31 maggio 2012
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Biografia di Giuseppe Mussari
MUSSARI Giuseppe Catanzaro 20 luglio 1962. Banchiere • Presidente della Fondazione Monte Paschi a 39 anni, presidente della banca senese a 44, presidente dell’Associazione bancaria italiana a 48, fuori da tutto a 50. Oggi imputato. «Si vedeva che avrebbe fatto strada» (un compagno di università) • «Faccia da cow boy buono» (Alberto Statera), sempre elegante nei suoi abiti in tasmania, «energetico, di bell’aspetto, lo hanno paragonato a un Alain Delon» (Stefano Cingolani), lo chiamavano «belli capelli» (Aldo Cazzullo) • Madre senese, ostetrica, padre di Catanzaro, cardiologo. Arrivò in Toscana dalla Calabria per cambiare aria dopo la morte di una giovane fidanzata. Iniziò Medicina poi passò a Legge. «Entrò subito nella Fgci, se lo ricordano in molti per il suo marcato accento calabrese, l’eskimo, la kefiah, il capello lungo» (Stefano Feltri). Laurea nel 1988. Alla festa c’era anche Luigi Berlinguer, fratello di Enrico e allora potente rettore dell’Ateneo. Iscritto all’albo degli avvocati nel 1993, «cominciò a farsi le ossa nelle cooperative, come si confà al sistema di potere post comunista» (Cingolani) • Tra i suoi primi clienti Franco Masoni, editore di una tv locale e personaggio molto introdotto in città. Fu lui a presentarlo ai notabili senesi. Non sono rimasti in buoni rapporti perché Mussari si è poi sposato con la (ex) moglie di Masoni, Luisa Stasi (vedi più avanti) • Un altro ex amico era Pierluigi Piccini (vedi più avanti), sindaco di Siena dal 1990 al 2001. Nel 2001 Piccini scelse Mussari come membro della Fondazione Monte Paschi, che con il 60% delle azioni controllava la banca, e Mussari in appena qualche mese passò alla presidenza. Solo che quella poltrona doveva toccare a Piccini • «Era in vacanza in Sardegna con la moglie. Gli telefonano e gli dicono che deve fare il presidente della Fondazione al posto di Piccini, scaricato da D’Alema e dal partito. Nonostante l’amicizia, Mussari accetta. E così inizia la sua carriera di banchiere per caso, senza una formazione di finanza, senza neppure conoscere l’inglese. Di banche ne sapeva quanto chiunque abbia un conto corrente» (Raffaele Ascheri, vedi più avanti) • Quando arrivò Mussari, Mps era ancora sotto l’effetto del ciclone provocato da De Bustis, il banchiere che nel 1999 aveva portato a Siena la Banca del Salento (ribattezzata Banca 121), piena di derivati e prodotti tossici dai nomi hollywoodiani (MyWay, 4You, Visione Europa). «Ma la Fondazione è potente. Ha un valore stimato di 3 miliardi e 330 milioni, un miliardo in più della Compagnia Sanpaolo di Torino, con la differenza che a Siena vivono 50 mila persone, a Torino un milione e mezzo. Qui si fanno i sindaci, i presidenti della provincia, i segretari di partito. Il consiglio di amministrazione è la stanza di compensazione di tutti i poteri forti locali, compresa la Curia e l’Università che hanno un proprio rappresentante» (Cingolani) • A Siena il Monte Paschi lo chiamavano Babbo Monte o «la mucchina»: sino al 2010, oltre cento milioni di euro l’anno per il Comune e la Provincia, l’Arci comunista e la democristiana Libertas, le contrade e le parrocchie. Soprattutto il Monte come garanzia di potenza e di serenità: «Il Monte che compra le partite del Siena per salvarlo dalla retrocessione, il Monte onnipotente che ti assume con la qualifica di commesso, ti fa eleggere sindaco e poi ti promuove direttore generale, il Monte che governa il sistema e si costruisce pure l’opposizione interna, magari con una telefonata ovviamente intercettata tra Verdini e Mussari» (Cazzullo) • «Mussari è oramai diventato il dominus di Siena: in città non si muove foglia senza il suo parere» (Feltri). «Duro, intelligente, legatissimo alla famiglia e abile nel costruirsi solide relazioni trasversali» (Gianluca Paolucci), «lubrifica il suo potere finanziando personalmente, per 673 mila euro in dieci anni, i Ds e poi il Pd» (Giorgio Meletti). «Al di là delle cattiverie da città di provincia (“A Siena aveva due amici, di uno ne ha sposato la moglie e dell’altro ne ha preso la poltrona”), di legami Mussari ne ha parecchi: Comunione e liberazione, Opus Dei e sussurri lo vedono vicino alla Massoneria» (Statera). «Tanti anche i rapporti fatti di reciproca stima, come quello con Giuseppe Guzzetti della Fondazione Cariplo. O con Francesco Gaetano Caltagirone, con il quale condivide una riservatezza quasi assoluta e la capacità di non perdonare (quasi) mai