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 2012  maggio 31 Giovedì calendario

Biografia di Giorgio Armani

• Piacenza 11 luglio 1934. Stilista. «Il successo isola». 
• Prevalenza del nero nella collezione autunno-inverno del gennaio 2007, dove ha fatto sfilare in smoking il matador Cayetano Rivera (insieme alla nipote Roberta); una settimana dopo, per l’alta moda parigina (abiti ispirati a un viaggio in Rajastan), ha permesso che, per la prima volta nella storia, il défilé fosse trasmesso in internet (da settembre 2007 ha poi cominciato a vendere capi griffati attraverso la rete); nel giugno 2007 Emporio Armani ha proposto giacca e gilet a pelle, camicia trasparente, blazer e pantaloni da cavallerizzo, braga da ciclista alla caviglia e doppiopetto, t-shirt e bermuda in neoprene con pattini a rotelle (linea EA7), in generale aria da sud Italia dei primi Novecento, colori sabbia, grigi e blu Armani.• Da febbraio ad aprile 2007 ha esposto 700 abiti, che raccontano trent’anni di vita, alla Triennale di Milano (la mostra, curata da Germano Celant e allestita da Robert Wilson, proveniva da un giro Guggenheim di Bilbao-Royal Academy di Londra-Shanghai Art Museum).
• Negli spazi di via Bergognone a Milano ha proposto la casa-chiocciola (muri circolari, nessuna porta, nessun quadro, forme geometriche per lui, curvilinee per lei, oggetti prezzati da 100 a 40 mila euro).
• A settembre 2007 ha annunciato l’accordo con Samsung per la creazione di un cellulare e di una tv.
• A novembre 2007 ha inaugurato a Tokyo l’Armani-Ginza Tower, dodici piani con tutte le collezioni, seimila metri quadrati in totale, vetrate, oro, bambù, progetto di Massimiliano Fuksas.
• Ha ingaggiato il calciatore David Beckham come testimonial dell’intimo Emporio Armani (secondo i giornali inglesi, a 28 milioni di euro), la cantante Beyoncé per il profumo Emporio Armani Diamonds, Cate Blanchett per l’ultima fragranza femminile Sì ecc. Ha invece scelto se stesso come testimonial per la linea Giorgio Armani Made to Measure (la foto che lo ritrae mentre sorride è un autoscatto in bianco e nero).
• Nel febbraio 2007, infuriato con la giornalista Cathy Horyn che sul New York Times aveva lamentato di aver visto in passerella pantaloni da jogging, le ha impedito l’ingresso alle sfilate dell’Emporio: «Lei ha il diritto di scrivere, io di lasciarla fuori. C’è il diritto di cronaca, non di idiozia». Il New York Times rispose con un attacco generalizzato ai nostri stilisti: «Per la moda italiana è il tempo delle zoccole», titolo di un articolo in cui si denunciavano banalità, mancanza di idee e volgarità da bordello delle ultime nostre proposte.• Estate 2007 a Pantelleria, nella proprietà di Cala Gadir con sette dammusi e 180 palme «a picco sulle pietre nere dove prima del tramonto si sorseggia tè ascoltando musica new age e dove agli ospiti si offrono motorini targati GA per scorrazzare nel paese» (Gian Luigi Paracchini) (mezzo milione l’anno di manutenzione, dodici persone di servizio, cuoco napoletano Antonio portato da Milano, cuoca locale Marianna, lui bellissimo, lei rotonda, piscina «dove si sono tuffati De Niro, Scorsese, Claudia Cardinale, Ornella Muti, Eric Clapton» (Gian Luigi Paracchini), palme fatte venire dall’Egitto a duemila euro l’una, secondo Luca Villoresi è questo tipo di importazioni che ha introdotto sulle coste italiane il terribile parassita killer detto “punteruolo rosso”).
• A gennaio 2008 moda uomo in velluto, colori di casa: grigi e blu, fango, verde, nero, cammello.
• Il 10 novembre 2011 è stato inaugurato l’Armani Hotel Milano, al numero 31 di via Manzoni. È il secondo dopo quello di Dubai aperto all’interno del Burj Khalifa, l’edificio più alto al mondo, nel 2010. Gli hotel sono il risultato della partnership tra il gruppo Armani e il colosso immobiliare Emaar Properties.
• A settembre 2013 a Milano moda uomo in blu, azzurro, indaco, rosa pallido e bianco, «colore difficilissimo per un uomo, che rischia di diventare retrò o gigolò. Non lo presentavo da molto tempo, il pericolo è che in bianco sembri uno che prende il tè… dove mai oggi?». In passerella ha fatto sfilare anche Sherif, 30 anni, senegalese, fattorino della Giorgio Armani spa. Lo ha visto e ha deciso di provare.
