni e che ha dichiarato guerra a una generazione e a una posizione culturale che ha arricchito l’architettura italiana. L’ispiratore di questo atteggiamento discriminatorio è Francesco Ghio, che ha sostenuto l’Hadid per il Maxxi con tutto il resto. Tutto nasce da quando abbiamo firmato il manifesto in favore degli architetti italiani contro i grandi gruppi di ingegneria». Aymonino annuncia un ricorso: «Forse questo poker sul tavolo li ha spaventati. Ricorreremo anche per tutelare la nostra dignità. È incredibile che a noi quattro non sia stata data la possibilità di esprimere un progetto. Il concorso è molto articolato, complesso: per questo ci siamo messi insieme, quattro vecchi ma ancora in gamba. Quanto è accaduto dimostra però che loro pensano che noi non contiamo più una mazza». L’idea si basa sul recupero dell’antico Porto di Ripetta, sulla sistemazione dell’Augusteo con grandi vetrate a protezione dei suoi monumentali resti archeologici e sull’ampliamento di piazza Augusto Imperatore, da liberare totalmente dal traffico e da ornare con spazi verdi di grande qualità, niente a che vedere con gli squallidi giardinetti di oggi. [Pullara].
Critica Nell’ambito di un editoriale di Liberazione, il quotidiano di Rifondazione, che puntava il dito contro il fallimento dell’urbanistica italiana monopolizzata per cinquant’anni dalla sinistra o dal centrosinistra, Aymonino venne indicato come il costruttore di interi quartieri periferici, fautore dell’urbanistica discussa con i cittadini, dei piani strategici, dell’edilizia sociale, delle zonizzazioni. Giuseppe Campos Venuti, coetaneo e compagno di partito e di formazione, che oggi critica certe scelte di allora, come Corviale, considera invece il Gallaratese «un’esperienza riuscita». Alle accuse di aver ricoperto il suo Giardino Romano con una vetrata uguale alla copertura della nuova hall del British Museum, progettata da Lord Norman Foster, Aymonino risponde: «È lui ad aver copiato. L’ingegnere Antonio Michetti, strutturando una mia idea, ha disegnato la rete a triangoli almeno cinque anni prima di Foster. Anche se devo dire che le idee che girano tra gli ingegneri non sono poi tantissime» (Pullara).
• Dagli anni Ottanta operava tra lo studio romano di Testaccio e quello veneziano di Castello. Festeggiò l’ottantesimo compleanno con una festa all’Accademia di San Luca a Roma.
• Morto a Roma il 3 luglio 2010. Sepolto presso il Cimitero monumentale di Torino, sulla sua lapide della tomba di famiglia ha fatto scrivere: «Carlo Aymonino, architetto e comunista». (a cura di Lauretta Colonnelli)