31 maggio 2012
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Biografia di Riccardo Muti
• Napoli 28 luglio 1941. Direttore d’orchestra. «È una delle professioni più ambite. Uno fa così con la mano, gli altri suonano. Le stonazioni vengono demandate ad altri. Il pubblico non si rende conto se il direttore ha sbagliato. Il direttore non stona».
• Ultime Nel 2010 ha pubblicato un’autobiografia, Prima la musica, poi le parole (Rizzoli). Così racconta la prima volta al teatro Petruzzelli di Bari: «Avevo tre anni, stavo in braccio al cocchiere e ascoltai l’Aida – mi dissero – senza piangere e senza dar fastidio». Nel 2012 il saggio Verdi, l’italiano. Ovvero, in musica, le nostre radici, a cura di Armando Torno (Rizzoli).
• Il 3 febbraio 2011 ha un malore durante le prove di un concerto con la Chicago Simphony Orchestra, di cui è direttore musicale dal 2010. Spiega d’aver avuto un problema al cuore: «Invece d’essere un Allegro Maestoso diventa un Allegro Capriccioso. È soggetto a brachicardie: a causare lo svenimento è stato un improvviso ritmo troppo basso, e ora il pace-maker ha risolto il problema». Il successivo 7 aprile torna a dirigere sullo stesso podio l’Otello di Verdi in forma di concerto.
• Direttore onorario dell’Opera di Roma dal dicembre 2010. Nel marzo 2011, al momento del bis di “Va’ pensiero” dal Nabucco di Giuseppe Verdi, il pubblico si alza in piedi e tutta la sala si unisce nel canto ai coristi e all’orchestra: «È stata un’emozione mai provata in vita mia». Sempre all’Opera ha diretto il Macbeth di Verdi, con la regia di Peter Stein. Nel novembre 2012 ha inaugurato il cartellone non il Simon Boccanegra di Verdi, in occasione del bicentenario del sommo compositore. Nell’agosto 2013 ha diretto l’orchestra dell’Opera nel Nabucco, al Festival di Salisburgo: «questa esecuzione è stata il culmine dell’anno verdiano sul piano internazionale» (Paolo Isotta).
• A dicembre 2013, dirige l’Ernani tra le minacce di sciopero dei dipendenti del teatro dell’opera romano, contro l’ipotesi di tagli agli stipendi ed al personale.
• Nel febbraio 2014 ha annunciato il prolungamento del contratto con la Chicago Symphony Orchestra. Rimarrà a Chicago fino al 2020, quando «non avrò nemmeno ottant’anni».
• Vita «Ho avuto una madre straordinaria ma molto severa, un po’, come oggi si direbbe, all’antica. Noi siamo cinque fratelli maschi. Mia madre voleva assolutamente che venissimo su in maniera gagliarda, in maniera spartana, per cui il bacio della buona notte ce lo dava quando eravamo già a letto... dormienti! Trovava che il bacio, anche quando veniva dalla madre al figlio, fosse in un certo senso sminuente. Ci faceva dormire su materassi poggiati su tavole di legno» (a Renato Farina).
• «Mi portarono all’età di due anni al teatro Petruzzelli di Bari e sembra che lì io abbia sentito per la prima volta La Traviata».
• «Non sono stato né il bambino prodigio né colui che è nato con la bacchetta di direttore in mano. Lo so bene che adesso va di moda».
• «Sono uno che all’età di sette anni, il giorno di San Nicola, al mattino ha trovato un astuccio di violino. E mi hanno dato un insegnante molto paziente che mi insegnava il violino e una bionda ragazza che mi insegnava il solfeggio. Sono i ricordi più incredibili della mia fanciullezza. Vedevo giù i miei compagni che giocavano a pallone, e io ero lì che facevo gemere questo orrendo strumento poooo... piiii... Questo in quanto a creazione del suono. In quanto a solfeggio non riuscivo a capire che il pentagramma è fatto di righi e di spazi e che le note sui righi sono mi, sol, si, re, fa e sugli spazi, fa, la, do, mi. Non riuscivo a capire questa cosa semplicissima, tant’è vero che ancora oggi io nutro dei sospetti sul mio livello d’intelligenza: è possibile che una cosa così semplice fosse a me così ostica? Non avevo capito l’ingranaggio, e quando veniva questa ragazza a farmi lezione, io buttavo a indovinare. Diceva: che nota è questa? E io: sol. No, diceva, è la. È re? No, è mi. E siamo andati avanti per 6 o 7 mesi. Mio padre, che era di cuore più dolce di mia madre, le disse un giorno “Basta!”. L’ho sentito, non ero presente ma l’ho sentito, ero nell’altra stanza. Ha aggiunto una frase in dialetto molfettese: “A vedere quel ragazzo che stava così mi veniva una cosa allo stomaco”. I miei occhi già sfavillavano di contentezza, quando mia madre rispose: “Proviamo ancora un mese”. Questa frase ha determinato tutta la mia vita. E dire che secondo mio padre avrei dovuto fare l’avvocato. Ogni tanto penso a che cosa sarebbe stata la mia vita, oggi... Avvocato, questo era scritto nella testa di mio padre. Invece, di colpo, e non voglio andare nel paranormale e nel trascendentale, però improvvisamente, ecco, et fiat lux. Una mattina mi sono svegliato e ho individuato che: il fa sta lì, e poi la do mi, mi sol si re. Con stupore, ho capito. L’ottavo mese ho capito e da lì ho fatto dei salti da gigante. A 8 anni ho tenuto il primo concerto come violinista nel seminario Pontificio di Molfetta di fronte a 300 seminaristi: ho suonato il concerto di Vivaldi col maestro che mi accompagnava al pianoforte».
