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 2012  maggio 31 Giovedì calendario

Biografia di Pupi Avati

• (Giuseppe) Bologna 3 novembre 1938. Regista. «Il regista deve fare film. Il mio cruccio è non riuscire a farne ottanta come Mario Monicelli».
• Ultimi film: Una sconfinata giovinezza (2010), con Fabrizio Bentivoglio e Francesca Neri, e Il cuore grande delle ragazze (2011), con Micaela Ramazzotti e il cantante Cesare Cremonini.• «Pupi Avati racconta che decise di fare il regista dopo aver visto Otto e mezzo di Federico Fellini. Perché vedendo quel capolavoro capì che il cinema poteva raccontare la vita (tutta quanta) e non era solo la messinscena di un duello tra cowboy e indiani o l’inseguimento di un gangster da parte della polizia» (Antonio D’Orrico) [Sette 8/3/2013].
Vita Nacque nel centro di Bologna, in via San Vitale 51, e lì visse per molti anni: «Durante la guerra tutti erano convinti che, se avessero bombardato, le due torri sarebbero crollate sopra casa nostra».
• Il padre si chiamava Angelo, la madre Ines. Il nonno Avati era un noto antiquario di Bologna, presso il quale la giovane Ines faceva la dattilografa: «Mio padre era il figlio scioperato, molto bello, molto affascinante, elegante. Come da copione mia madre si innamorò del bel rampollo e si mise in testa di conquistarlo». Ines era figlia di un operaio socialista e di una contadina, mentre nell’altro ramo della famiglia erano borghesi e monarchici: «La domenica, quando le due famiglie si riunivano a pranzo, c’erano discussioni molto accese: eravamo in pieno doncamillismo».
• Nei confronti del padre ha sempre sofferto di inferiorità «e a questo è dovuta tutta la mia timidezza. Mi sentivo inadeguato, non ero alla sua altezza, lui era troppo affascinante e io ero convinto di non piacergli, neppure esteticamente».
• Angelo morì nel 1950 in un incidente d’auto. Con lui c’era anche la suocera: «Noi li aspettavamo a Rimini dove eravamo in vacanza. Era il 10 agosto e l’incidente accadde a Santarcangelo di Romagna: la stessa data e lo stesso luogo dove fu ucciso il padre di Giovanni Pascoli».
• Con La seconda notte di nozze ha ripercorso la sua esperienza «quando adolescente vivevo, insieme con i miei due fratelli, la storia di mia madre, una donna piacente, giovane, rimasta vedova, che tutti volevano far risposare».
• «Non ho difficoltà a dire che avevo un innamoramento per mia madre: è la donna che ho amato di più, per quanto ami moltissimo mia moglie e mia figlia».
• «Mia madre aveva conosciuto un violinista austriaco che si chiamava Joseph ma che veniva chiamato Pupi, le piaceva quel diminutivo e così da sempre mi ha chiamato Pupi. Sono sempre stato Pupi, per tutti, anche se fino a quindici, sedici anni mi vergognavo terribilmente di questo nickname». Laurea in Scienze politiche, al cinema arrivò tardi. Prima, per dodici anni, si dedicò al jazz, l’altra sua grande passione: «Alla fine mi sono reso conto che non avevo talento e che in quel mondo, competitivo quanto la boxe, prendevo solo cazzotti, così ho smesso». In seguito lavorò quattro anni per una grande ditta di surgelati.
• «Nel 1968, Ines vende la casa di Bologna e compra un appartamento in via del Babuino, apre la Pensione For You, rifà i letti e porta la colazione agli studenti, uno stratagemma per consentire a Pupi di frequentare il cuore della città del cinema e di realizzare l’ennesimo sogno. Laura Betti, anche lei bolognese, adotta il giovane aspirante regista e lo introduce nel giro degli artisti che gravitavano fra via Margutta e piazza del Popolo. A cena con Alberto Moravia, Bernardo Bertolucci, Marco Bellocchio, Giuseppe Patroni Griffi, Avati incontra Pier Paolo Pasolini, con cui poi scriverà Salò. Miracolo avvenuto, Ines Provvidenza entra in tutti i film del figlio Pupi» (Barbara Palombelli).
