31 maggio 2012
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Biografia di Giorgio Napolitano
• Napoli 29 giugno 1925. Politico. Presidente della Repubblica (dal 10 maggio 2006). Eletto deputato dieci volte dal 1953 al 1996 (saltò solo l’elezione del 1963). Presidente della Camera nella XI legislatura (1992-1994), fu ministro degli Interni nel Prodi I (1996-1998). Deputato europeo dal 1989 al 1992 e di nuovo nel 1999, nel 2005 fu nominato da Ciampi senatore a vita. «Io sono atarassico» (durante lo spoglio delle schede al termine del quale sarebbe stato proclamato presidente della Repubblica).
• Ultime Il 21 febbraio 2007 si trovò a gestire la prima crisi di governo della sua esperienza di presidente (vedi PRODI Romano). Il 24 gennaio 2008, dopo l’uscita dell’Udeur dalla maggioranza e la bocciatura di Prodi in Senato (vedi anche MASTELLA Clemente), tentò di salvare la legislatura incaricando il presidente del Senato Marini di verificare l’esistenza di una maggioranza favorevole al cambiamento della legge elettorale. Accertato che questa maggioranza non c’era, il 6 febbraio 2008, alle 11 e 55 del mattino, sciolse il Parlamento.
• Nel giugno 2008 bloccò Berlusconi che voleva emanare un decreto legge per limitare le intercettazioni telefoniche di cui, a suo parere, i magistrati abusavano. Napolitano gli fece notare che mancavano i requisiti di necessità e urgenza.
• Nel luglio 2008, al culmine della manifestazione anti-Berlusconi organizzata dalla rivista Micromega con l’Italia dei Valori, fu attaccato da Grillo: «Quando a Chiaiano c’erano le cariche della polizia lui era a Capri che festeggiava con due inquisiti, Bassolino e la moglie di Mastella».
• Nel luglio 2008 fu ancora attaccato, da Di Pietro e dall’Unità, per aver firmato «una legge immorale», cioè il lodo Alfano che impedisce alla magistratura di procedere contro le prime quattro cariche dello Stato. Veltroni lo difese (e Scalfari con lui) spiegando che la firma era un atto dovuto e che il presidente non avrebbe potuto far nulla.
• Vita Figlio di un noto avvocato liberale, lui e suo padre avevano «gusti contrapposti. Della musica amava solo l’opera, e io tutto fuorché l’opera Ma la vera materia del contendere diventò quella del mio rifiuto di seguirlo nella scelta della professione di avvocato, e quella dello schierarmi politicamente con i comunisti» (Giorgio Napolitano, Dal Pci al socialismo europeo. Un’autobiografia politica, Laterza 2005). Laureato in Giurisprudenza (tesi: Il mancato sviluppo del Mezzogiorno).
• «Iscrittosi all’Università nell’autunno 1942, partecipò all’attività del Teatroguf e del Cineguf napoletano e mise in scena una commedia di Ugo Betti» (Mirella Serri). Ebbe anche un ruolo da protagonista in Viaggio a Cardiff di William Butler Yeats. Massimo Caprara, che allora voleva fare il regista, lo vide: «Era misurato, forbito, la fronte già ampiamente stempiata» (a Gian Antonio Stella). Pasquale Nonno, giornalista, lo frequentò da giovane: «Mostrava sempre un po’ di distacco dalle cose: prendeva parte, per esempio, alle partite di calcio della squadra del liceo ma senza sporcarsi le scarpe, come fotografo-massaggiatore-giornalista» (Gian Antonio Stella). Raffaele La Capria: «Napolitano era già da allora un giovane talmente serio, talmente educato, talmente studioso che, a pensarci bene, non mi sarei stupito se qualcuno mi avesse detto che un giorno sarebbe diventato presidente della Repubblica».