un torto subìto. Ma anche, in perfetto stile bipartisan, con Turiddo Campaini, il “monaco rosso” che guida Unicoop Firenze» (Paolucci) • Nell’aprile 2006 il vero salto: dalla Fondazione passa a presiedere la Banca. «Che allora non se la passava troppo male. Certo, tutto intorno le banche si fondevano e Mps restava sempre lì, chiusa dentro le mura, costretta a non crescere per non perdere la senesità» (Paolucci). E tra l’ambizione a crescere e la paura di essere scalati, gli venne l’idea di acquisire banca Antonveneta • «Quando si compra un’azienda, normalmente, si fa un contratto preliminare, poi l’acquirente manda i suoi esperti a scartabellare tutta la contabilità dell’azienda in vendita per verificare la congruità del prezzo stabilito. Stavolta il venditore, il Banco Santander, che poche settimane prima aveva rilevato Antonveneta dall’Abn Amro per 6,6 miliardi, la mette giù dura: se Mussari vuole l’Antonveneta se la prende a scatola chiusa. Mussari se la prende. Nessuno fiata» (Meletti) • Emilio Botin, presidente del Santander: «Non ci furono riunioni con i rappresentanti di Mps per negoziare la vendita di Antonveneta, ma si trattò tutto per telefono (…), due o tre volte con Mussari». Alla terza telefonata Botin dice «9 miliardi, risposta entro 48 ore, prendere o lasciare». Mussari, racconta Botin, «tentò di abbassare il prezzo ma lui era consapevole di essere in una posizione ottima per mantenere il prezzo, dato l’enorme interesse che il compratore aveva» • Mps annuncia l’acquisto l’8 novembre 2007. Mussari dice al mercato: «Non abbiamo pagato un prezzo caro per Antonveneta». Meno di un anno dopo salta per aria Lehman Brothers e la finanza mondiale • Nel 2011 i postumi dell’acquisizione Antonveneta e l’effetto zavorra di un portafoglio pieno di titoli di Stato cominciarono a vedersi in bilancio: perdite e svalutazioni per miliardi di euro. Inoltre la banca non guadagnava più un soldo (per cui niente dividendi). Mentre la Fondazione si era indebitata fino al collo con l’ultimo e inutile aumento di capitale: era ormai chiaro che doveva rinunciare alla proprietà della banca e far scendere la sua quota (dal 60% al 50%, poi al 34%, in attesa di qualche progresso del titolo azionario per scendere ancora) • Intanto nel 2010 Mussari era diventato anche presidente dell’Abi, la Confindustria delle banche • Statera: «Nonostante i disastri evidenti e il vulnus reputazionale, Mussari viene eletto presidente della potente Associazione bancaria, pare con scarse opposizioni, tra le quali – a quel che si disse – quella del presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli» • In Abi piaceva il suo stile aggressivo nel difendere il sistema dalle crescenti ondate di impopolarità: in Italia (fece dimettere la presidenza in polemica con il governo Monti sulle commissioni) o quando attaccò frontalmente l’Eba dopo lo stress test di fine 2011. Nell’estate 2012 fu riconfermato. Scelta opportunistica, si disse, «nata come compromesso tra le spinte delle grandi banche e i desideri delle piccole» (Paolucci) • Il 26 aprile 2012 alla presidenza di Monte Paschi lo aveva intanto sostituito Alessandro Profumo (vedi). Pochi mesi prima era stata la volta del nuovo direttore generale: Fabrizio Viola (vedi più avanti) al posto di Antonio Vigni (4 milioni di euro «a titolo di incentivo per agevolare la risoluzione del rapporto di lavoro» oltre allo stipendio annuale di 1,6 milioni, vedi più avanti) • Mussari: «Lascio la banca in mani solide e capaci, con qualche rimpianto ma nessun rimorso». «Normali ricambi», si disse. Invece furono sollecitatissimi da Bankitalia (Alessandro Plateroti) • Pochi mesi dopo, la procura di Siena partì con un’inchiesta per una serie di presunti reati, sia precedenti che successivi all’acquisto di Antonveneta. Le indagini partirono in sordina (ne scrisse solo Gian Marco Chiocci del Giornale) ma deflagrarono in tutto il Paese il 22 gennaio 2013, quando il Fatto Quotidiano titolò in prima pagina: «Mps, i conti truccati e il contratto nascosto». Era una parte di quell’inchiesta e si riferiva a un’operazione di ristrutturazione di titoli derivati tra Mps e due banche internazionali, la tedesca Deutsche Bank e la giapponese Nomura • Si aggiunsero elementi da spy-story. Il contratto con Nomura, firmato nel 2005, saltato fuori dalla cassaforte dell’ex direttore generale Antonio Vigni soltanto nel settembre 2012. Il Cda della banca che dice di non aver mai messo il naso in quel contratto. I giapponesi che di fronte alle contestazioni della