31 maggio 2012
Tags : Ettore Mo
Biografia di Ettore Mo
• Borgomanero (Novara) 1 aprile 1932. Giornalista. Del Corriere della Sera. «Sono da sempre un accanito sostenitore della testimonianza diretta: bisognerebbe vedere con i propri occhi e ascoltare con le proprie orecchie».
• «Come reporter di guerra ha dato lezioni a tutti. Per il Corriere della Sera ha rischiato la pellaccia ovunque vi fosse un putsch, un campo minato, una pulizia etnica, una guerra santa, dall’Iran alla Cecenia» (Enrico Arosio).
• «Da studente di Lingue a Ca’ Foscari avevo girato mezza Europa, Jersey, Parigi, Amburgo, Svezia, Inghilterra, mantenendomi come sguattero, barista e cameriere. A Londra ho fatto l’infermiere in un ospedale per incurabili. E intanto scribacchiavo, leggevo il Corriere, Vittorio G. Rossi, i grandi viaggiatori, Hemingway e Conrad. Finché mi sono imbarcato su una nave da crociera della P&O Orient Lines. Southampton, Gibilterra, Napoli, Suez, Bombay, Australia, Fiji, Hong Kong, Yokohama, Honolulu, Vancouver, Panama, Jamaica, Le Havre, Londra. Quattro mesi e mezzo di mare. Nei porti scendi, ti ubriachi, ma a un certo momento arriva la sirena, Uuh-uuh, e se la perdi sei fottuto. No, direi una scuola di indipendenza. Si impara a non avere più paura di niente. Sbarcavo nelle Filippine, e mi sembrava di veder sbucare Lord Jim. Anni romantici, per me. E alla vigilia di uno di questi viaggi, a Londra, sono andato a trovare Piero Ottone, corrispondente del Corriere. Pensavo fosse un vecchiaccio, invece aveva pochi anni più di me. Gli lascio due raccontini, e il mio itinerario. Al porto di Yokohama mi arriva una lettera. “Caro Mo, ho letto le sue cose. Lei è persona atta a fare il giornalista”. E mi invita ad andare a trovare, passando per Napoli, il suo amico Giovanni Ansaldo, direttore del Mattino. Ansaldo non lo trovai. Ma dopo un secondo giro del mondo, al mio rientro a Le Havre, ebbi una lettera di Alfredo Pieroni, il nuovo corrispondente da Londra. Segnalato da Ottone, fui preso come numero tre, vice del vice. Cinque anni, una paga da fame, senza firmare mai. Ero il milite ignoto».
• Poi cinque anni a Roma: «Dovevo coprire per il Corriere le ore notturne di Roma e del Sud. Stavo al Messaggero e copiavo. Cinque anni di fogna. Pensai di lasciare, di tornare sulle navi. Alla fine divenni redattore. L’unica volta che in serata parlai col direttore, Giovanni Spadolini, fu quando il marchese Casati uccise la moglie, il suo amante e poi se stesso. “Professore” avvertii, “il fatto verrà ripreso da tutti con grande evidenza”. “Ma sa” rispose, “queste cose non interessano”. Dovetti insistere. Lui minimizzava, non coglieva. Di Spadolini non ho un ricordo felice. Amava i giornalisti-professori. “Al giornalismo bisognerebbe accedere solo per ceto e per casato”, è una celebre frase che fu udito pronunciare. Gli chiesi di poter rientrare a Milano: avrei potuto rendermi utile con la mia conoscenza dell’inglese, anche solo per le didascalie. Lui mi frenò. Per poi esclamare: “Ora anche Mo vuole fare il giornalista militante!”. Finii cronista agli spettacoli a Milano».
• «Ho aspettato il 1979. A 46 anni. Si accorse di me Franco Di Bella. Fu il migliore dei miei direttori, e lo dico da uomo di sinistra. Perché era un ex cronista, conosceva il mestiere a fondo. Io privilegio la cronaca all’opinionismo che dilaga oggi. Narrare con gli occhi è nel mio dna. Non contavo niente, non sapevo neanche chi fosse Bruno Tassan Din. La vicenda P2 mi passò sopra la testa. La mia è stata la carriera giornalistica più lenta del dopoguerra. Non ricordo neanche perché Di Bella chiamò me: “Vai in Iran. L’inglese lo parli, no?”. Sono andato a Istanbul, poi in treno a Erzurum, Anatolia, e 400 chilometri di taxi fino al confine iraniano. Avevo una paura matta, era zona di banditismo, tenevo i soldi nelle calze. Impiegai due settimane per arrivare a Tabriz. Il primo pezzo lo feci raccontando la marcia di avvicinamento. Descrissi un ragazzino della polizia segreta portato via in mezzo alla strada, tra bastonate, sputi, urla. E i suoi occhi, gli occhi di chi sta per essere ammazzato. Il giorno dopo da Milano arrivò una menzione laudativa... E nacque Ettore Mo “war reporter”».
• Ultimi libri: Lontani da qui. Storie di ordinario dolore dalle periferie del mondo (Rizzoli, 2009), Diario dall’Afghanistan (Transeuropa, 2012).
• Ha vinto per due volte il premio Estense. Aveva anche una bella voce da tenore e, da giovane, aveva anche pensato di fare il cantante. La famiglia vive a Londra.