• «In quello stesso periodo, dirompente fu l’incontro con la politica: “Una lunga conversazione con Antonio Ghirelli mi convinse della dolorosa necessità che l’Italia per salvarsi doveva perdere la guerra”. Dopo la Liberazione ci fu l’avvicinamento e l’entrata nella casa comunista: “Scattò in me come una molla, ideale e morale. Fui coinvolto in quella ’corsa alla politica’ di cui parlava Giaime Pintor nell’ultima lettera al fratello Luigi”. Una corsa nella quale non c’era molto spazio per altri interessi. “Non avrei voluto abbandonare cinema, teatro, letture ma gli impegni politici mi imposero molti sacrifici, anche nei confronti della famiglia”» (Mirella Serri).
• Nel 1942 organizzò un gruppo antifascista, tre anni dopo aderì al Pci, diventando segretario federale a Napoli e poi a Caserta: «Si avvicinò al comunismo quando conobbe Salvatore Cacciapuoti, operaio metallurgico che, sopravvissuto a sei anni di carcere sotto il regime fascista, negli anni Quaranta dirigeva i comunisti napoletani a bacchetta. Sveglia alle 5, arrivo in federazione alle 7, rigore monacale e spirito organizzativo prussiano» (Gian Antonio Stella).
• Il 7 giugno 1953 fu eletto deputato e divenne responsabile della Commissione meridionale del Comitato centrale del partito. «Era affascinato, come molti giovani comunisti e democratici, non tanto dall’esperienza dei Piani Quinquennali dell’Urss, ma piuttosto dall’esperienza del New Deal rooseveltiano e dalla Riforma Beveridge. Coerente con quelle scelte, più tardi, durante gli anni convulsi dei movimenti giovanili, non ha mai ceduto alla moda, o alla fascinazione, di Marcuse o di Fanon. È un ammiratore di Keynes. È stato il primo dirigente comunista a sbarcare in America e l’unico (credo) a incontrarsi con Kissinger. Ha conosciuto e frequentato tutti gli esponenti della socialdemocrazia europea, da Gonzales a Glotz. È, da tempo, un europeista convinto. È sempre stato, insomma, un moderato, uno di coloro che credono nel lento, faticoso passo della democrazia. Non ama i sogni palingenetici. È convinto, con Isaiah Berlin che le “utopie come guida al comportamento possono rivelarsi letteralmente fatali”» (Miriam Mafai).
• I compagni napoletani, per distinguerlo da Giorgio Amendola, lo chiamavano “Giorgio ’o sicco”. L’altro era, naturalmente, “Giorgio ’o chiatto”.
• Nel 1968, quando il Pci dovette trovare un nuovo segretario che sostituisse Luigi Longo gravemente malato, la scelta cadde su Enrico Berlinguer. «L’aneddotica vuole che Amendola, leader storico della destra togliattiana e padre politico di Napolitano, abbia scelto Berlinguer per la maggiore esperienza internazionale (e chissà se è anche per questo che Napolitano, di lì a poco, sarebbe diventato il “ministro degli Esteri” del Pci); e poi perché, disse Amendola a “Giorgino”, come amava chiamarlo, “ti manca la grinta”. Napolitano era allora l’unica alternativa a Berlinguer: chiamato da Longo (su insistenza di Amendola) a coordinare i rapporti fra la segreteria e l’Ufficio politico dopo la morte di Togliatti, mancò l’ascesa alla segreteria non certo per la “grinta” (che in verità, come riconobbe lo stesso Amendola, mancava anche a Berlinguer), ma per motivi squisitamente politici: alla segreteria del Pci si arriva dal centro, non dalle ali. Berlinguer era il “figlio del partito”, Napolitano il delfino di Amendola. Il primo fu eletto sulla base di un accordo fra il centro e la destra; il secondo di quell’accordo fu insieme garante e protagonista, fino alla drammatica rottura sulla riforma della scala mobile (1984)» (Fabrizio Rondolino). «Negli anni Ottanta, dopo la crisi della politica di solidarietà nazionale che Napolitano aveva condiviso e sostenuto, esplode il contrasto tra le due linee che fino allora avevano convissuto nel Pci. Da una parte c’è la linea di Berlinguer, che tende a chiudere il partito nella ridotta della “diversità” e nella esaltazione dell’orgoglio di partito, dall’altra la linea di Napolitano e altri riformisti, che vogliono evitare l’isolamento del partito, il suo arroccamento settario. (...) Giorgio Napolitano viene messo sotto accusa in una riunione di direzione e poi, guardato con crescente sospetto, verrà accusato di indulgenza e simpatia, forse anche di connivenza, con Bettino Craxi. Poche settimane dopo lascerà la responsabilità della sezione di organizzazione del partito per assumere l’incarico di presidente dei deputati comunisti (incarico che allora, nel Pci, veniva considerato assai meno importante di quello di responsabile dell’organizzazione)» (Miriam Mafai).