nuova dirigenza sventolano la registrazione di una telefonata dove Mussari a domanda risponde che l’operazione vede l’accordo dei revisori dei conti • «Da quando sono qui (a Siena, ndr) di soldi ne sono girati tanti, però tra persone normali, che non vanno al mare ai Caraibi ma a Follonica, che non hanno la Ferrari ma la Panda. Io vado in ufficio in motorino» (Mussari a Cazzullo a inizio 2012) • Antefatto. Nel 2005 l’area finanza del Monte Paschi, guidata da Gianluca Baldassarri (vedi più avanti), decise di acquistare «un’obbligazione emessa dal veicolo Alexandria» costruito dalla banca tedesca Dresdner Bank (nel 2005 Mussari non era ancora presidente della banca, lo diventerà nell’aprile del 2006. All’epoca era a capo della Fondazione). Alexandria era un complicato e rischioso prodotto finanziario, nello specifico un cdo sintetico. Il derivato perse la metà del suo valore in meno di tre anni e alla fine del 2009 valeva circa 180 milioni di euro dei 400 iniziali. Mps non poteva permettersi di mettere tali perdite in un bilancio già dissanguato dall’acquisto di Antonveneta. Andò allora alla ricerca di una banca d’affari in grado di tamponare l’impatto del derivato. Per sei mesi provò a convincere Jp Morgan, che di Monte Paschi era anche azionista. Invano. Fu la giapponese Nomura a decidere di avviare l’operazione di conversione del rischio – in gergo tecnico «long term repo», cioè assorbimento dei derivati in cambio di titoli a lungo termine – che servì a Mps per spostare le perdite più in là nel tempo. Nomura comprò quindi il derivato per 400 milioni (la cifra iniziale pagata da Siena) ma chiese una commissione molto alta: un tasso di 60 punti base maggiore rispetto a quello di mercato fissato tramite il tasso interbancario Libor, pari a 200 milioni, al fine di non dovere incamerare le perdite che Mps stessa accusava. In cambio, con un’operazione di scambio di titoli («asset swap»), Monte Paschi ottenne titoli di stato italiani, 3 miliardi di Btp a trent’anni, spostando così il rischio in portafoglio da un «rischio corporate» a un «rischio sovrano» • La trattativa tra Mps e Nomura si concluse con la famosa conferenza telefonica tra i responsabili delle due banche. Nomura inviò in anticipo le domande al management di Siena, che di conseguenza preparò le risposte perché Mussari era digiuno di inglese e anche di derivati, a detta di persone che hanno lavorato con lui (sebbene avesse scritto un capitolo di un libro sul tema ai tempi dell’università). Al telefono Mussari rispose come gli venne consigliato assicurando di avere compreso le condizioni contrattuali (lo chiese esplicitamente il capo europeo di Nomura, Sadeq Sayeed) e confermò che la società di revisione Kpmg era stata messa al corrente dell’operazione (i funzionari di Kpmg negheranno questa circostanza) • L’operazione con Nomura poteva essere addirittura vantaggiosa per Mps – era stata costruita per questo – ma così non andò: l’investimento in bond si rivelò fallimentare per due motivi. Da un lato, l’aumento dello spread tra i titoli decennali italiani e gli omologhi tedeschi verificatosi nell’estate 2011, fino al picco di 575 punti base di novembre, ridusse i margini di guadagno. Dall’altro lato, sempre a novembre, la European banking authority (Eba) aveva imposto alle banche europee di svalutare i titoli sovrani in portafoglio, penalizzando gli istituti italiani e spagnoli; quelli più carichi di bond delle rispettive nazioni • Secondo il racconto mainstream, le perdite sui derivati Alexandria e Santorini viaggiavano intorno ai 700 milioni, ma per via degli effetti ipotizzati sul bilancio e degli strascichi dell’acquisizione di Antonveneta, il buco sarebbe arrivato a 14 miliardi. Il tiro al “trilione” autorizzò poi Beppe Grillo a parlare di perdite da 28 miliardi di euro • Mussari la sera stessa dello scoop del Fatto scrisse la lettera di dimissioni da presidente dell’Abi per «non creare imbarazzo e nocumento all’associazione». Poi scese nel silenzio e iniziò il finimondo • La risposta della classe dirigente fu un imbarazzato «non sapevamo nulla». Bankitalia, Vigilanza, Consob, revisori caddero dalle nuvole. Cominciarono veleni e segreti. La politica, in piena campagna elettorale, ne approfittò subito. Trasversalmente. Ingroia, Grillo, Pdl, Lega cominciarono a picchiare sul Monte Paschi per colpire un Pd da sempre molto influente nella banca senese • Per oltre quattro mesi i media bombardarono quotidianamente sullo «scandalo derivati» al Monte Paschi. I giornali coprirono la