• Della sua mitica giacca dice: «È diventata, se possibile, ancora più morbida, sempre più vicina a una seconda pelle. Grazie anche alla ricerca sui materiali, è diventata una giacca che si fa tutt’uno con chi la indossa» (Michela Gattermayer).
• Laurea honoris causa dal Politecnico di Milano.
• Benché abbia detto più volte di sentirsi giovane e di non volersi ritirare (certe sue foto in costume da bagno scattate ai Caraibi nel gennaio 2008 lo mostrano sorprendentemente prestante), sono circolate con frequenza voci di una sua uscita di scena con cessione dell’azienda o quotazione in Borsa. In febbraio un servizio del quotidiano tedesco Handelsblatt ha riportato una battuta in questo senso dello stilista, ma poi è stato smentito. Il capo della finanza Paolo Fontanelli se ne sarebbe andato (dicembre 2006: sostituito poi a luglio 2007 da Enrico Luerti) per le resistenze di Armani a quotarsi. Tra i pretendenti più accreditati all’acquisto o al subentro, magari con una quota di minoranza di blocco, l’Oréal, suo socio storico nei profumi e nei cosmetici. Altri candidati (ovvi): Ppr, Lvmh ecc. Il gruppo nel 2006 veniva valutato intorno ai 3,5 miliardi di euro (perizia eseguita in occasione del riacquisto del 5% di azioni proprie per 175 milioni di euro). Nel 2012 il gruppo ha sfondato per la prima volta il tetto dei due miliardi (ricavi consolidati a 2,091 miliardi, in aumento del 16%). I numeri del gruppo Armani riportati dal Sole 24 Ore: 12 stabilimenti di proprietà (il cuore della manifattura è a Trento, dove lo stilista ha rilevato gli impianti di un ex licenziatario); oltre 6.500 addetti (una parte importante opera nei 2.023 punti vendita a insegna propria del gruppo); nel 2012 i ricavi in Cina (è tornato a sfilare dopo dieci anni di assenza) hanno messo a segno un forte sviluppo, con un incremento del 39% rispetto all’anno precedente; nel retail a gestione diretta in tutto il mondo l’aumento dei ricavi è stato del 19%.
• «Ci sono mille modi per far soldi, la Borsa è uno. Io non voglio trovarmi di fronte alla porta di casa qualche manager thailandese con cui dover discutere. Da sempre sono solo, indipendente e felice di esserlo. Dipendo solo dalla mia creatività e da quella dei miei collaboratori. Non ho intenzione di imboccare una strada diversa, sarebbe una scelta rinunciataria» (La Stampa).
• Il gruppo ha acquistato la squadra di basket Olimpia Milano e la sponsorizza con il marchio EA7 – Emporio Armani (la linea dei capi sportivi nata nel 2004 e ispirata al calciatore Andrij Shevchenko, all’epoca numero 7 del Milan).
• Su richiesta di Russel Crowe, che ne è il co-proprietario, ha disegnato le nuove divise della South Sydney Rabbitohs, squadra australiana di rugby.
• Renata Mohlo gli ha dedicato la biografia Essere Armani (Baldini & Castoldi, 2007).
• Polemica con Diego Della Valle, impegnato con il restauro del Colosseo a Roma: «Mi piacerebbe che Armani una mattina si svegliasse e dicesse: “Debbo tanto all’Italia e a Milano” e decidesse di dare un grande contributo per il restauro del castello Sforzesco». La risposta di Armani: «Ognuno fa quello che vuole a casa sua. Fino a oggi non ho avuto bisogno che nessuno mi dicesse cosa fare e ho sempre fatto quello che ho voluto. Sono perplesso che l’avvocato, dottore o comunque politico Della Valle si permetta di attaccarmi». In precedenza Della Valle lo aveva definito «vecchietto arzillo» («Vedere una persona, di circa 80 anni, che gira in inverno con una maglietta a maniche corte, mi fa pensare che debba essere sicuramente arzillo, e non è certo un’offesa. Forse io sono influenzato dal ricordo di mio nonno, che all’età di Armani, stava in casa davanti al camino con una coperta sulle gambe e un golf di lana spesso un dito»).