• Napolitano: «Per quel che riguarda me e anche altri – e voglio almeno citare un nome, quello di Gerardo Chiaromonte, col quale ci fu piena sintonia, sempre – noi fummo partigiani convinti dell’unità tra Pci e Psi ben prima che apparisse all’orizzonte Craxi. (...) È vero che ci trovammo in una posizione difficile, e vivemmo momenti scomodi e ingrati nel Pci e nel suo gruppo dirigente quando il clima divenne quello di un duello tra Pci e Psi, tra Berlinguer e Craxi. Ma il considerarci disposti a cedere alle pressioni di Craxi e addirittura a venir meno a un impegno di lealtà verso il partito, fu un’infamia».
• «Un uomo come Napolitano, indiscutibilmente il leader della destra comunista, veniva facilmente esorcizzato dagli ingraiani con l’epiteto di “migliorista”, con un chiaro riferimento al migliorismo prampoliniano (ossia a un’azione politica che intende migliorare le condizioni di vita e di lavoro della classe lavoratrice senza rivoluzionare le condizioni strutturali del capitalismo)» (Edmondo Berselli).
• A molti apparve allora che l’azione di Napolitano fosse insufficiente. Ad esempio non difese il Parlamento dagli attacchi della magistratura, consentendo la cancellazione dell’immunità: l’ha ricordato di recente Giuliano Ferrara chiamandolo per questo “coniglio” e “sangue di segatura”. Valentino Parlato: «Il coraggio? Magari non l’ha avuto negli scontri immediati. Ma nella tenuta complessiva della sua storia politica, invece, sì». Luigi Pintor nel 1983 sull’Espresso: «Un uomo di marmo, anzi di porcellana, materia apprezzata ma fredda e superflua come una tazza di the: l’amaro the del generale Yen che circola abbondante nel sangue del Pci».
• Nel 1989 è ministro degli Esteri nel governo-ombra del Pci. È al Parlamento europeo dal 1989 al 1992, quando diventa presidente della Camera. Nel 1996, Romano Prodi lo sceglie come Ministro degli Interni. Primo ex-comunista a ricoprire la carica, propone quella che diverrà nel luglio 1998 la Legge Turco-Napolitano, che istituisce i centri di permanenza temporanea per gli immigrati clandestini. Molto criticato, sempre nel 1998, per non aver attuato un’adeguata sorveglianza su Licio Gelli, fuggito all’estero dopo essere evaso dal carcere già nel 1983. Dopo la caduta dell’esecutivo guidato da Prodi, è di nuovo europarlamentare dal 1999 al 2004 tra le file dei Democratici di Sinistra ricoprendo la carica di Presidente della Commissione Affari Costituzionali. Il 23 settembre 2005 è nominato, assieme a Sergio Pininfarina, senatore a vita da Carlo Azeglio Ciampi.