• Il finanziatore del primo film di Pupi Avati, nel 1968, fu un certo Mister X, un imprenditore miliardario che non volle far sapere il proprio nome. Si incontrarono al Bar Margherita e Mister X gli lasciò sedici assegni di conto corrente per un totale di 160 milioni di lire, senza pretender la ricevuta (da Pupi Avati, La grande invenzione. Un’autobiografia, Rizzoli 2013).
• Primo lungometraggio Balsamus, l’uomo di Satana (1968), nel 1975 firmò La mazurka del barone della santa e del fico fiorone, con Ugo Tognazzi e Paolo Villaggio, nel 1976 La casa dalle finestre che ridono e il musical Bordella con Gigi Proietti (censurato all’uscita). Poi, tra gli altri, Una gita scolastica (1983), Festa di laurea (1984), Regalo di Natale (1986), Storia di ragazzi e di ragazze (1989), La seconda notte di nozze (2005), La cena per farli conoscere (2006), Il nascondiglio (2007), Il papà di Giovanna (2008), Gli amici del bar Margherita (2009), Il figlio più piccolo (2010), ecc. Molti dei suoi film sono stati prodotti dal fratello Antonio (Bologna 9 giugno 1946). Dal 2002 al 2004 presidente di Cinecittà («un ente inutile, facevo una cosa che costava al contribuente e che, malgrado gli sforzi, era inutile»). Nel 2012 ha diretto una fiction con Christian De Sica dal titolo Un matrimonio. Nel 2013 ha recitato un cameo nel film di Riccardo Milani Benvenuto Presidente!
• Ha pubblicato due autobiografie: Sotto le stelle di un film (Il Margine, 2008) e La grande invenzione. Un’autobiografia (Rizzoli, 2013). 
• Sposato con Nicola (chiamata così in onore del nonno morto e molto amato), ha tre figli che lavorano nel cinema: l’animatore Alvise (Roma 1971), lo sceneggiatore Tommaso (Bologna 1969), la regista Maria Antonia (Bologna 1966). Gli ultimi due hanno realizzato insieme il film Per non dimenticarti.
• «C’è un capitoletto finale, nell’autobiografia di Pupi Avati (La grande invenzione, Rizzoli), nel quale il regista, come si dice accada in punto di morte, ripensa la sua vita il più velocemente possibile. Eccone alcuni fotogrammi. “1) ‘Non ti sei lavato il collo…’ dice mia madre. 2) ‘Ho baciato il tuo libro’ scrivo a Dudù La Capria. 3) ‘È un Selmer, il miglior clarinetto del mondo’ mi dicono gli amici di mio padre. 4) ‘È nata!!! È nata!!!’ urla mia suocera con in braccio Maria Antonia dai capelli neri. 5) ‘Tu sei la rovina della nostra famiglia’ urla mia madre a mia moglie. ‘No, è Lei la rovina’ strilla Nicola. 6) ‘Cazzo!’ urla Mariangela (Melato) la terza volta che Jean-Pierre Léaud nel baciarla non trattiene la lingua. 7) ‘Storia di ragazzi e di ragazze doveva vincere il Leone d’Oro!’ grida Kezich. 8) ‘Abbiamo perso tutte le bollette del Monte di Pietà, tutti i regali di nozze…’ piange mia moglie. 9) ‘Il ruolo di un allenatore di calcio? È una bella idea’ dice Tognazzi. 10) ‘Non ti sei lavato il collo’ ripete mia madre”» (Antonio D’Orrico) [Sette 8/3/2013].
Frasi «Non scelgo i film in base al genere, mi fa pensare ai pregiudizi sulla razza».
• «La maggior parte dei miei film ha come punto di partenza un fatto accaduto nel passato perché ho molta più curiosità verso le cose già trascorse piuttosto che verso il futuro. Questo forse deriva dalla mia cultura contadina».
