31 maggio 2012
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Biografia di Angelo Moccia
• Afragola (Napoli) 25 luglio 1957. Camorrista. Capozona di Afragola. Alias “Enzuccio”. Designato da Carmine Alfieri come nuovo leader della Nuova Famiglia (nell’inverno 1990), rifiutò (motivo: tra la Nuova Famiglia e la sua famiglia preferiva la seconda). Detenuto dal 3 febbraio 1992 (essendosi costituito dopo 10 anni di latitanza), è in regime 41 bis dal 9 agosto 1995, condannato in via definitiva all’ergastolo per associazione mafiosa e omicidi vari (ha altri processi in corso).
• Non si è mai pentito, ma, come molti terroristi, dissociato: ha confessato i crimini commessi, senza chiamare in causa i complici, salvo quelli già pentiti o morti (ma ha guadagnato al massimo la concessione delle generiche, non essendo previsti per legge sconti di pena per i camorristi che si dissociano).
• «Nel 1994 ho iniziato ad ammettere le mie responsabilità, divenendo reo confesso di ciò che avevo commesso nella mia vita per perseguire la vendetta di mio padre, ammazzato per non essersi piegato al pagamento di estorsioni (era un piccolo possidente). Delitto del 31 maggio 1976. Perciò mi sono macchiato in quella logica solo del delitto di omicidio» (Sergio D’Elia, Maurizio Turco).
• Figlio di Gennaro Moccia (camorrista di Afragola, ammazzato nel 1976 dai clan concorrenti), e di Anna Mazza (vedi scheda: a lungo sospettata di essere il vero cervello di un clan a conduzione familiare). Mentre scoppia la faida successiva all’assassinio del padre (23 morti in 15 anni), Enzuccio viene condannato per qualche rapina, e finendo in prigione stringe amicizia con Carmine Alfieri e Pasquale Galasso, diventando il migliore amico di quest’ultimo.
• «Verso l’80 formammo un gruppo (...) per difenderci da eventuali malavitosi che erano ostili e che tendevano ad aggredirci».
• Galasso e Enzuccio si scambiano favori. Enzuccio partecipa ad alcuni omicidi nella zona di Poggiomarino (vittime i fratelli Caso e i fratelli Catalano); Pasquale lo aiuta a commettere almeno due omicidi nell’area nord di Napoli (vittime un farmacista e Umberto Iavarone).
• Messo con successo alla prova, Enzuccio entra nel clan di Alfieri, con Galasso, Geppino Autorino, Ferdinando Cesarano, Marzio Sepe e Peppe Rocco, partecipando alla gestione di appalti e tangenti. Viene designato capozona ad Afragola, premiato con le tangenti milionarie delle imprese. Per aggiudicarsele ha dovuto far fuori la concorrenza cutoliana, rappresentata ad Afragola da Pasquale Scotti (costretto alla fuga dopo l’uccisione di alcuni suoi uomini). La prima fortuna di Moccia la fa l’impresa dei fratelli Costanzo di Catania (cinque milioni al mese dal 1983 al 1992, per un totale di mezzo miliardo di lire). Nell’86 la ditta vince l’appalto per la realizzazione dell’Asse Mediano (attraversa anche il comune di Afragola), ma Carmelo Aitala, rappresentante dell’impresa, fa l’errore di comunicare a Moccia una cifra più bassa circa l’entità dei lavori. Sospettandolo, Moccia fa sequestrare un geometra del cantiere, per farsi consegnare la documentazione, e qualche giorno dopo lui e Alfieri fanno prelevare l’ingegnere e se lo fanno portare al proprio cospetto. Aitala, senza farsi dire niente, si è già portato dietro una valigetta per integrare la tangente (si accordano per trecento milioni da versare in tre rate). Per la circumvallazione Aitala dovrà versare dieci milioni di lire al mese (ma questo affare renderà poco, causa la sospensione dei lavori). Conti alla mano Aitala in tutto pagherà un miliardo e trecento milioni di lire, oltre ai subappalti affidati a ditte segnalate da Moccia.
• Enzuccio fa carriera, mentre la madre, nel 1984, è condannata al soggiorno obbligato per quattro anni nel comune di Solarolo, Ravenna. Subisce anche il sequestro di molti beni, ma i suoi avvocati impugnano il provvedimento sostenendo che si tratta di beni ereditari. Dissequestrano parte dei beni e il soggiorno obbligato viene trasformato in soggiorno speciale a Formia (dove i Moccia hanno una villetta). Nel 1984 viene arrestato il fratello Luigi Moccia mentre cerca di scappare da una palazzina del rione Lauro (gli sequestrano una Maserati Turbo e assegni per un valore complessivo di 50 milioni di lire). Il 21 novembre 1987 dei killer uccidono il fratello Vincenzo, appena ventisettenne (era in semilibertà, doveva scontare un residuo di pena per aver ucciso, a 16 anni, il maresciallo D’Arminio). Secondo gli inquirenti l’omicidio entra in un regolamento di conti in cui i vari clan si disputano l’appalto per la realizzazione del Parco a Tema, una sorta di Disneyland che deve sorgere ad Afragola (investimento iniziale previsto: 170 miliardi di lire). Infatti prima di Vincenzo sono stati uccisi Domenico Di Maso (17 aprile 1987) e Angelo Magliulo (3 maggio 1987), e dopo di lui Giuseppe di Fusco (25 novembre 1987), i consiglieri comunali Paolo Sibilio e Francesco Salzano (10 marzo 1993).