• Studi al Conservatorio San Pietro a Majella a Napoli e al Conservatorio di Milano, iniziò la carriera nel 1968 al Maggio Musicale Fiorentino. Debutto come direttore ospite alla Scala nel 1970, a Salisburgo nel 1971, alla London Philharmonic nel 1972 (dal 1979 al 1982 ne fu direttore musicale). Dal 1980 al 1992 direttore musicale a Philadelphia, dall’86 al 2005 al Teatro alla Scala, successore di Claudio Abbado. Ha sviluppato la Filarmonica della Scala e ha da anni un fecondo rapporto con i Wiener Philharmoniker. Il suo repertorio include Verdi e l’opera italiana, Cherubini e la riscoperta del Settecento napoletano, Mozart, i romantici dopo Beethoven. Fecero discutere certe sue aperture eterodosse della stagione scaligera: l’ultima, il 7 dicembre 2004, con Europa riconosciuta di Antonio Salieri. È legato alla casa discografica Emi.
• «Il primo grande maestro? Rota! Questo straordinario personaggio che tutti conoscete perché non solamente ha scritto tra le più straordinarie musiche da film per Fellini, Visconti, Coppola e altri grandi registi, ma ha una enorme produzione operistica, di musica da camera, di musica religiosa, di musica sinfonica. Sono andato a Bari in un giorno di luglio, gli esami sono cominciati la mattina e io ero rimasto fino alle due meno un quarto con altri due ragazzi. Si è aperta la porta ed è entrato questo omino. Ha detto: “Quanti sono rimasti?”. E pensare che Rota non era sempre presente agli esami, perché era spessissimo a Roma. Però quel giorno il destino ha voluto che fosse lì. Mi ha portato in una stanza. Avevo preparato la Polacca in sol diesis minore di Chopin. Rota mi ascoltò per dieci minuti. Si alzò, davanti a tutta la commissione, e mi disse: “Ti diamo 10 con lode. Non per come hai suonato oggi, ma per come potrai suonare domani”. Poi mi iscrissi al conservatorio, lui volle che mi iscrivessi al conservatorio di Bari. Dopo un anno a far la spola tra Molfetta e Bari l’anno successivo mio padre si trasferì a Napoli. Crescendo tutti noi, mia madre disse che era tempo di andare in una città più importante, cioè la sua città. Mia madre era napoletanissima. Sposando mio padre che era medico dovette trasferirsi a Molfetta. Passare da Napoli a Molfetta... insomma... Perché Napoli era ed è ancora una capitale, e Molfetta per quanto abbia dato i natali a Gaetano Salvemini...».
• «A Napoli ho studiato pianoforte, ho finito il liceo in uno dei licei più severi di Napoli. È successo questo fatto molto strano: un giorno il direttore del conservatorio di Napoli mi ha chiamato nella direzione, io credevo di essere stato convocato perché, facendo il terzo liceo, quell’anno non frequentavo molto il conservatorio quindi ero già preparato a una lavata di testa. Invece a bruciapelo mi disse: “Hai mai pensato di dirigere?”. Veramente io non avevo mai pensato di dirigere. Lui mi dice: “Dal modo in cui tu suoni io credo che tu hai un concetto del pianoforte più sinfonico che prettamente pianistico. Prova”. E poi aggiunse: “Guarda: se non dovesse funzionare, non ti preoccupare. Perché per esempio Massenet, che era un grande musicista, aveva il terrore di stare di fronte all’orchestra”. Così mi insegnarono che – uno, due, tre, quattro – in quattro si batte così, in tre si batte così, in due così. Mi misero davanti all’orchestra. Dopo pochi secondi capii che quella era la mia strada».
