31 maggio 2012
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Biografia di Umberto Ammaturo
• Napoli 1941. Camorrista. Pentito. Adesso ha una nuova identità, un lavoro, parla tre lingue, e vive dove nessuno sa dei suoi precedenti.
• Ha perso la madre a otto anni, è stato cresciuto dal padre, un brav’uomo che campava i sei figli con la sua bottega di vini. Umberto, stufo di fare il garzone, si dà da fare con qualche furtarello, ma a 14 anni finisce nel carcere minorile Filangeri di Napoli, dove fa il primo apprendistato come malavitoso. Scarcerato, è ormai maggiorenne, e oltre a continuare a rubare, si cimenta nelle estorsioni. Ogni tanto lo beccano e comincia a entrare e uscire dal carcere. Finché non conosce Luigi Greco, ’o sciecco (l’asino), a sua volta legato a Pietro D’Avino, contrabbandiere siciliano. I due gli fanno fare carriera e lo piazzano vicino a Michele Zaza nel contrabbando di sigarette. Ammaturo si guadagna rispetto e ammirazione, e riesce a entrare in contatto anche con Antonio Spavone, ‘o malommo.
• Si sposa, si separa, si mette con Pupetta Maresca, della famiglia camorristica dei Lampetielli di Castellammare di Stabia. Pupetta è famosa per aver ucciso, a 18 anni e in stato di gravidanza, Antonio Esposito, l’uomo che le aveva ammazzato il marito Pasquale Simonetti (detto Pascalone ‘e Nola). Ammaturo non va a genio al figlio di Pupetta, Pasqualino, e quando, il 2 gennaio 1974, il ragazzo sparisce dalla circolazione (il suo cadavere non è mai stato ritrovato), è lui il primo sospettato dell’omicidio. In aula sarà assolto.
• Con le sigarette Ammaturo intanto ha accumulato una fortuna. Entra nel giro della cocaina mettendosi in affari con Gennaro Ferrigno (poi assassinato da Antonio Spavone), che in Perù ha stabilito accordi vantaggiosi con i produttori di coca di Lima. Ma nel 1974 la polizia arresta gran parte della banda, lui compreso. In carcere stringe amicizia con Vittorio Vastarella e Raffaele Ferrara, vicini al clan del boss mafioso di Marano, Lorenzo Nuvoletta. Ferrara gli suggerisce di farsi riconoscere pazzo dal criminologo Aldo Semerari e dal suo collega Antonio Mottola. Lo status di malato mentale (la diagnosi parla di “sindrome sintomatologia delirante in soggetto schizofrenico con allucinazioni varie”) gli apre le porte dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, dove può continuare a gestire i suoi affari e a tenere contatti con l’esterno, in particolare con Angelo e Ciro Nuvoletta, che andavano lì a colloquio con un altro finto pazzo, Stefano Giaconia.
• Nel 76 si finge malato di cancro, si fa trasferire all’ospedale Pascale di Napoli, evade, viene ripreso e rinchiuso nel manicomio giudiziario di Montelupo Fiorentino, fugge di nuovo e nel marzo 1977 lo ripigliano ancora con altre 40 persone, tra cui la console del Panama a Napoli, Ana Diaz, accusata di averlo aiutato a importare droga dal Sud America. Lo chiudono nel manicomio di Barcellona Pozzo di Gotto, ma lui scappa di nuovo.
• «Ogni volta che ero libero tornavo in Sud America, in Perù. (...) Io a Napoli non ho mai voluto una zona mia, ho sempre preferito lavorare su scala internazionale. Facevo fornire di stupefacenti l’Italia, Napoli prevalentemente, Milano, ecc. (...) Come gruppo dividevamo i guadagni in parti uguali, perché si rischiava tutti 20 anni di reclusione. E penso per questo di aver conservato il rispetto, non come capo famiglia, ma come uomo». A Lima gode di immunità perché corrompe gli agenti della polizia locale e questi mandano a monte parecchi blitz della DEA (Drug Enforcement Administration), l’agenzia antidroga statunitense.
• Si tiene in contatto con Bardellino e con i Nuvoletta e attraverso di loro col mafioso Stefano Bontate.
• Ripreso, scappa di nuovo (8 maggio 1981), fa la guerra a Cutolo (gli mette una bomba nel castello di Ottaviano), poi, il 12 giugno 1982, viene arrestato nel suo appartamento ai Colli Aminei. Gli agenti lo trovano in pigiama, con Pupetta Maresca. Stavolta niente ospedali psichiatrici: lo chiudono cinque anni a Pianosa, da dove continua a gestire il traffico di droga e a commissionare omicidi.
• Condannato a 17 anni nel 1987 (droga e associazione camorristica), viene mandato al soggiorno obbligato di Mondovì, una detenzione meno crudele che gli viene concessa per buona condotta. Ma Ammaturo ne approfitta per scappare, trasferirsi in Senegal e comprare un albergo. Nel 1990, quando arriva la condanna a 18 anni del tribunale di Napoli (associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti) s’è già spostato in Brasile.
• Il 25 agosto 1990 viene arrestato nel suo appartamento di Gobernator Valadores, nello stato di Minas Gerais, e tradotto nel carcere di Brasilia, da dove evade corrompendo le guardie e si rifugia a Lima). Qui chiude con la camorra e con il traffico di stupefacenti. È ricco sfondato, prende il nome di José Daniel Venturini, apre un ufficio di consulenza finanziaria. Causa un mal di denti si reca in una clinica, dove conosce e si innamora, ricambiato, della dentista, Yohanna Valdez, molto più giovane di lui: «Ci innamorammo e questo cominciò a farmi riflettere. Senza parole lei cominciò a farmi pensare sulla mia vita… era un chirurgo dentista, ci mettemmo insieme e avemmo un figlio. Ma io stavo a Lima da latitante e aspettavo sempre di essere arrestato» (Centro Abele, Dalla mafia allo Stato).