notizia con una produzione di articoli senza precedenti. I numeri sulle perdite cominciarono a lievitare dando l’impressione di un disastro economico senza precedenti, paragonabile al fallimento di Lehman Brothers • «La nuova Tangentopoli che sta terremotando l’Italia» (Massimo Giannini, Repubblica), «l’inchiesta giudiziaria che promette sfracelli» (ancora Giannini). Si cominciò a parlare di una stecca «di dimensioni colossali» (Radio24), addirittura da due miliardi. «La madre di tutte le tangenti» (Carlo Bonini, Repubblica), coltivata nell’humus della «finanza opaca e massonica» (Antonio Padellaro, il Fatto) • Alla fine Mps, dopo aver estinto i contratti derivati (Alexandria con Nomura e Santorini con Deutsche Bank), a febbraio 2013 riscrisse a bilancio perdite di ulteriori 700 milioni. Una cifra in definitiva sopportabile (grazie ai Monti Bond) ma a pesare adesso era la fuga dei correntisti (11 miliardi prelevati dai depositi in un trimestre) causata dall’effetto panico • Lo scandalo continuò comunque a gonfiarsi fino ad assumere i tratti del giallo quando il direttore della Comunicazione e Marketing Mps, David Rossi, morì suicida il 6 di marzo. Giù dalla finestra del suo ufficio, quasi dieci metri di altezza, su un vicolo all’interno del comprensorio di Rocca Salimbeni, dopo aver provato a tagliarsi le vene. Fin da subito i medici scartarono l’ipotesi dell’omicidio ma la supposizione venne rilanciata dai media con il megafono di Beppe Grillo: «Da quando si è buttato (lo hanno buttato?) dalla finestra di un ufficio dell’Mps dopo una lunga telefonata sulla città è calata una cappa che si taglia con il coltello». Venne anche aperta un’inchiesta per istigazione al suicidio (archiviata pochi mesi dopo: «gesto assolutamente volontario», vista anche «la disastrosa condizione emotiva che viveva Rossi negli ultimi giorni antecedenti al suicidio») • Nel luglio 2013 il filone principale delle indagini, quello sull’acquisto di Antonveneta, si chiuse: nessun indagato per corruzione, né per associazione a delinquere, rilevando soltanto illeciti finanziari. Antonino Nastasi (vedi più avanti), magistrato che insieme a Giuseppe Grosso e Aldo Natalini condusse l’inchiesta: «Nell’acquisizione di Antonveneta da parte di Mps non sono stati trovati né comportamenti penalmente rilevanti, né vantaggi personali, né tangenti» • Anche il tentativo di sequestro preventivo per 1,8 miliardi di euro ai danni di Nomura finì con un buco nell’acqua. Il reato non sussiste, si trattava di un contratto regolare, come se ne fanno a centinaia tra banche e banche • Mussari, Vigni, Baldassari e altri restarono coinvolti in altri filoni d’inchiesta per reati commessi dopo l’acquisto di Antonveneta. Come quello sui due contratti in derivati occultati alle autorità di vigilanza, o quello su alcuni dirigenti accusati di aver fatto la cresta su certe operazioni (la cosiddetta «banda del 5 per cento»). Per tutti nell’ottobre 2013 il rinvio a giudizio • Chiesero di costituirsi parte civile, oltre a Banca d’Italia (che è anche parte offesa), Banca Monte Paschi (solo contro Baldassarri), quattro associazioni di consumatori, un’associazione di piccoli risparmiatori e alcuni azionisti • «Ma con quattro parole, “nessuna tangente” né alcun “vantaggio personale”, il magistrato Antonino Nastasi, smonta le tesi usate da alcuni esponenti politici e quotidiani soprattutto durante la campagna elettorale. La presunta riserva di due miliardi nascosta su conti esteri dagli ex vertici della banca, poi fatta rientrare in Italia per essere distribuita a politici e imprenditori amici non esiste. Così come non esiste alcuna maxi stecca elargita per poter incorporare Antonveneta in Mps» (Alberto Brambilla) • L’unico giornale che fin da subito solleva forti perplessità sull’inchiesta è Il Foglio di Giuliano Ferrara: «Uno scandalo da due soldi» (gennaio 2013), «In questo scandalo nulla si tiene» (maggio 2013) • L’avvocato Tullio Padovani, difensore insieme a Fabio Pisillo dell’ex presidente di Mps: «Mussari è più che innocente, è una vittima. È un uomo che è stato colpito ma, essendo dotato della virtù teologale della fortezza, è un uomo che si è ripreso e ha una carica potente dalla sua: la consapevolezza di essere perfettamente innocente» • Fin dall’inizio delle indagini Mussari ha vissuto blindato nella sua casa in campagna. Tenuta di Villa Agostoli, vicino Siena. Senza rispondere al citofono né al cellulare. «Dopo un periodo di depressione, si è dedicato a ricercati esperimenti culinari» (Brambilla).