• «Sono stati anni febbrili quelli del mio debutto sul podio. Erano gli anni della giovinezza. Dovevo pensare alla carriera, parola terribile. Carriera uguale vita, traguardi, stabilità economica, successo. Ho lavorato molto, ma sono stato anche aiutato dalla sorte, dal destino» (a Guido Vergani).
• Direttore musicale del Teatro alla Scala, nel 2005 fu costretto a dimettersi da una presa di posizione pressoché unanime dei maestri d’orchestra, stanchi della sua resistenza a ospitare altri grandi direttori e indignati per la pretesa che il sovrintendente Carlo Fontana fosse allontanato («o io o lui»).
• Sposato con Cristina Mazzavillani, ha tre figli: Chiara (vedi), Francesco, Domenico. «Lo stipendio fisso del Maggio mi permise di sposarmi (...) L’abbiamo così amata questa città, che con mia moglie abbiamo deciso di far nascere lì tutti e tre i nostri figli. Li volevamo fiorentini» (a Giuseppina Manin).
• Critica «Sopravvalutato (in Italia) direttore della Filarmonica della Scala. Fu appoggiato da Dc e Psi in contrapposizione a Claudio Abbado che era invece protetto dal Pci. Ammiratore di Toscanini, alla Prima scaligera del 7 dicembre 1986 frantumò la regola toscaniniana che proibiva il bis e rifece il Va’ pensiero. Eccellente il suo Mozart, discutibile il suo Beethoven, improponibile il suo Wagner, irrilevante tutto il resto (suona Ciajkovskij come se fosse Brahms). Sua madre, suo nonno e i suoi fratelli vantano la sua medesima corrucciata espressione: complice, forse, l’ammonizione che troneggiava sul palazzo vescovile di Molfetta, dov’è cresciuto: “L’ora che scorre vi ricorda che dovrete morire”. È tuttavia appassionato di barzellette che propina anche agli orchestrali, divisi nel giudicarlo: chi lo ritiene un forte coi deboli, chi ne deride il gesto direttoriale ch’egli enfatizza davanti alla tv» (Pietrangelo Buttafuoco).
• «Il più grande direttore mozartiano vivente (...) Il miracolo di Muti sta nella creazione di un suo suono che pare l’idea platonica di quello mozartiano». «Dopo la sua cacciata, il Maestro giunge a Milano reduce da trionfi londinesi, nuovayorkesi e persino dall’ennesima laurea honoris causa (...) Indi recasi a Vienna ove dà inizio alle prove del concerto dell’altro ieri. Basterebbe esso concerto a confermarlo il più grande direttore vivente» (Paolo Isotta).
• «Su un punto, messi da parte amori, idiosincrasie, orientamenti politici, vi è convergenza: artista indiscutibile, Muti, ma discutibile uomo pubblico. Un furibondo Franco Zeffirelli lo ha definito “ebbro di sé, drogato dalla propria arte e dalla propria vanità, una caricatura di direttore d’orchestra”. Un altro vecchio amico deluso, il manager melomane Jean Rodocanachi Roidi, già presidente della fondazione Milano per la Scala, scaricato nel 1996 da Muti e Fontana in tandem, scrive nei suoi Ricordi: “Come uomo, Muti mi sembra pieno di contraddizioni, insicuro e sempre preoccupato del giudizio del pubblico e della critica”. Altri vedono in Muti un impolitico. Fatto sta che, etichettato (forse a torto) come uomo di centrodestra, Muti ha messo in imbarazzo una giunta (Albertini) e un ministro (Urbani) di centrodestra. Muti è stato protagonista di altre scene madri (sebbene, rispetto a un Karajan, a un Celibidache, sia un cordialone). Si rifiutò di dirigere La forza del destino alla Royal Opera House di Londra per una scenografia non all’altezza, suscitando un vespaio. Nel 1992 a Salisburgo, abbandonò per colpa di una regia modernizzante il podio della Clemenza di Tito di Mozart. A Filadelfia s’imbestialì perché vide i suoi concerti segnalati nella sezione “Entertainment” del giornale (“Non sono un entertainer”). Nel 2000 rifiutò la direzione della New York Philharmonic senza spiegare davvero perché. E si adombrò molto quando il sovrintendente Fontana contattò il suo agente americano David Foster nell’eventualità di invitare Daniel Barenboim ospite alla Scala. È vero che Muti non tollera altri astri intorno a sé? I giudizi divergono. C’è chi, come gran parte dell’orchestra della Scala, pensa che egli abbia ostacolato l’ospitalità a grandi direttori e cantanti. E chi, come Gianluca Scandola, coordinatore artistico della Filarmonica e a Muti fedelissimo, ricorda che sono stati invitati nomi come Chung, Gergiev, Temirkanov, Maazel, Conlon, Prêtre. Ma i primi obiettano che sono altri i nomi di riferimento. Lo