31 maggio 2012
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Biografia di Giuseppe Morabito
• Casalnuovo di Africo (Reggio Calabria), 15 agosto 1934. ’Ndranghetista, capo del locale di Africo. Operaio della forestale in pensione.
• Detto “ u Tiradrittu”, “spara dritto, dalla buona mira”.
• Detenuto dal 18 febbraio 2004 (latitante per dodici anni), al 41 bis, per espiazione di varie pene definitive per reati di associazione mafiosa.
• La prima denuncia grave nei suoi confronti, nel 1967, per concorso nella strage di Piazza del Mercato a Locri (23 giugno 1967, muoiono i boss Domenico Cordì e Vincenzo Saracini, ma anche un innocente, Carmelo Siciliano, colpito per errore). Morabito viene accusato di avere portato sul posto i killer siciliani Tommaso Scaduto e Giuseppe Di Cristina. Processato, viene assolto (Flavia Piccinni).
• Affiliato giovanissimo alla cosca Morabito-Bruzzaniti-Palamara, assume nel 1990 il comando del locale di Africo dopo aver posto fine, con la sua mediazione, alla faida di Motticella, tra gli Speranza-Palamara-Scriva e i Mollica-Morabito, scatenata dai secondi per non essere stati coinvolti nel sequestro della farmacista di Brancaleone, Concetta Infantino (rapita il 25 gennaio 1983, poi liberata senza richiesta di riscatto). Cinquanta le vittime della faida, tra cui la studentessa Filomena Pezzimenti.
• Diventa latitante nel 1992, per sottrarsi a un’ordinanza di custodia cautelare per associazione di tipo mafioso finalizzata al traffico di sostanze di stupefacenti. Secondo le dichiarazioni di alcuni collaboratori, navi provenienti dal Sud America scaricavano davanti alle coste di Africo bidoni a tenuta stagna contenenti centinaia di chili di cocaina da raffinare, successivamente recuperati con piccole imbarcazioni e trasportati negli opifici clandestini controllati dai Morabito.
• Al secondo posto dopo Provenzano nell’elenco dei trenta latitanti più pericolosi ricercati dalla Direzione centrale della polizia criminale, viene arrestato il 18 febbraio 2004 in un casolare in contrada Santa Venere di Cardato, centro dell’Aspromonte, dove si nascondeva con il genero Giuseppe Pansera. Coppola in testa, ai carabinieri dice: «Trattatemi bene». Sul comodino vicino al letto una skorpion ed una Beretta modificata. Per il presidente della commissione parlamentare Antimafia, Roberto Centaro, si tratta di un arresto «ben più importante della cattura di Provenzano». «Un’intelligenza superiore alla media», il commento di uno degli inquirenti.
• Condannato (sentenza definitiva il 3 novembre 1999), a 15 anni di reclusione per associazione mafiosa, con l’aggravante di aver promosso l’associazione. Nella determinazione della pena l’aggravante viene azzerata dal riconoscimento delle attenuanti generiche. «Il pubblico ministero insorge contro la sentenza del giudice di appello lamentando totale difetto di motivazione in ordine alla concessione delle attenuanti generiche in favore di Morabito Giuseppe e violazione di legge per la relativa, ingiustificata concessione» (così la Corte di Cassazione, che però rigetta il ricorso del pm, perché, anche se l’imputato non le meritava, senza la concessione delle attenuanti generiche la pena sarebbe stata troppo alta, e, come recita l’art. 27 Cost, la pena deve invece tendere ad educare).
• Il 10 aprile 2002 viene definitivamente prosciolto dall’accusa di far parte dell’organo direttivo di Cosa Nuova, costituito, secondo i pm, alla fine della prima guerra di mafia, nel 91 (sull’esempio di Cosa Nostra), col compito di intervenire nella soluzione delle questioni più delicate, vincolando le singole ’ndrine, che per il resto sono autonome (vedi per tutti Antonio Nirta).
• Condannato (sentenza definitiva il 1° novembre 2004), a 26 anni e 6 mesi di reclusione, in quanto capo dell’associazione mafiosa facente capo alla cosca denominata Morabito-Bruzzaniti-Palamara, insediata nel territorio di Africo e Bova Marina in Calabria ed operante a Milano, dedita al commercio internazionale di stupefacenti e reimpiego dei proventi in attività commerciali e imprese edilizie nel territorio di Cologno Monzese, Vimodrone e Cernusco sul Naviglio e nell’hinterland nord di Milano.
• Condannato (sentenza definitiva l’8 marzo 2007), a dieci anni di reclusione per associazione mafiosa, in quanto capo della cosca che riunisce i locali del comprensorio jonico da Melito Porto Salvo a Brancaleone (sul concetto di “locale” vedi Santo Carelli).