• «Devo ammettere che Afragola è il paese di Enzo Moccia, un mio caro ex amico (purtroppo oggi l’ho abbandonato), già da diversi anni Enzo Moccia era al corrente del fatto che si doveva realizzare il Parco a Tema; anni addietro era in atto – credo – soltanto il programma e il progetto, e Enzo già aspettava questo grosso investimento. Egli mi disse diverse volte di tenere quella zona tranquilla e serena perché in futuro, nel giro di poco tempo, avrebbe potuto raccogliere i frutti su questo appalto» (Pasquale Galasso).
• Nel giugno 1988 la Procura di Napoli emette 17 ordini di cattura nell’ambito della inchiesta sulla faida. Ad Anna Mazza viene contestato il reato di associazione per delinquere di stampo camorristico e il concorso nell’omicidio di Giuseppe di Fusco e Domenico Di Maso. Alla famiglia sono sequestrati beni per qualche miliardo (un negozio all’ingrosso di elettrodomestici, tre imprese edili, un appartamento a Formia, un fabbricato e una boutique a Casoria, un terreno a Caivano). Il 12 agosto 1989 i carabinieri arrestano Enzuccio e Antonio, sorpresi sullo yacht Engiusi II, ormeggiato nel golfo di Gaeta. Un anno dopo ai due viene contestato il reato di associazione per delinquere di stampo camorristico. La Criminalpol ha accertato anche che il clan afragolese ha aperto diverse attività economiche in Sardegna, Campania e basso Lazio investendo i proventi delle estorsioni sugli appalti pubblici.
• Per decorrenza dei termini di custodia cautelare Enzuccio torna in libertà nell’ottobre 1990, e lascia ad intendere che vuole cambiare vita, ma Carmine Alfieri non ne vuole sapere, e gli propone di diventare lui il capo. Niente da fare, Enzuccio vuole davvero tagliare col passato, infatti due anni dopo si costituisce al carcere dell’Aquila, quando ormai è passata in giudicato una sentenza di condanna a suo carico. Nel frattempo Galasso ha cominciato a cantare, anche se all’inizio ha cercato di risparmiare il suo migliore amico, ma poi ha ceduto all’incalzare degli inquirenti: «È un giovane come me, diciamo che ha avuto la sventura… quasi la mia stessa storia. Gli hanno ammazzato il padre mentre sta nel carcere… Una persona che, credo, se sceglierà la mia stessa strada, un domani potrebbe ricrearsi una vita per bene, nonostante si sia macchiato, come me, di tanti delitti orrendi». Invece Enzuccio non parla, si avvale spesso della facoltà di non rispondere, e quando viene sottoposto a un confronto con Galasso, risponde che ci deve pensare.
• Nell’estate 1993, insieme al fratello Luigi, comincia a pensare all’alternativa di dissociarsi (confessarsi, senza fare i nomi dei complici salvo quelli morti e pentiti). L’idea è venuta a Luigi, nel frattempo arrestato anche lui, pensando ai discorsi che faceva nel carcere di Frosinone (da cui era evaso il 4 ottobre 1981) con Cesare Battisti (vedi scheda), componente dei Proletari armati per il comunismo poi confluito in Prima linea. Per promuovere una legge che conceda sconti di pena ai camorristi dissociati, nel 1993 Luigi chiama il cappellano del carcere di Poggioreale, don Antonio Riboldi, vescovo di Acerra (aveva organizzato una marcia anticamorra a Ottaviano). Riboldi si attiva politicamente. Nello stesso tempo i vertici di molte cosche sono allarmate dal dilagante pentitismo, i Moccia per primi (hanno promesso un miliardo di lire a Galasso in cambio del silenzio). Nel 1994 la storia della dissociazione diventa di dominio pubblico. Don Riboldi rivela di avere avviato un fitto dialogo coi boss e gregari in cerca di conversione: «I malavitosi disposti a dissociarsi riconoscerebbero che essere camorrista, alla luce del Vangelo e di una vita degna dell’uomo, non porta che un vivere infelicemente, sempre avendo paura e quello che più conta vivendo una vita che non può essere testamento degno di un padre ai figli. I camorristi, alcuni dei quali sono ancora sconosciuti alla giustizia, non vogliono essere considerati pentiti… chiedono al Presidente della Repubblica, al Governo, al presente Parlamento se vi sia un’accoglienza umana a questa loro disponibilità alla resa… hanno molto discusso tra di loro sulla possibilità di un pentitismo che avrebbe dato tante agevolazioni. Ma in forza del loro atteggiamento, che è di conversione sul modello della Chiesa, scelgono il ruolo della dissociazione; anche se questa porta pochi vantaggi… chiedono solo un giudizio abbreviato e se possibile riconoscere la loro dissociazione. Questo per dare loro la possibilità, pagando i loro errori, di ricostruirsi la vita dentro, di riparare nello stesso tempo il male e di avere la possibilità di trasmettere una educazione diversa ai loro figli. I camorristi dissociati sarebbero pronti anche a dare una dimostrazione tangibile delle loro intenzioni. Assicurano che, per mostrare la serietà dei loro propositi sono pronti a dare graduali segnali ben precisi, che saranno puntualmente fatti sapere all’opinione pubblica. È un fatto di grande rilevanza che apre una grande porta alla scomparsa della camorra. Un fatto che può avere dell’incredibile, del fantastico o altro, e adesso Dio illumini loro e tutti gli altri, a cominciare da chi detiene il potere».