• Il 10 maggio 2006 viene eletto presidente della Repubblica: è il primo uomo proveniente dal Pci che arriva al Colle. L’elezione avvenne al quarto scrutinio: 543 voti (su 1009), cioè i 540 del centrosinistra più tre. La candidatura, trovata la domenica precedente, intendeva essere istituzionale, in quanto Napolitano era senatore a vita ed era già stato presidente della Camera. Casini e Fini avrebbero voluto contribuire all’elezione, ma Berlusconi e la Lega furono irremovibili: la scheda bianca risultò l’unico compromesso possibile. Per qualche giorno sembrò piuttosto forte la candidatura di D’Alema, lanciata dal Foglio e segretamente avversata soprattutto da Rutelli e Veltroni.
• «A dispetto dell’aria fredda e distaccata, Napolitano, anche se non lo ammetterebbe mai, tiene alla sua popolarità e ne ha cura molto più di quanto appaia. È del tutto normale per un politico e non si tratta di vanità. Dopo essere stato per decenni un uomo-chiave della politica italiana, Napolitano era finito nel binario morto di un dorato notabilato e, in qualche confidenza con gli amici più intimi, aveva cominciato a parlare di un prossimo ritiro a vita privata. Poi, la determinazione dei Ds ad ottenere il Quirinale e il suo prestigioso curriculum istituzionale, combinati con lo sbarramento contro Massimo D’Alema, hanno compiuto il miracolo» (Paolo Passarini).
• «Fin dal primo discorso, non ha usato ipocrisie notarili nel caratterizzare l’interpretazione del suo ruolo al Quirinale. Il lungo impegno parlamentare, la determinazione nel sostegno alle sue convinzioni, anche quando erano in minoranza nel suo partito, non potevano che portarlo, coerentemente, a delineare una presidenza della Repubblica fortemente “politica”. Un aggettivo che va compreso nella sua accezione più alta, quella che esclude la faziosità, ma che intende la funzione di garanzia per tutti assolutamente compatibile con l’espressione di franchi e precisi orientamenti di indirizzo generale. Alla sincerità di questo proposito, Napolitano ha subito affiancato il timore che il modo con il quale era stato eletto, cioè solo da una risicata maggioranza, potesse favorire il sospetto di una sua non assoluta neutralità tra le parti. Più volte il Presidente della Repubblica ha fatto trasparire questa comprensibile preoccupazione» (Luigi La Spina). La signora Clio ha seguito lo spoglio del voto «mentre sbrigava le faccende domestiche» (Maria Corbi).
• Soprannominato “Re Umberto” per la somiglianza con l’ultimo regnante dei Savoia (o anche “Lord Carrington”), nella primavera del 1959 conobbe la moglie Clio Bittoni (vedi), figlia di antifascisti confinati all’isola di Ponza. Hanno due figli: Giulio (12 luglio 1969), giurista, «allievo prediletto di uno dei padri del diritto, il professor Sabino Cassese» (Gianni Biondini), docente di Istituzioni di diritto pubblico all’Università della Tuscia (Viterbo), dal 2002 componente della Cca (Camera di conciliazione e arbitrato), il tribunale arbitrale dello sport italiano; e Giovanni (1961), economista che lavora all’Autorità garante della concorrenza e del mercato. «I figli non sono stati battezzati con grande dolore di mia suocera. Ma mio marito disse che non voleva» (Clio Napolitano a Paolo Conti).
• Due nipoti, Sofia e Simone.
• Commenti La signora Clio, descrivendo il marito: «È molto pignolo, si irrita quando vede delle sciatterie. Gli errori quando uno parla: comincia a dire “mica si dice così, mica si pronuncia così”. Questa è una cosa che mi fa arrabbiare moltissimo. Lui mi ritiene molto aggressiva perché io perdo subito le staffe, a me piace litigare, mi piace alzare la voce, invece Giorgio è sempre uno che ragiona. Quando lavora in casa ascolta la musica ad alto volume».
• Eduardo Vittoria: «L’uomo ha stile. Sa muoversi, parlare, vestirsi come si deve» (Paolo Conti).
• Denis Healy, dirigente laburista: «Napolitano è la migliore imitazione di un banchiere della city che io conosca» (Gian Antonio Stella).