ASCHERI Raffaele Imperia 16 settembre 1969. Insegnante (nella scuola media senese Cecco Angiolieri). Scrittore e blogger (Eretico di Siena). Con Le mani sulla città scritto nel 2007 (libro che picchiava duro sui poteri forti di Siena: Pd, Mps, Massoneria, Chiesa) è stato il primo ad indagare su quello che nel 2013 diverrà uno dei più grandi scandali politico-finanziari del Paese • Nel 2012 Mussari Giuseppe: una biografia (non autorizzata) • Decine di querele • Figlio di Mario (Ventimiglia, Imperia, 7 febbraio 1944), in passato politico locale vicino al Pci.
BALDASSARRI Gianluca Lugo di Romagna (Ravenna) 1960. Manager. Capo dell’Area finanza del Monte Paschi di Siena dal 2001 al marzo 2012. Ora indagato • Laurea in Economia Aziendale nel 1985 alla Bocconi di Milano, dal 1987 al 1997 lavorò alla Cofilp, la merchant bank controllata dalla Banca popolare di Novara. Dal 1997 al 2000 alla Banca Nazionale dell’Agricoltura e dal 2000 al 2001 a Banca di Roma (capo del servizio titoli di proprietà). Entrò in Mps nel giugno 2001 (a volerlo fu Vincenzo De Bustis, manager allora molto vicino a D’Alema) e ne uscì a marzo del 2012 con l’arrivo del nuovo ad Fabrizio Viola. Ricevette una buonuscita di 800 mila euro e una lettera di ringraziamento da parte di Mussari • Nel 2005 fu multato per 50.700 euro dalla Consob per il caso dei prodotti MyWay e 4you: la multa complessiva da 3,305 milioni era a carico di quaranta esponenti aziendali dell’ex Banca 121 – oggi Mps Banca Personale Spa – per le irregolarità riscontrate nell’offerta e nelle caratteristiche dei prodotti finanziari. Baldassarri si difese sostenendo che era «un atto dovuto, ma erano solo pochi mesi che ero dentro al cda» • Fu arrestato il 14 febbraio 2013 su disposizione dei pm di Siena titolari dell’inchiesta Mps (unico a finire in carcere) con l’accusa di aggiotaggio, false comunicazioni, truffa e associazione per delinquere. Quando lo fermarono gli trovarono in tasca 35 mila euro in contanti. Gli furono sequestrati anche 18 milioni di euro, fatti rientrare in Italia attraverso i tre scudi fiscali del 2001, 2003 e 2010. Scarcerato per un vizio di forma il 16 marzo, il giorno seguente tornò in carcere. Ai domiciliari dal luglio all’ottobre 2013, quando la Cassazione l’ha rimesso in libertà • L’ipotesi dei pm è che l’Area finanza di Mps guidata da Baldassarri portasse avanti operazioni di compravendita titoli e complessi prodotti di investimento con altre banche estere con il solo scopo di produrre, attraverso le retribuzioni per le spese di consulenza, fondi che poi finivano nelle tasche di manager compiacenti e intermediari, disposti a trascinare Mps in affari sconvenienti per tornaconto personale • Tutte le operazioni più delicate sono passate sul suo tavolo. A lui sono attribuite le operazioni di ristrutturazione del veicolo Santorini, realizzato con Deutsche Bank per chiudere una perdita di 367 milioni di euro a fine 2008, e l’operazione Alexandria, con Nomura, in perdita per 220 milioni: perdite occultate con complesse operazioni di «pronti contro termine» e swap sui tassi. Insieme a Vigni e Mussari è presente alla conversazione registrata nel 2009 da Nomura nella quale si mettono le basi per il contratto segreto che farà sparire le perdite di Alexandria • Il pm milanese Alfredo Robledo inviò alla Procura di Siena i fascicoli di un’inchiesta archiviata nell’agosto 2011 riguardanti presunte mazzette a top manager di banca che negoziavano titoli. Negli atti milanesi a parlare di Baldassarri e di Matteo Pontone, capo del desk di Londra del Monte Paschi, è l’ex banker italiano della Dresdner, Antonio Rizzo, che li descrive come quelli della «banda del 5 per cento, perché su ogni operazione prendevano tale percentuale» • «Il Gordon Gekko di piazza del Campo, colui che dall’alto della sua competenza finanziaria – riconosciuta dai banchieri più smaliziati di Piazza Affari – per almeno un triennio ha gestito come un hedge fund una trentina di miliardi di euro del portafoglio senese. Talmente bravo che sapeva scavalcare rapporti e controlli, e rispondere solo al presidente Giuseppe Mussari e al direttore generale Antonio Vigni» (Andrea Greco) • A dicembre 2012 ha aperto Fit Professional, con sede a Monza: società, si legge nello statuto, che ha per oggetto «la pratica di attività sportive dilettantistiche e ricreative intese come mezzo di formazione psico-fisica e morale dell’uomo» • A differenza di quanto scrissero diversi giornali allo scoppio dello scandalo Mps, non è parente di Mario Baldassarri, economista di An e poi sottosegretario del governo Berlusconi.