Vita «Il mio primo ricordo sono gli orecchini a palla, d’oro rosso, di mia zia Anna quando avevo quattro anni e mia madre mi portava a casa sua. Era il 1938, vivevamo a Piacenza». Il padre era impiegato, la madre casalinga. «Mia madre, che pure era rimasta orfana presto e aveva dovuto fare da madre a tanti fratelli, veniva da una famiglia di mobilieri che a Piacenza aveva avuto un certo tono. Lei a quel tono ha sempre tenuto e ha cercato di trasmetterlo ai figli. Durante la guerra ci cuciva vestitini di tessuto militare, tutti uguali, ma tanto decorosi da suscitare l’invidia dei nostri compagni di scuola. Comunque io mi sentivo molto elegante anche nella divisa di figlio della lupa, che aveva una specie di bandoliera bianca rigida e una grande M nera laccata. Non mi piaceva invece quella da balilla, troppo anonima».
• Durante la guerra, Piacenza fu un frequente obiettivo dei raid aerei alleati: «Se c’era il sole, avevo paura, perché il sole portava i bombardieri» ha ricordato sua sorella, Rosanna (Piacenza 27 giugno 1939). Un giorno, quando lei aveva 4 anni e il fratello 9, nell’uscire da un rifugio antiaereo, alcuni compagni chiamarono Giorgio, che attraversò la strada per vedere che succedeva. I suoi amici avevano trovato una bomba fumogena. Uno di loro la accese, dando fuoco a una polvere infiammabile che aveva nella tasca della giacca. L’esplosione uccise un bambino e bruciò Giorgio dalla testa ai piedi. Rimase 40 giorni all’ospedale, lo mettevano tutte le mattine nell’alcool e gli tiravano via la pelle. Gli restò una cicatrice lasciata dalla fibbia del sandalo che gli marchiò il piede.
• Quando gli chiedono come si sia sviluppato il suo senso dello stile, Armani ricorda un Natale subito dopo la guerra, quando sua madre servì un pollo per la prima volta in tanti mesi: «Ricordo ancora il profumo». Il piccolo Giorgio pensò che avesse decorato la tavola con troppi fiori. Le disse che avrebbe dovuto togliere alcune decorazioni. «Cominciò tutto così». Finita la guerra, il padre fu mandato in carcere: «Fece otto mesi di reclusione solo perché era stato un impiegato amministrativo presso la Federazione del Fascio. Io avevo 11 anni e ho ancora negli occhi quella rete metallica, e lui lì dietro, ammassato assieme agli altri detenuti. Ricordo le lacrime che gli scorrevano lungo il viso, l’impotenza, la mortificazione. Andavamo a trovarlo la domenica, ma non riuscivamo quasi mai a capire cosa dicesse. Nella confusione delle voci, capitava che un prigioniero rispondesse alla domanda rivolta a un altro. Comunque si riprese, trovò un lavoro a Milano e vi trasferì la famiglia».
• «Non ho mai cancellato dalla mente il rantolo di mio padre, la smorfia del suo viso mentre moriva a 50 anni. Mio padre resta l’unico che ho visto morire. Di tutti gli altri, di mio fratello, di mia madre, ho avuto notizia al telefono e – pensandoci – sempre alla stessa ora del mattino, alle sette».
• Il trasloco a Milano fu per lui uno shock: «A sedici anni, lasciare Piacenza e venire a studiare a Milano. Intanto non vivevamo in centro ma a Porta Ticinese. E poi Piacenza, la provincia, significava un piccolo mondo nel quale noi vivevamo tranquilli e protetti. Belle case marrone, scure sotto la neve. Reminiscenze ottocentesche legate ai nonni. E poi lasciare la natura, la campagna, l’odore del fieno, delle aie». Studiò Medicina: «Ho fatto il servizio militare a ventitré anni ed è stata una grande delusione. Io pensavo fosse come nei film: bello, giusto, estetico. Partii portandomi la racchetta da tennis! Invece nei primi tempi avevo nostalgia di casa. Non ero mai uscito dalla famiglia, e quando vennero i miei a trovarmi, la prima volta, mi misi a piangere come un vitello. Non volevo crescere, avevo fatto due anni di Medicina pensando di diventare uno di quei medici di campagna molto romantici, come li racconta Cronin. In quegli anni ero timido, fragile, goffo. Ero un ragazzo carino, molto civile, e piacevo alla gente».