• Qualche giorno dopo nel portabagagli di un’auto parcheggiata in un garage di Salerno vengono fatte trovare delle armi (uno dei segnali di disponibilità a cui aveva fatto riferimento don Riboldi). Ma i pm partenopei si oppongono a qualsiasi trattativa tra lo Stato e le organizzazioni criminali («Ogni eventuale costituzione dei latitanti e dichiarate posizioni di “dissociazione” saranno positivamente valutate alla stregua delle leggi vigenti»).
• Infatti nell’interrogatorio del 18 febbraio 1994 Pasquale Cuomo, ex componente della NF, accusato di 90 omicidi, prima dissociato, poi pentito, rivela che effettivamente quella della dissociazione era una strategia per frenare i collaboratori, conservare i patrimoni accumulati scontando un po’ di carcere (e evitare così l’ergastolo, contando sui benefici di pena che qualche onorevole avrebbe introdotto per legge), allo scopo di godere i tesori nascosti dopo aver riguadagnato la libertà, nel frattempo senza interrompere l’attività delittuosa.
• Nessuna legge è stata varata per premiare i dissociati, e Enzuccio Moccia è l’unico camorrista passato alla cronaca giudiziaria come autentico dissociato, non essendo stato provato più nessun coinvolgimento nella camorra dopo che si è costituito. «Io voglio che venga distrutta la camorra» (dichiarazioni rese il 5 febbraio 1996 davanti alla Corte d’Assise di Salerno). La sua scelta è stata condizionata dalla mamma, che comunque aveva ben altri propositi. Come ha dichiarato il 12 marzo 1996 in interrogatorio Dario De Simone, del clan dei casalesi, che quell’anno ha iniziato a collaborare, e subito dopo ha ricevuto un messaggio da parte della vedova Moccia (avrebbe dovuto smettere di collaborare, chiedere un colloquio con don Riboldi, e annunciare la volontà di dissociarsi, in cambio lei lo avrebbe aiutato). La sua collaborazione è continuata e qualche mese dopo suo fratello Aldo è stato ucciso.
• L’avvocato Libero Mancuso, già magistrato e fratello di Paolo (procuratore di Nola, a suo tempo coordinatore della DDA di Napoli e accusatore dei Moccia), che nel 2012 ha accettato l’incarico difensivo da parte di Angelo Moccia. «Mi rendo conto che la cosa può incuriosire o peggio, ma io faccio l’avvocato con lo stesso gusto che provavo nel fare il magistrato. Oggi ogni attività difensiva è sottoposta al sospetto, dov’è allora la parità tra le parti nel processo? Certo, ho accettato quest’incarico con tutti i rischi che la cosa comporta, perché non posso giurare sulla correttezza delle dichiarazioni dei miei assistiti. Ma il mio coinvolgimento è delicato anche per loro: hanno scelto un difensore che, per la dignità e la linearità della sua storia personale, non accetterebbe mai di coprire condotte criminali. Io, invece, mi sono chiesto solo se fossi convinto della giustezza della loro causa. E, poiché lo sono, ho accettato. Angelo Moccia ha chiesto un colloquio in carcere con me e ci sono andato. Mi chiamava ancora giudice, gli ho dovuto spiegare che giudice non lo sono più. E, da avvocato, assisto la famiglia senza remore. Nonostante le perplessità familiari» (Gianluca Abate, Corriere del Mezzogiorno, 23 luglio 2012). Il 9 ottobre 2013, Angelo Moccia, difeso da Libero Mancuso e Saverio Senese, è stato assolto dal Tribunale di Napoli dall’accusa di essere stato «promotore, direttore ed organizzatore» del clan (la Procura aveva chiesto vent’anni di carcere). Il web ha già annunciato la pubblicazione, da parte dei due avvocati, di un libro dal titolo Una mala vita. La vera storia di Angelo Moccia.
• Il 27 novembre 2012 il Tribunale di Sorveglianza dell’Aquila ha respinto la sua istanza di permesso di recarsi dal proprio coniuge per favorire rapporti coniugali più completi ed intimi (a cura di Paola Bellone).