NASTASI Antonio (detto Antonino) Messina 24 agosto 1970. Magistrato. Sostituto procuratore presso la Procura di Siena (dal 2010). Insieme ai pm Aldo Natalini (Viterbo 31 dicembre 1976) e Giuseppe Grosso (Messina 2 dicembre 1969) titolare dell’inchiesta su Mps • «Fan di Leonardo Sciascia e Sergio Leone» (Gianluca Ferraris) • A Messina, prima alla Procura poi alla Direzione distrettuale antimafia, si occupò tra l’altro degli appalti e dei concorsi truccati all’Università di Messina e della gestione dei fondi regionali • Due i filoni d’inchiesta sul caso Mps: per il primo, riguardante il contratto del derivato Alexandria, il processo è iniziato il 26 settembre 2013. Imputati per ostacolo all’attività di vigilanza sono Mussari, Baldassarri e Vigni. Per il secondo filone, l’acquisizione di Antonveneta da parte di Mps, il 2 ottobre 2013 sono stati rinviati a giudizio con l’accusa di ostacolo alla vigilanza e false comunicazioni sociali Mussari (accusato anche di insider trading), Vigni, l’ex direttore finanziario Daniele Pirondini, il responsabile dell’Ufficio legale Raffaele Giovanni Rizzi, gli ex componenti del collegio sindacale Tommaso Di Tanno, Pietro Fabretti e Leonardo Pizzichi • «Nastasi, Natalini e Grosso, ormai soprannominati a Siena “i tre moschettieri”. (…) Non sono mancati però gli attacchi politici nei loro confronti. Da destra c’è chi ricorda la scarsa attenzione riservata dai giudici alle intercettazioni telefoniche fra Mussari e l’allora sindaco pd di Siena Franco Ceccuzzi, confinate nei brogliacci allegati a un fascicolo parallelo e mai neppure trascritte. Da sinistra c’è chi accusa velatamente gli stessi magistrati di non avere approfondito troppo i legami tra Rocca Salimbeni e le vicende dello Ior, la banca vaticana, e del Credito cooperativo fiorentino di Denis Verdini» (Gianluca Ferraris).
PICCINI Pierluigi. Roma novembre 1950. Politico (Pds, Ds). Ex banchiere. Sindaco di Siena dal 20 novembre 1990 al 12 maggio 2001 • Laureato in Lettere e Filosofia, entrò in Montepaschi nel 1976, fino a diventare capo ufficio della banca. È stato anche sindacalista Fisac-Cgil (il sindacato dei bancari). Eletto sindaco con il Pds, dopo due mandati sembrava il candidato naturale alla presidenza della Fondazione Monte dei Paschi. A sbarrargli la strada fu una direttiva dell’allora ministro del Tesoro Vincenzo Visco che poneva una questione di incompatibilità (direttiva che poi fu dichiarata anticostituzionale). Alla guida della Fondazione andò Giuseppe Mussari, fino a quel momento suo amico e sponsor • Nel 2004 i Ds lo espulsero per aver appoggiato alle amministrative di quell’anno candidati esterni al partito. Alle amministrative 2006 si presentò con una lista civica che prendeva il nome del suo circolo culturale “La Mongolfiera” (si disse che dietro di lui c’era Denis Verdini, lui smentì). Prese il 19%. Alle amministrative 2013 si è schierato con la lista Impegno per Siena che ha candidato a sindaco Marco Falorni. Alle politiche 2013 è stato coordinatore della Lista civica per l’Italia che appoggiava Monti • Dal 2001 al dicembre 2012 è stato direttore generale aggiunto del Montepaschi Banque a Parigi. È uscito dalla banca con altri 105 dirigenti per il piano di riduzione del personale predisposto da Profumo e Viola • «Amministratore bravo ma scomodo, era uno che faceva di testa propria, poco incline alla disciplina di partito e di coalizione che a Siena vale più che altrove» (Maurizio Bologni, Repubblica) • «Uno che manovra nell’ombra, al sicuro di uno stipendio dorato» (l’ex sindaco di Siena Franco Ceccuzzi nel maggio 2012) • Di recente ha scoperto la fede e sta prendendo una seconda laurea in Teologia • È alto un metro e novanta (Sergio Rizzo).
