31 maggio 2012
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Biografia di Pietro Aglieri
• Palermo 6 giugno 1959. Mafioso. Detto “ ’u Signorinu”, per via della ricercatezza nei vestiti e nel parlare, e perché non si è mai sposato. Nel 1995 è indicato dal giornale britannico The Guardian come l’italiano più conosciuto al mondo. Detenuto al 41 bis dal giorno dell’arresto, il 6 giugno 1997 (ai colloqui lo vanno a trovare, quando possono, solo gli anziani genitori).
• Ex seminarista (a Monreale), maturità classica, paracadutista della Folgore, esordisce nella malavita il 15 novembre 1983, uccidendo con cinque colpi di pistola calibro 38 un boss ottuagenario, Benedetto Grado: «Era talmente debole che poteva essere ucciso anche con un sasso» (il pentito Francesco Marino Mannoia).
• Incriminato per la prima volta nel 1985 per stupefacenti, ne esce assolto (Mannoia agli inquirenti dirà: «Non lo prenderete mai, è troppo furbo»). Si arricchisce col traffico di droga stringendo personalmente alleanze coi narcos colombiani. Durante la latitanza (otto anni), si è spostato dalla Sicilia solo per andare in Sud America a concludere affari.
• L’incoronazione a capomandamento di Santa Maria di Gesù, nel settembre 1988, è il premio, secondo i pentiti, per aver ucciso Giovanni Bontade (fratello di Stefano, nemico dei Corleonesi) e sua moglie, Francesca Citarda, che gli hanno aperto la porta come a un fratello (entra nella Cupola di Cosa Nostra).
• E’ È stato condannato per avere concorso a deliberare in via definitiva la morte dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (sentenze definitive, rispettivamente delr 18 settembre 2008 e il 3 luglio 2003, vedi Salvatore Riina). La sua responsabilità per la strage di via D’Amelio, però, è stata messa in dubbio dalle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza, che ha aperto una pista che porta ai fratelli Graviano (vedi Gaspare Spatuzza e Alfonso Sabella).
•, salvo poi, Nnel 1994, per bloccare la collaborazione dei mafiosi che hanno ceduto alla reazione forte dello Stato, chiedere un incontro a don Giacomo Ribaudo (così come, nello stesso periodo, un gruppo di camorristi ha contattato monsignor Antonio Riboldi, vescovo di Acerra). Lo scopo è trattare con lo Stato, offrendo la deposizione delle armi, in cambio di sconti di pena, esclusa ogni delazione. «Ma alla fine non se ne fece nulla. Perché il cardinale Pappalardo non approvò e, soprattutto, perché il procuratore Gian Carlo Caselli respinse al mittente la proposta e alla fine del colloquio mi disse molto seccamente che con la mafia non si poteva assolutamente trattare e mi mandò via» (Don Ribaudo).
• Mandato a uccidere un cugino del pentito Contorno, all’ultimo momento, trovandolo con la figlioletta in braccio, rinunciò: «Se io gli uccidevo la bambina diventavo onesto? Siccome non l’ho uccisa, adesso sono un cornuto di due lire, sono un debole». Per questa manchevolezza venne escluso dalle riunioni della commissione da Riina. Ci pensò Provenzano a rassicurarlo: «Lascia stare quello che ti ha detto… continua così. Non ti preoccupare, quando vuoi sapere le cose me lo domandi a me che te la dico» (Ino Corso, uomo d’onore).
• Assediato da duecento uomini, viene arrestato il 6 giugno 1997, in un casolare di campagna di Bagheria (Palermo), dove si nascondeva coi suoi guardaspalle, Giuseppe La Mattina e Natale Gambino. Anziché azzimato come al solito, in maglietta blu, pantaloni di tela e crocifisso di legno al collo, a uno dei poliziotti dice: «Portatemi in carcere. È l’unico posto dove potrò espiare i miei peccati» (Vincenzo Ceruso).
• Nel covo rinvenuti un crocifisso e una statua della Madonna, un’intera libreria di edizioni San Paolo (bibbie, compendi di vite di santi, commenti all’Apocalisse), ma anche saggi di Kirkegaard. Sul comodino un libro della suora filosofa Edith Stein (Introduzione al pensiero filosofico). Nei cassetti decine di nastri registrati sulle frequenze di “Radio Evangelica” e “Telepace”. Al piano terra una cappella privata, con sei panche, faretti per illuminare il crocifisso, fonte battesimale all’ingresso, ceri, drappi di velluto (per almeno due volte è andato ad officiarvi messa il frate carmelitano Mario Frittita, arrestato, condannato, e poi assolto dall’accusa di favoreggiamento).
