31 maggio 2012
Tags : Paolo Mieli
Biografia di Paolo Mieli
• Milano 25 febbraio 1949. Giornalista. Presidente di Rcs Libri (dal 2009). Dal dicembre 2004 all’aprile 2009 direttore del Corriere della Sera (caso unico nella storia del nostro giornalismo, per la seconda volta: era già stato direttore dal 1992 al 1997. E per la seconda volta è stato sostituito da Ferruccio De Bortoli). «Considero più elegante guardare la trave nel mio occhio, anche se l’avversario ha negli occhi una fabbrica di legname. Si chiama fair play, ma è anche un modo per essere credibili».
• «Volumi di ogni foggia, spessore ed età torreggiano sulla sua scrivania, dietro la quale si staglia il tradizionale armamentario enciclopedico di via Solferino: la Treccani dal 1938 a oggi. Di lato, il computer, fisso sull’homepage di Dagospia. C’è persino un’edizione del 1564 delle Opere Morali di Cicerone avuta in dono dalla Fallaci, che lui tiene sotto chiave nel cassetto. Assieme a un tomo di Hermann Rauschning, Hitler mi ha detto... (Edizioni delle Catacombe), datato 1944: altro regalo di Oriana. Mieli è così: (poco) direttore e (molto) prof. “Sarà un retaggio di mio padre”, spiega, “ma mi sta molto a cuore la doppia identità: se una cade l’altra va avanti. Ecco perché considero fondamentale avere due lavori”. Oltre a dirigere il Corriere, da cinque anni tiene un corso di Storia contemporanea alla Statale di Milano. “È lì che mi sento veramente arrivato”, confessa. “Il giornalismo, invece, è relativo. È quando sto in cattedra o correggo una tesi e ho a che fare con gli studenti, che mi sento veramente un padreterno”» (Barbara Romano).
• «Mio padre era un ebreo di Alessandria d’Egitto che venne in Italia. Ma durante le leggi razziali si rifugiò in Medio Oriente. Rientrò cambiando identità, nei panni di un colonnello dell’esercito inglese di nome Ralph Merrill. Non considero mio padre un giornalista. Quindi non mi considero un figlio d’arte. Fondò l’Ansa perché gli inglesi sapevano che era un intellettuale di spessore. Entrato nel Pci, divenne anche direttore dell’Unità nel 1949, l’anno in cui nacqui io. Ma poi lasciò la direzione per andare a Roma a dirigere la sezioni Esteri del Pci. Nei primi tempi, fummo ospitati da Maurizio e Marcella Ferrara, i genitori di Giuliano, che per me è stato un fratello per tutta l’infanzia e l’adolescenza».
• «Studia a un liceo di gran nome come il Tasso, milita in Potere operaio e prosegue gli studi alla Sapienza con due storici come Rosario Romeo e Renzo De Felice. Si laurea proprio con De Felice, di cui diviene poi assistente, con una tesi sul fascismo. Ma giovanissimo, mentre comincia l’università, imbocca anche la strada del giornalismo: lo fa all’Espresso, allora sotto la direzione di Eugenio Scalfari, che passa presto la mano a Gianni Corbi e poi a Livio Zanetti. Al settimanale di via Po Mieli rimarrà per diciotto anni prima di passare a Repubblica e poi a La Stampa. E la Stampa sarà la sua prima direzione, retta dal maggio 1990 al settembre 1992. Una scommessa per il presidente della Fiat Giovanni Agnelli, affidare a un giornalista giovane, affiancato dal coetaneo Ezio Mauro, la guida del quotidiano. E una scommessa che Mieli vince, visto che proprio l’Avvocato lo vuole alla guida del Corriere della Sera dopo poco più di due anni di esperienza torinese. In via Solferino Mieli si insedia il 10 settembre del 1992, all’inizio del periodo di Tangentopoli, con un editoriale di presentazione ai lettori in cui sottolinea la responsabilità di prendere “un’eredità preziosa in termini editoriali” e sottolinea come “l’autorevolezza di un grande quotidiano di informazione e il suo peso nella vita nazionale dipendono dalla capacità di far pervenire al Palazzo la voce del paese, di essere l’espressione fedele dell’opinione pubblica che in una società democratica rappresenta la difesa naturale contro ogni pericolo di arroganza dei centri di potere”. Una linea che avrà modo di ripetere più volte e nella quale si inserisce anche il famoso episodio della notizia pubblicata dal Corriere sull’avviso di garanzia al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, nel giorno in cui Berlusconi presenzia all’apertura del G7 a Napoli (22 novembre 1994 – ndr). Fautore del “terzismo”, una posizione che lo vede in cerca di distanze da entrambi gli schieramenti politici, Mieli dichiara: “Se sei un guardiano devi continuare ad esserlo anche quando sono i tuoi a governare. Non è possibile usare un doppio peso, una doppia misura”. Una posizione che gli attira non poche critiche, specie da sinistra, e in particolare gli strali del suo ex direttore Scalfari. La prima direzione di Mieli al Corriere della Sera finisce nel maggio 1997, quando assume la carica di direttore editoriale