• Raccomandato da un’amica giornalista, trovò un lavoro alla Rinascente: «Entrai come assistente per le vetrine e divenni poi responsabile di una boutique uomo sperimentale. Alla Rinascente il mio capo mi aveva detto: “Giorgio, lei sarà sempre un buon secondo, si ricordi”». Aveva quasi trent’anni quando giunse la prima occasione, un lavoro con il designer Nino Cerruti: «Lì cominciai davvero a lavorare con impegno per cercare di capire come funzionava un’azienda dalla A alla Z». Poi, un entusiasta di moda, ricco e carismatico, Sergio Galeotti, cambiò per sempre la sua vita: «Mi disse: “Penso che tu sappia fare di più”. Io avevo fatto solo moda maschile e desideravo innovare la moda femminile. Così a 38 anni, in corso Venezia, a Milano, in due stanze, che ammobiliammo con i soldi ricavati dalla vendita delle nostre Volkswagen, iniziammo. Volevo che le donne portassero giacche, cravatte e smoking come gli uomini, ma che restassero il più femminili possibile. I miei maestri furono i creatori di vestiti del cinema americano anni Trenta, e Coco Chanel, poi Kenzo, Christian Bailly... Avevo in mente quell’aria elegante e un po’ sommessa degli anni Trentacinque, Quaranta».
• Tavolozza di base fatta di tre beige e quattro grigi. Nel 1980, Richard Gere apparve in American Gigolò vestito Armani, con la famosa giacca destrutturata: «Eleganza indimenticabile che impose al mondo lo stile Armani» (Mereghetti). Nel 1982 nascita della linea per giovani Emporio Armani (a costi contenuti, contribuisce a farne un re del prêt-à-porter) cui seguì la copertina di Time (con la scritta King George) e la conquista del mercato giapponese.
• «Ho avvertito il successo nell’82, con la copertina di Time. Lì per lì non diedi importanza alla cosa. Stavo ancora affannandomi per imparare a disegnare, a fare l’imprenditore, a parlare con la stampa. Con Sergio Galeotti, il mio socio, avevamo messo su questa avventura come due matti, in modo un po’ spudorato. Quando eravamo ancora agli inizi Sergio parlava con i capi dei grandi magazzini imponendo sfacciatamente le sue condizioni: “O mi comprate questo numero di capi o non vi do niente”. Il bello è che funzionava, e la nostra azienda cresceva. Capii l’importanza di quella copertina solo quando Valentino, incontrandomi per caso, mi salutò con un sonoro: “Però!”».
• Nell’85, Galeotti morì di Aids: «Fui costretto a occuparmi di tutte le cose di cui prima s’occupava lui. Le relazioni finanziarie, gli avvocati, i contratti».
• Nel 2001 ha abbandonato la vecchia sede di via Borgonuovo 21 e si è trasferito in via Bergognone 59, nei 3.400 metri quadri dell’ex Nestlé trasformati in teatro con uffici e show room dall’architetto giapponese Tadao Ando.
• Nel 2013 Forbes lo ha messo al 131° posto tra i più ricchi del pianeta, 4° in Italia. 
• Single, ha tre nipoti.
Frasi «Quando un abito è davvero splendido, ed è disegnato con talento, allora conserva la sua bellezza anche per il futuro».
• «Ho disegnato ispirandomi a Klimt, Kandinskij, Matisse, Van Gogh».
• «Non può esser carnevale tutto l’anno».
• «Comincio dai “no”, quando inizio a pensare a una nuova collezione. È dalla somma di quei “no” che i miei abiti prendono una forma sempre più chiara e definita. Credo di avere del talento nel togliere».
• «Dicono che sono un eremita, uno senza sense of humour. Poi c’è il luogo comune su una mia presunta maniera di intendere la donna e l’uomo. E da qualche tempo si è aggiunto quello sull’età. Non ne posso più di sentirmi chiedere notizie sulla mia successione. Poi mi accusano di essere scafato, perché non ho mai paura di dire a tutti che un certo fenomeno può essere frutto di una momentanea infatuazione» (a MarieClaire).
Critica «Negli anni Settanta, rivoluzionò il modo di vestire di uomini e donne, in parte vestendoli gli uni come gli altri. Negli anni Ottanta, ridefinì il look di Hollywood con un fascino più sottile e negli anni Novanta ha costruito un impero vendendo jeans e abiti eleganti» (Dana Thomas).
• «Prima di Giorgio, non c’era un’industria di moda italiana. C’era un’industria di fabbriche italiane» (Lauren Hutton).
Vizi Anni fa disse di aver provato la coca.
• Amante dei gatti.
• Preferenza per i modelli «belli classici, taglia 50, muscoli torniti» (Maria Teresa Veneziani).

• Veste spesso con maglietta e pantaloni blu.
• Si fa ritrarre sempre con il mento appoggiato alla mano sinistra: «È il mio atteggiamento: sto così anche quando lavoro, è un fatto congenito, quasi una questione di sicurezza. E poi il sinistro è il mio lato migliore» (Michela Gattermayer).