• Il 28 marzo 2002 invia una lettera al procuratore nazionale antimafia Pier Luigi Vigna e, per conoscenza, al procuratore di Palermo Piero Grasso, in cui afferma che «né la collaborazione, sarebbe meglio dire la delazione, né la dissociazione sono strade percorribili» e chiede che venga presa «in seria considerazione la possibilità di un ampio confronto tra detenuti» in modo da «trovare qualche sbocco...». In pratica Pietro Aglieri chiede un summit fra i boss in carcere. Ordine del giorno: ammettere tutti di far parte di Cosa Nostra, dichiarare resa allo Stato, consegnare le armi (in pratica ammettere le proprie responsabilità, senza accusare gli altri). Contropartita richiesta: estensione dei benefici della legge Gozzini e abolizione di 41 bis ed ergastolo. Le trattative comunque falliscono quando una talpa le rivela ai giornali e il nuovo ministro di Giustizia, Piero Fassino, subentrato a Diliberto (a seguito della caduta del governo D’Alema), le rifiuta in tronco.
• A proposito della coerenza di professare la religione cattolica e non voler collaborare con la giustizia: «Vorrei soffermarmi sulle parole di San Paolo della prima lettera ai Corinzi. Al contrario di quanti sono convinti che la fede debba passare più attraverso azioni esteriori quantificabili secondo il codice penale che non i comandamenti, l’apostolo delle genti evidenzia che si è “fatto servo a tutti per guadagnarne il maggior numero (...), con coloro che non hanno legge sono diventato come uno che è senza legge – pur non essendo senza legge di Dio, anzi essendo nella legge di Cristo – per guadagnare coloro che sono senza legge (...), mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno”» (intervistato, per via epistolare, da Salvo Palazzolo, la Repubblica, edizione di Palermo, 14 marzo 2004).
• «Cogliendo quell’aspetto del Vangelo che invita a stare in mezzo a chi soffre, preferisco di gran lunga i rigori del 41 bis all’ambiguità di posizioni “collaborative”, che mi inducono ancora di più nella mia scelta al silenzio. Non il silenzio omertoso come qualcuno suppone e nemmeno quello di chi non ha nulla da dire, ma il “silenzio attivo”, dove conta lasciar parlare più le azioni personali, in opposizione alle tante chiacchiere in libertà. La presunzione di fare giustizia, è stato scritto, non proviene da Dio. Come il crearsi un nemico collettivo da combattere serve, a quanti si pongono sulle barricate del giustizialismo ad oltranza, a scaricarsi delle proprie responsabilità» (ibid.).
• «Come è compatibile il fatto che questi uomini uccidono, sono mafiosi eppure sono in pace con se stessi e con Dio? La conclusione a cui sono arrivato è che in realtà non pregano lo stesso Dio, pregano un Dio diverso. Pregano un Dio diverso perché nella cultura cattolica il rapporto tra il singolo e Dio è gestito da un mediatore culturale: ciascuna articolazione sociale esprime dal suo interno un mediatore. (...)
Il mafioso ha un rapporto con Dio che non è conflittuale perché il mediatore con Dio che lui stesso sceglie è espressione della sua stessa cultura» (il procuratore di Palermo Roberto Scarpinato).
• Tu sai perché Nel 2012 è stata resa pubblica una lettera che gli scrisse il pentito Gaspare Spatuzza con l’elenco degli innocenti che stavano in carcere per la strage di via D’Amelio. Il leit motiv, «Tu sai perché»: «Nel 1998, trovandomi nel carcere di Parma ho incontrato un ragazzo, Tanino Murana. Posso assicurarti che non avevo il coraggio neanche di guardarlo “e tu sai perché”. Mi faceva pena soprattutto quando mi parlava del suo bambino. Lo faceva con le lacrime agli occhi. Era certo che nel processo sarebbe stato scagionato. Ma sappiamo bene come è andata a finire. Nel carcere dell’Aquila incontro un’altra persona indagata per gli stessi fatti, Orofino. A questo proprio non avevo nemmeno la forza di guardarlo “e tu sai perché”. Provavo un immenso dolore a tal punto di evitarlo il più possibile […] Per conoscenza alla parola “e tu sai perché” in riferimento a Murana ecc. l’ho detto perché sono sicuro che tu sai benissimo che tutta questa gente è innocente».
• Dal carcere si è iscritto alla facoltà di Lettere della Sapienza, indirizzo Scienze storico-religiose (voto del primo esame, nel 2002: 30 e lode). Nel luglio 2014, però, la direzione del carcere di Rebibbia gli ha vietato di leggere il libro sulla strage di via D’Amelio scritto dal suo avvocato, Rosalba di Gregorio, insieme alla giornalista Dina Lauricella (Dalla parte sbagliata). (a cura di Paola Bellone).