31 maggio 2012
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Biografia di Salvatore Accardo
• Torino 26 settembre 1941. Violinista. Direttore d’orchestra. «Io suono tutti i giorni, almeno due ore. Un musicista è come un atleta: i muscoli e i tendini vanno tenuti sempre in movimento, non ci si può adagiare. Soltanto la domenica è sacra».
• Vita Studi di violino al Conservatorio di Napoli, perfezionamento a Siena, esordì in pubblico all’età di tredici anni con i Capricci di Niccolò Paganini. Vinti vari concorsi violinistici (Ginevra 1956, Paganini di Genova 1957), intensificò l’attività cameristica. Fondatore a Napoli del Festival delle Settimane Internazionali di Musica, si dedicò alla direzione d’orchestra, debuttando in campo operistico nel 1987 al Rossini Opera Festival di Pesaro.
• Il padre era incisore di cammei: «Faceva i ritratti dalle fotografie. Il suo ultimo lavoro furono i presidenti degli Stati Uniti e quei cammei sono a New York, esposti al Metropolitan Museum. Era un grande appassionato di violino e lo insegnava chissà come perché non aveva mai studiato musica. Si era fatto questa idea di mordicchiare le dita agli allievi per far crescere i calli. Voleva farlo anche con me, lo stoppai: “Non ti permettere, sai...”. Quando ha capito che avevo talento, non ha più toccato il violino».
• Da bambino voleva fare il calciatore: «Giocavo di nascosto perché mio padre aveva paura che mi ferissi alle mani. Erano soprattutto tornei in spiaggia, ero bravo, specialista nel parare i rigori. Mi videro alcuni dirigenti del Napoli e vennero a casa per parlare con mio padre. Lui li cacciò in malo modo». È un violinista «estroverso e solare». Leonetta Bentivoglio: «Tutt’altro che pervaso da brividi sulfurei, eppure paganiniano per vocazione instancabile».
• Su Paganini: «Alcuni dei suoi Capricci li ho eseguiti per la prima volta a 13 anni. E a 17 vinsi il Premio Paganini. Un musicista che ho continuato a suonare sempre, in un approccio inesauribile. La sua vitalità e ricchezza non finiscono mai di sorprendermi». • Possiede e suona uno Stradivari del 1727 e un Guarneri del Gesù del 1734. Dice che i violini «sono strumenti vivi, fatti di una materia come il legno, che cambia sempre, in un moto di molecole continuo. Quando il violino viene suonato trasmette le sue vibrazioni, in connessione profonda con il violinista. Per questo un violino suonato a lungo da un grande artista ne assorbe le virtù. Ricordo la prima volta che suonai il mio Stradivari in casa di Francescatti, a New York, nel 1962. Pareva suonare da solo, come per incantesimo. E Francescatti mi disse che il suo violino mi stava bene. Ogni strumento ha una sua qualità sonora, come ogni strumentista. Il violino è un amplificatore straordinario della qualità di suono dello strumentista. Solo se le qualità coincidono scatta la simbiosi».
• Nell’86 ha dato vita alla scuola di Cremona: «Seleziono ogni anno una quarantina di candidati e ne trovo quattro-cinque di valore. Vedo diplomati con il massimo dei voti che non sanno tenere in mano l’archetto. I giovani devono sapere che con il talento si nasce. Studiando si sviluppa, ma non si crea. Inutile arrivare a vent’anni per scoprire di non averlo, e colpevoli quei docenti che non sanno distinguere».
• Nel 2012 esce per Mondadori l’autobiografia Il Miracolo della musica. La mia storia.
• Il 25 agosto 2008 è diventato padre per la prima volta con le gemelle Ines e Irene, avute con la sua compagna Laura Gorna, anche lei violinista.
• Tifo Juventino: «Sono nato casualmente a Torino e lì ho vissuto i primi sette giorni della mia vita. A quanto pare sono bastati per farmi innamorare. Era il 1941, anni di guerra: mio padre era in Germania, mia madre a partorire salì a Torino a casa della sorella, in via Nizza. E proprio Otello, il cugino torinese preferito, maggiore di me di 17 anni, mi ha inculcato l’amore per i bianconeri. Fu lui a portarmi allo stadio, al Vomero, a vedere Napoli-Juve, la prima partita della mia vita. Ero bambino, gridavo: “Forza Juventus”, Otello mi corresse: “No, non così. Grida Forza Juve, è più corto, si sente meglio e risparmi fiato”. Detto, fatto. Un tifoso del Napoli lì di fianco mi mise in riga: “Guaglio’, se non stai zitto ti butto abbasso”».