STASI Luisa Siena. Imprenditrice. Moglie di Giuseppe Mussari, ex presidente del Monte Paschi • Di famiglia facoltosa, è titolare di cinque società alberghiere: Villa Agostoli srl, Lizza srl, Hotel Garden spa e Hotel Italia spa, quest’ultime controllate dalla Siena Inns srl. Tutte esposte con il Monte Paschi per una cifra complessiva di 13 milioni di euro (per lo più mutui fondiari con garanzie reali sugli immobili). «Il complesso agrituristico Villa Agostoli (dieci villette e appartamenti a cinque chilometri dal centro), ha acceso un mutuo fondiario di 2,1 milioni. L’Hotel Garden, realizzato sulla ristrutturazione di una villa del diciottesimo secolo e che ospita una sala conferenze assai gettonata per gli eventi cittadini, ha 8,1 milioni di esposizione. Un altro mutuo da 1 milione lo ha acceso la Hotel Italia, nel cui consiglio di amministrazione siede anche Cristina Masoni, una delle figlie della Stasi avute dal precedente matrimonio. Quanto alla Lizza, il mutuo fondiario acceso con l’istituto di Rocca Salimbeni supera i due milioni di euro» (Camilla Conti) • «Non sfugge l’anomalia di una concentrazione del rischio: il 100% dell’esposizione della signora e dei suoi hotel è con il Monte Paschi. E anche quando non c’è un’attività imprenditoriale alla base del prestito, è sempre e solo la banca senese o una sua controllata a prestare soldi alla Stasi. Nessuna diversificazione: i dipendenti Mps sanno che l’imprenditrice è Mps-dipendente. Dunque è interesse anche della banca che gli hotel di Luisa Stasi siano sempre pieni» (Mario Gerevini). «Difatti sono sempre pieni di montepaschini in trasferta a Siena (corsi, riunioni, meeting, ecc.) a cui, ovviamente, la banca rimborsa le spese di alloggio» (Emma Ontani) • Un primo matrimonio con l’editore di una tv locale e telecronista del Palio Franco Masoni, da cui ha avuto tre figli. Con Mussari si sposò nel 2002. Testimone di nozze di lui l’avvocato di fiducia Fabio Pisillo e l’ex sindaco di Siena Franco Ceccuzzi. Testimone di lei la figlia Virginia (direttrice di Canale 3 Toscana).
VIGNI Antonio Castelnuovo Berardenga (Siena) 15 luglio 1953. Banchiere. Ex direttore generale del Monte Paschi (fino al gennaio 2012) • Cattolico, militanza nella Dc da giovane, a 19 anni entra in Monte Paschi, dove percorre tutti i gradini: lavora nelle filiali e nella sede centrale, guida l’attività commerciale, è al fianco di due direttori generali storici, Carlo Zini e Divo Gronchi, promosso vicedirettore generale nel 2000, continua sotto la gestione di Vincenzo De Bustis fino alla direzione generale il 26 maggio 2006 al posto di Emilio Tonini, che gli lascia in eredità il record di utili (790 milioni) del 2005. Si è dimesso il 31 dicembre del 2011, pressato dai deludenti risultati dell’istituto, con una buonuscita di 5,6 milioni (tra retribuzione, bonus e trattamento di fine rapporto) • «Dietro le dimissioni di Vigni e poi pochi mesi dopo di Giuseppe Mussari, ci fu la moral suasion della Banca d’Italia, che chiese esplicitamente alla Fondazione senese, azionista di maggioranza della banca, di operare una “discontinuità immediata del management”: in pratica, di costringere alle dimissioni i due dirigenti che avevano pensato, condotto ed effettuato sia l’acquisizione di Antonveneta sia l’acquisto dei famosi derivati Alexandria e Santorini» (Alessandro Plateroti) • Una prima inchiesta della procura di Siena nel maggio 2012 lo vide indagato per aggiotaggio, ostacolo agli organi di vigilanza e falso in prospetto per l’acquisizione di banca Antonveneta. Fu accusato poi di falso in bilancio, ostacolo alla vigilanza, appropriazione indebita e associazione a delinquere nel secondo filone dell’inchiesta sulle operazioni in derivati e sulle ristrutturazioni dei vecchi finanziamenti • «Io non mi sono arricchito né sono scappato, ho lavorato 40 anni. Sono figlio di contadini. Certo ho una bella casa ma tutto qui, non sono né alle Bahamas né da altre parti» (Fabrizio Massaro) • Vive con la famiglia a Castelnuovo Berardenga, in un casale affacciato sulle colline senesi.