stesso Isotta, un mutiano fiammeggiante, rileva nel maestro “errori nelle scelte di registi e di compagnie di canto” e gli rimprovera di non aver compreso “essergli necessaria la presenza di un direttore artistico autorevole e dotato di mestiere, in grado di stabilire con lui un rapporto di alta dialettica”. Muti ha dalla sua gli innamorati, gli incantati: Armando Torno, sul Corriere, lo carezza e lo difende “a prescindere” (direbbe Totò) e “für ewig” (in eterno, direbbe Beethoven). Muti era un piacione. Ora è un di-spiacione. Gli antipatizzanti lo descrivono egoista, narcisista, sentimentalmente instabile, avido di denaro, prepotente. Al Corriere si racconta che Ferruccio de Bortoli le telefonate più lamentose le ricevesse da Muti, e che il successore Stefano Folli sia stato sollecitato sull’eventualità di sostituire il critico in seconda Enrico Girardi con Carla Moreni, da Muti assai stimata (non è avvenuto). Nei corridoi del Giornale si ridacchia ancora di come Muti, ai tempi della direzione di Vittorio Feltri, s’infuriò per recensioni poco ossequiose di Piero Buscaroli, che tosto smise di collaborare. Perché Muti vola negli alti cieli, al di là del perenne teatrino italiota, ma la mattina alle 8 si è già sorbito tutta la rassegna stampa, Gazzetta di Reggio compresa se è il caso. Muti, che pure ha studiato un po’ di filosofia ed è cultore di Federico II di Svevia, non si circonda di persone di cultura, è un’altra critica: a differenza di Abbado, Pollini, del compianto Sinopoli. Non ama gli intellettuali. Poi c’è chi infierisce: “Non ha amici”. Sarà vero? Gli è amico Marco Tronchetti Provera, che tanto si prodiga per sostenerne le iniziative, come il concerto sotto le Piramidi del Cairo per le “Vie dell’amicizia” del Ravenna Festival diretto dalla moglie Cristina. Gli fu amico il ravennate Raul Gardini, egli pure generoso sponsor: Muti era in prima fila al suo funerale, dopo il suicidio avvenuto nel luglio 1993. Ma i pettegoli notano di aver raramente visto il maestro coltivare amicizie autentiche nell’ambiente musicale, con eccezioni come la soprano Leyla Gencer. Oppure citano i rapporti col maestro Francesco Siciliani» (Enrico Arosio).
• Frasi «Il punto da cui partire è la funzionalità del gesto, che dev’essere sempre un mezzo, e non un fine, come invece, purtroppo, oggi accade spesso. All’orchestra va trasmesso un messaggio che nella plasticità e nell’espressività gestuale comunichi l’idea interpretativa, di suono, fraseggio e timbro già spiegata e pretesa dal direttore durante le prove. Le braccia fungono da estensione della mente: così mi ha insegnato il mio maestro Antonino Votto, che aveva lavorato a lungo a fianco di Toscanini» (a Leonetta Bentivoglio).
• «Io sono sempre molto attento a quello che succede nel mondo. Devo sapere se al di là delle Alpi si fa svolgere l’ Otello su un ring di pugili, Un ballo in maschera con i congiurati seduti sui vasi da notte. L’importante è che il pubblico e la critica si rendano conto che la genialità e la bravura di un regista non si misurano nelle trovate cretine e ridicole. Mai ridurre la musica a colonna sonora di un fumettone».
• A proposito del lavoro con Giorgio Strehler (tre spettacoli insieme alla Scala): «Era il culmine di quello che dovrebbe essere la collaborazione tra un direttore d’orchestra e un regista. Un’integrazione totale, il regista che diventa direttore e viceversa».
• «Ho proibito ai ragazzi della Cherubini di alzarsi quando entro. Ha un sapore militare ed io non sono un generale».
• «Il paragone con lo sport è pertinente. Nella musica ci dev’essere non solo la profondità della ricerca musicale, ma il piacere anche sportivo – nel senso più nobile della parola – di migliorarsi. Più si migliora il livello tecnico, come nello sport, e più la musica ne beneficia».
• Tifo «Avevo un grande rispetto per Coppi, ma amavo molto il carattere e la cordialità di Bartali e mi piaceva anche il suo continuo polemizzare. Sono legato al ricordo di quel ciclismo epico, con le biciclette pesanti, i corridori che portavano a tracolla le gomme e che quando foravano dovevano arrangiarsi da soli a cambiare... La fatica, naturalmente, c’è anche nel ciclismo di oggi. Ma allora era qualcosa che si vedeva».
• «Nella mia famiglia sono tutti juventini, compresa la filippina che lavora da noi da trent’anni. Io resto legato al Napoli».