• È individuato nel 1993. Il 23 aprile gli agenti irrompono in casa sua, spianano mitra e pistole, ma il quadretto è di tutt’altro genere: Ammaturo-Venturinilo sta tranquillo in salotto con moglie, cognata e suocera, le quali ignorano tutto. Estradato, un mese e mezzo dopo viene rinchiuso nel carcere di Lanciano, lo stesso che ospita Carmine Alfieri. Ammaturo si pente: «Nel 1987 avevo preso una decisione importante: avevo deciso di dare il passo, con me stesso. Infatti fino al 1993, quando mi hanno arrestato l’ultima volta, io non ho commesso più nessun reato. Lo Stato, poi, non ha fatto altro che aprirmi una porta». Lo convincono soprattutto le implorazioni di Roberto e Antonella, i due figli avuti con Pupetta. Pure la sua nuova moglie peruviana, innamoratissima nonostante tutto, lo ha raggiunto per stargli vicino dopo aver venduto la sua clinica per 400 mila dollari. Nel corso di uno dei primi colloqui con gli inquirenti: «Coloro che appartengono all’ambiente nel quale ho vissuto prima, sono guidati esclusivamente dall’accaparramento di ricchezze e vantaggi personali ad ogni costo. Si creano dei personali alibi che di volta in volta chiamano “famiglia”, “uomo d’onore”, “omertà” e via discorrendo. La verità, che tutti sanno ma nessuno è disposto a riconoscere, è che si ammazza il proprio migliore amico unicamente per interesse personale. Così come per interesse personale si passa da una “bandiera” all’altra, senza alcuno scrupolo».
• La notizia del suo pentimento si diffonde. A fine settembre, in piazza D’Annunzio a Fuorigrotta, suo fratello Antonio sta rientrando a casa con l’autista Luigi Saporito e sparano a tutti e due: ammazzati. «I magistrati gli avevano messo sotto casa le macchine della polizia. Volle morire, volle morire lui!... Durante un colloquio gli dissi che avevo deciso di fare questo passo. Lui mi rispose: “Un uomo come te che decide di fare questo!”. Io allora gli dissi: “Sì, lo faccio per i miei figli! Gli unici che devo interpellare sono i miei figli, lo faccio perché sono dei bravi ragazzi. A te posso dire unicamente che se non lo condividi pensa a portare via i tuoi figli”. Non lo fece perché aveva un autosalone, mobilifici, eccetera, insomma, era difficile sradicarsi dal posto. Ancora oggi lo dico con una certa rabbia: non si può morire per questo!» (Centro Abele, Dalla mafia allo Stato).
• Le dichiarazioni di Ammaturo fanno incastrare un centinaio di persone. Il pentito ricostruisce i retroscena di 29 tra omicidi e tentati omicidi, lui stesso si autoaccusa di una quindicina di assassinii, la maggior parte dei quali eseghuiti mediante strangolamento della vittima con il fil di ferro. Si accusa anche dell’omicidio di Aldo Semerari, il criminologo che dopo averlo fatto dichiarare pazzo, era passato a fare il consulente medico-legale dei cutoliani (il Semerari fu strangolato e poi decapitato, la testa deposta nell’abitacolo di un’auto, il cadavere nel bagagliaio, l’auto abbandonata a Ottaviano, roccaforte di Cutolo, fu trovata il 1° aprile 1982).
• Processato con rito abbreviato, condannato nel 1995 a 29 anni di carcere per 19 omicidi e 4 tentati omicidi avvenuti tra il 1979 e il 1983, nel corso della guerra contro la CNO. «Dal mio modesto punto di vista, dalla mia ottica, io distinguo le persone criminali dai soggetti patologici e il restante 10 per cento sono indotti. Ma comunque tutti lo fanno per uno scopo che è il lucro: il 90 per cento anche raggiungendo lo scopo di fare molti soldi, rimane dentro il sistema criminale perché si sente realizzato; l’altra parte, che io definisco non patologica, raggiunge lo scopo e quando incontra un’alternativa ne esce fuori. Io mi ritengo uno di questi».
• «Ho scoperto una cosa: il vero eroe in questa società è l’uomo qualunque, il padre di famiglia che lavora!» (Bruno De Stefano).
• Si è fatto intervistare da Repubblica il 25 maggio 2010. Ha dichiarato di avere tagliato lui la testa a Semerari perché era un traditore («si era impegnato con noi della Nuova Famiglia a seguire le nostre cose, ed era ben remunerato da me personalmente, ma Cutolo fece ammazzare uno giù alle camere di sicurezza del tribunale e Semerari gli fece una perizia falsa per farlo assolvere»). Di Cutolo, che non si è pentito: «Il crimine è patologia, ma Cutolo è patologico per se stesso. Se non fosse così, avrebbe preso la strada che hanno preso tutti i capi dell’epoca, Ammaturo, Alfieri, Galasso eccetera. Sì, perché al di là di quello che si è sentito dentro nel momento in cui si è deciso di cambiare totalmente l’esistenza, la collaborazione è anche una scelta tecnica». Dal carcere di Brasilia evase in elicottero (Elio Scribani). (a cura di Paola Bellone).