VIOLA Fabrizio. Roma 19 gennaio 1958. Manager. Amministratore delegato di Monte dei Paschi di Siena (dal 3 maggio 2012) • Maturità classica all’Istituto Tito Livio di Milano, laurea in Economia alla Bocconi (ex allievo di Mario Monti). Primo impiego nel 1987 nel gruppo Imi, dal 1990 al ’95 a fondiaria Assicurazioni, alla Banca Popolare di Milano dal ’95 al ’99 (vice direttore generale), dal ’99 al 2001 alla Banca Popolare di Vicenza (vice direttore generale), dal 2001 al 2008 ancora alla Banca Popolare di Milano (direttore generale) e dal 2008 al 2011 alla Banca Popolare dell’Emilia Romagna (amministratore delegato) • La sua nomina al vertice di Mps fu voluta soprattutto da Giuseppe Guzzetti, presidente dell’Associazione delle fondazioni e casse di risparmio • Nominato direttore generale di Mps il 12 gennaio 2012, è diventato amministratore delegato in concomitanza con l’arrivo Alessandro Profumo alla presidenza della banca • Nel giugno 2012 Viola e Profumo presentarono un piano di ristrutturazione triennale che prevedeva il ricorso ai Tremonti bond per 3,4 miliardi, il taglio dei costi operativi da 3,5 a 2,9 miliardi e il taglio dei costi del personale da 2,19 a 1,89 miliardi, con 4.600 esuberi tra chiusura di 400 filiali, pensionamenti, rami in uscita (come la cessione di Biverbanca e dei suoi 700 lavoratori a Cassa di Asti, per 200 milioni) e l’esternalizzazione dei servizi informatici del Consorzio Mps • Il governo Monti mise poi a disposizione 3,9 miliardi di Monti bond (teoricamente restituibili in azioni Mps, così come il pagamento degli interessi, a salire dal 9 fino al 15%), in parte per rimborsare i Tremonti Bond (1,9 miliardi) e in parte per sostenere il piano di rilancio. L’emissione di Monti bond fu approvata dalla Banca d’Italia nel gennaio 2013 e confermata dal Tar nel febbraio, dopo un rimborso del Codacons • I conti del primo semestre 2013 evidenziarono una perdita netta di 380 milioni di euro, in calo del 75,5% rispetto al rosso di 1,552 miliardi dell’anno precedente • A luglio 2013 un’Assemblea straordinaria di Mps approvò l’abolizione dell’articolo 9 dello Statuto, che escludeva per i soci privati di poter superare il 4% del capitale. Di fatto un’apertura all’ingresso di nuovi investitori, auspicata a più riprese e in vano da Viola e Profumo • Il 16 luglio 2013 il commissario europeo per la Concorrenza Jacquin Almunia scrisse una lettera al premier Enrico Letta in cui esprimeva la sua preoccupazione per la stabilità di Montepaschi e bocciava come «insufficiente» il piano di ristrutturazione, indicando sei punti critici, tra cui la mancata riduzione dei costi, l’eccessiva esposizione ai titoli di Stato e gli stipendi dei manager troppo alti. Se non fossero state compiute al più presto le adeguate modifiche, scriveva Almunia, l’Ue avrebbe aperto una procedura d’infrazione. Così a ottobre 2013 il cda della banca ha approvato un nuovo piano di ristrutturazione che prevede un aumento di capitale fino a 2,5 miliardi di euro entro il 2014, 8.000 esuberi al 2017 (2.700 circa già usciti al 30 giugno 2013) con un taglio sul costo del personale di 500 milioni di euro, la chiusura di 550 filiali e un tetto agli stipendi dei manager di 500 mila euro netti l’anno (nel 2012 Viola ha incassato 1,5 milioni di euro lordi). Con il nuovo piano Mps stima di realizzare entro il 2017 un utile di circa 900 milioni e prevede di rimborsare tre miliardi di euro di Monti bond (il 70% del totale) entro il 2014.
[Sull’argomento leggi anche La rassegna stampa del 23 gennaio 2013; del 24 gennaio; del 25 gennaio; Il Fatto del giorno del 25 gennaio e del 26 gennaio]