• Rosario Villari, storico: «Giorgio Napolitano è forse l’uomo più puntuale, più preciso, più preparato che io abbia mai conosciuto. Mai visto dimenticare un particolare, un appuntamento, una data. Come amico è lealissimo. Io in qualche momento, anche di scelte familiari, ho attinto alla sua saggezza. Io impulsivo, lui pacato, equilibrato» (Paolo Conti).
• Filippo Ceccarelli: «È di gran lunga il più straordinario e pignolo autore di lettere e comunicati di smentita, rettifica, chiarimento e precisazione».
• Giuseppe Leoni, architetto e fondatore della Lega con Umberto Bossi: «Quello lì, Napolitano, nel 96 ci ha mandato la polizia nella sede di via Bellerio, a prenderci a manganellate» (Giovanni Cerruti).
• Beppe Grillo: «Il Presidente è eletto dai partiti, fa il suo dovere, li accudisce teneramente. L’età lo nobilita, con quegli anni può dire quello che vuole. Come il nonno a tavola quando arriva il dolce. Una volta c’era la bocca di Virna Lisi, oggi la dentiera presidenziale. Il presidente va eletto dagli italiani, non dai nostri dipendenti. Non deve avere più di cinquant’anni. Non serve un presidente da ospizio di garanzia dello status quo partitico. Voglio una persona giovane, della società civile, non legata ai partiti. Chiedo troppo?».
• Emilio Colombo, senatore a vita: «Un cosacco al Quirinale, va dicendo qualche cretino. E io non conosco comunisti meno comunisti di Napolitano e democratici più democratici di lui» (Federico Geremicca).
• Lucio Branto, lettore della Repubblica, ha scritto al giornale: «Una sera d’autunno, in una via di Roma, eravamo in diverse persone ad attendere l’autobus che ci avrebbe portato a casa per la cena. Salimmo stipati. Confusa tra quella gente notai la presenza di Giorgio Napolitano. In piedi anche lui (alla sua età), con la sua borsa in mano».
• Miriam Mafai: «Martedì pomeriggio, entrando nell’aula di Montecitorio, Giorgio Napolitano ha saggiato con il piede il tappeto rosso e sorridendo ha commentato: “Mi hanno detto che c’è una botola”. La botola non c’era, naturalmente. Ma se ci fosse stata egli sarebbe certamente riuscito ad evitarla andando avanti per la sua strada. Giorgio Napolitano è fatto così: è insieme cauto e coraggioso, prudente e determinato. Utilizzando ambedue questi registri, ricorrendo di volta in volta alla cautela o al coraggio, alla prudenza o alla determinazione, egli è riuscito, nel corso della sua lunghissima vita politica, a tener sempre ferma la barra delle proprie convinzioni e scelte politiche, anche quando nel suo partito erano contestate e, spesso, irrise. Apparentemente freddo, distaccato, è invece uomo di tenaci passioni e profondi convincimenti. Ignora la demagogia, nel lavoro è preciso fino alla pignoleria, ama i ragionamenti chiari, i documenti (anche in inglese) pieni di cifre. È paziente: quando viene sconfitto (e gli è accaduto spesso nel suo partito) sa aspettare, senza tuttavia organizzare (e gli è stato spesso rimproverato dai suoi) cordate o correnti».
• Daria Zangirolami, preside del liceo Tito Livio di Padova dove il giovane Napolitano, sfollato da Napoli, si diplomò a pieni voti nell’anno scolastico 1941-1942: «Siamo orgogliosi dell’elezione di Giorgio Napolitano. Il senatore a vita era uno studente modello» (Corriere della Sera). Sberleffo apparso sul settimanale Tango: «È gradito agli intellettuali modernisti, alla Nato, a Veca, al Psi, agli imprenditori liberal, a Scalfari: se piacesse anche ai comunisti sarebbe segretario da un pezzo» (Gian Antonio Stella). [Marinella Carione].