• «I registi si dividono in due categorie: quelli che sanno lavorare su una sceneggiatura che gli viene affidata e quelli che sanno lavorare solo partendo da una loro idea. I francesi li chiamano “realizzatori” e “autori”. Io appartengo alla seconda categoria. Non so fare altrimenti. Mi consolo pensando che Buñuel sosteneva che da una grande opera letteraria non viene mai fuori un buon film, mentre può accadere che da una cosa modesta esca un capolavoro».
• «Per le lobbies che gestiscono premi e nomination i miei film è come se non esistessero. Mentre la critica mi ha aiutato a crescere. Non generalizzo, non ho complessi da vittima di una congiura. È probabile che la mia prolificità produca diffidenza».
• «Tutte le volte che ho raccontato me stesso, i miei limiti, le mie incertezze, le mie ambizioni, improvvisamente ho trovato un consenso che ha dato forza alla mia carriera».
• «Si diventa molto vigliacchi, nel momento in cui il film va nelle sale. La sera della prima uscita, quando a mezzanotte stanno per telefonarti gli incassi di tutta Italia, avresti voluto fare il film più banale, brutto, commerciale, stupido, volgare del mondo purché faccia tanti soldi. Lì, veramente, abdichi a qualunque ambizione: contano soltanto i numeri, perché sai che la tua professione si confronta col denaro ogni momento».
• «So di non aver fatto il film che avrei dovuto: il mio talento e la mia vocazione avrebbero potuto dare di più. Sono un inadempiente. E quindi continuamente insoddisfatto. Ma l’insoddisfazione è il carburante che mi tiene in vita. Il pugile che sale sul ring senza avere fame è destinato ad andare al tappeto».
• «Il film che si ama di più non è quello che si è fatto, ma quello che si vorrebbe aver saputo fare».
• «Sogno ancora di sfidare Lucio Dalla al clarinetto, di imparare il latino talmente bene da poter tradurre trattati medioevali, di cambiare in modo definitivo anche se poi sono orgoglioso di tenere in vita il bambino che è in me».
Critica «Regista dei piccoli sentimenti, delle storie familiari» (Emilia Costantini).
• «Cantore di Bologna e dintorni, narratore quasi maniacale di quel pezzo di terra» (Silvana Mazzocchi).
Politica «Il mondo grande della storia, delle ideologie l’ho sempre guardato dal basso, da borghese, con diffidenza. Mi sono estranee condizione proletaria, fame, Resistenza, e non sono di sinistra né di destra. Faccio parte dell’Italia di mezzo che non ha voce. Sono stato fortemente democristiano ma quel riferimento non esiste più».
• «Mi danno sempre l’etichetta di cattolico. Ebbene sì, lo sono. Ma non per finta, sul serio. E con orgoglio. Lo so che è strano, per un artista, andare in chiesa. Vado a messa, prendo la comunione, mi confesso dal mio parroco di San Giacomo in Augusta, in via del Corso».
Vizi «Non faccio mai vacanze. Allora accade che, quando la sera sono a casa e parlo con mia moglie, magari di cambiare la tappezzeria alle pareti, mi domandi: “È meglio che la inquadri da sinistra o da destra?”».
• «Non vado a vedere i film degli altri, ho il terrore che mi piacciano e mi facciano soffrire. Non vado nemmeno a vedere quelli brutti, non ce ne sarebbe motivo. Risultato? Non vado quasi mai al cinema».

• «Sono egoista, do solo il superfluo, sono invidioso: quando un mio collega ha successo soffro» (Pupi Avati si confessa in San Pietro, sperando che dall’altra parte ci sia Wojtyla. C’era invece un prete irlandese, che rispose: «Vada dallo psicanalista») (Avati, cit.). 
• Ama leggere mentre mangia. Il suo autore preferito è Faulkner, il suo eroe Robin Hood. Il motto: «Prego Dio che anche se non c’è, ci sia!» (Paolo Di Stefano) [Io Donna 25/5/2013].