• In famiglia può contare su tre medici: la figlia, Giuseppina, il di lei marito, Giuseppe Pansera (già arrestato con lui in quel di Cardato il 18 febbraio 2004, e condannato in concorso col suocero a 12 anni di reclusione per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti, sentenza definitiva l’8 marzo 2007), e un altro genero, Francesco Cuzzola, marito della figlia Caterina (condannato per vari falsi e reati contro la pubblica amministrazione). La figlia Giuseppina e il genero Cuzzola, nel 2005, risultano in servizio presso la Asl di Locri.
• Nel 2005 la Commissione prefettizia conduce un’inchiesta presso la Asl di Locri (a seguito dell’omicidio del vicepresidente della Regione Calabria, Francesco Fortugno, vedi Alessandro Marcianò), concludendo nella relazione: «La presenza all’interno della struttura di personale medico e non, legato da stretti vincoli di parentela con elementi di spicco della criminalità locale, o interessati da precedenti di polizia giudiziaria per reati comunque riconducibili ai consolidati interessi mafiosi, ha permesso di verificare non solo la presenza di un contatto tra le organizzazioni malavitose e l’azienda, bensì una vera e propria infiltrazione in quest’ultima» (in tutto tredici, nella relazione, i medici sospettati di essere vicini alla ’ndrangheta). Tra i rilievi della Commissione «i tempi ristretti, assolutamente inusuali per una pubblica amministrazione», con i quali la Morabito era stata assunta, impiegata nel reparto di psichiatria e aveva ottenuto un incremento dell’orario lavorativo (Enrico Fierro).
• Un figlio, Domenico, morì a 39 anni il 5 ottobre 1996, ucciso, secondo la versione ufficiale, da un poliziotto. Era in manette a bordo della Fiat Tipo dei carabinieri che l’avevano arrestato e adesso stavano scappando dai suoi amici che li inseguivano in macchina a suon di mitragliate. Li incrociava un’auto della polizia, che, invece di sparare agli inseguitori, per errore sparava all’auto dei carabinieri, uccidendo proprio Domenico. Il Tiradritto veniva arrestato solo otto anni dopo, e subito dopo la figlia Francesca, intercettata mentre era al telefono con un’amica che le faceva le condoglianze, diceva cose apposta per farsi sentire dai carabinieri all’ascolto: «Mio fratello non è che lo hanno ammazzato loro, no, perché hanno avuto l’ordine di quelli infami con la divisa e di quelli senza della divisa di tutta la Jonica, perché loro sono stati la mano e la mente sono stati gli infami, quelli che gli hanno calato le corna, che mangiano e spartono tutti insieme… e che registrino questi figli di troia, che voglio che registrino… Mio fratello si è suicidato, hai capito, non lo hanno ammazzato! … che dovevano fare i maiali, poi mio padre ci ha affidato quella “carticella” bianca, quella che ha detto quello del Sismi, non è che l’ho detto io, che si fottevano cento milioni al mese insieme al suo compagno di merende». «La carticella bianca, senza eccessive interpretazioni, pare essere proprio un accordo. Un inquietante accordo fra Stato e Mafia. Un accordo che ha portato la pace in un paese che ha visto morire invendicato, al di fuori di ogni logica mafiosa, il figlio di quello che era il boss dell’Aspromonte» (Flavia Piccinni, autrice, insieme al maresciallo dei Ros Nino Maressa, del libro La mala vita).
• Nipote prediletto il calciatore Giuseppe Sculli, attaccante del Genoa. Intervistato al ritorno dalla trasferta di Atene con l’Under 21 (il nonno era stato appena arrestato): «Quando l’ho saputo mi è cascato il mondo addosso». Il padre Francesco, funzionario del Comune di Bruzzano Zeffirio, e Rocco Morabito, figlio del Tiradritto, sono stati rinviati a giudizio il 30 gennaio 2011 (processo “Aquino Domenico + 21)”. All’origine del processo, l’operazione “Metropolis”, che vede coinvolto, tra gli altri, il terrorista Ira Henry James Fitzsimons. «Si è trattato di un’indagine in cui si è potuto toccare con mano quale formidabile volano economico sia per le organizzazioni criminali (qui parliamo delle note famiglie Aquino e Morabito), il traffico di sostanze stupefacenti» (relazione Dna 2013). Valore degli immobili sequestrati sulla costa jonica calabrese in cui, secondo gli inquirenti, sono stati riciclati i proventi del traffico di cocaina: 500 milioni di euro (all’esito di rogatorie eseguite in Spagna, Gran Bretagna e Irlanda).
• Ospitò, secondo le dichiarazioni di Vittorio Ierinò, già collaboratore di giustizia, proprio Totò Riina, vestito da prete, quando era latitante. (a cura di Paola Bellone).