di Rcs. Da quel momento ha posizioni di rilievo nel gruppo fino a diventarne vicepresidente, pur non perdendo mai il contatto con il giornalismo: prima con le pagine nella sezione Società e Cultura de La Stampa, poi con le risposte alla posta dei lettori – nello spazio che era occupato dalla Stanza di Indro Montanelli – sul Corriere. Da queste esperienze arrivano anche libri di successo come Litigio a sinistra, Il socialismo diviso, Storia del socialismo italiano, Le storie, la storia, Storia e politica, La goccia cinese. Numerosi anche i riconoscimenti che Mieli ha ricevuto nella sua carriera, dal Premio Saint-Vincent a quello Ischia, al Premio Pannunzio» (La Stampa). «Oggi Scalfari riconosce al suo vecchio allievo di avere trasferito la lezione di Repubblica al quotidiano milanese. Di avervi introdotto la maggiore invenzione stilistica di Scalfari, la “settimanalizzazione”. Gianni Agnelli l’aveva definita più icasticamente: “Mieli ha messo la minigonna a una vecchia signora”. Cioè aveva inventato il “mielismo”. Termine che non gli piace: “È stato usato per mettere alla berlina il mio stile, esagerandone i tratti, a partire dalla sdolcinatura del cognome che porto”. Lui lo chiama “metodo Mieli”. Filippo Ceccarelli ne ha dato una definizione memorabile, che cominciava così: “Inconfondibile miscela di spirito alto e materia bassa”, e si concludeva citando il gusto per il gossip e il mielistico “spargimento di polpettine di zizzania” fra intellettuali e politici. Dove ancora oggi, passate le tempeste, Scalfari e il suo ex allievo non vanno per nulla d’accordo è sul concetto di “terzismo”, coniato da Mieli per definire chi non si schiera politicamente da una parte o dall’altra, ma è disposto ad ascoltare le ragioni degli altri. Per Scalfari tutto questo è figlio del cerchiobottismo: “Assai labile mi appare il confine tra terzismo, opportunismo e trasformismo”. Eppure il vecchio pupillo, figlio del comunista apostata Renato Mieli, non si era tirato indietro nei momenti cruciali della politica italiana. Se Scalfari aveva accolto la discesa in campo di Berlusconi, nel gennaio del 1994, titolando beffardamente sul “ragazzo Coccodè”, poco prima delle elezioni del 1996, insediato sulla massima poltrona di via Solferino, Mieli si era espresso con franchezza: “Val la pena di dire subito il più chiaro possibile quel che pensiamo noi: noi non ci auguriamo la vittoria del Polo se, come sembra, questo sarà guidato da Silvio Berlusconi e questi si candiderà a tornare a Palazzo Chigi. Inutile far giri di parole: come questo giornale non si è stancato di ripetere dall’inizio del 1994, Berlusconi non può fare il presidente del Consiglio”» (Edmondo Berselli).
• Il 7 marzo 2003 fu designato alla presidenza della Rai. Prima di accettare fece sapere che avrebbe riportato in video Biagi e Santoro, che avrebbe sostituito il direttore generale Saccà (in quota An) con Francesco Mengozzi o Claudio Cappon, che avrebbe preteso per sé lo stesso stipendio che percepiva in Rcs, cioè 700 mila euro l’anno. Il 12 marzo – constatato che a tutt’e tre le richieste il governo rispondeva di no – rinunciò, lasciando via libera alla nomina di Lucia Annunziata.
• Richiamato alla direzione del Corriere della Sera nel dicembre 2004, ha governato l’introduzione del colore in tutte le pagine e il cambio di formato (luglio 2005).
• L’11 marzo 2006, a due mesi dalle elezioni politiche, schierò pubblicamente il giornale dalla parte di Prodi e contro Berlusconi e la Lega, al punto di augurarsi, all’interno di una sconfitta del centrodestra, una crescita però dei partiti «guidati da Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini», cioè An e Udc. A causa di questo endorsement (parola venuta di moda in quell’occasione e che significa “appoggio”), il giornale perse all’incirca 40 mila copie: lo scrisse Massimo Mucchetti nel libro Il baco del Corriere, Mieli lo confermò in un’intervista aggiungendo però che «quei lettori, col tempo, sono rientrati» e «sono cresciuti di numero». Difese il suo pronunciamento («un direttore rispetta i suoi lettori se, nei momenti topici, sa prendere posizione», disse al momento di ricevere a Parma il premio Direttore dell’anno, nel dicembre 2007) ma un mese prima delle elezioni 2008 confessò: «Col senno di poi non lo rifarei (...) Se c’è anche una piccola minoranza che fraintende, non ne vale la pena».
• Nell’ottobre del 2007 si parlò di uno scontro con l’editore: Giovanni Bazoli, presidente di Intesa Sanpaolo azionista di Rcs, si trovò in disaccordo con gli articoli di alcuni commentatori sul futuro della Costituzione, Mieli lo rassicurò che si trattava di un dibattito culturale e non della linea del giornale. L’8 febbraio 2008, nel suo unico fondo prima del voto del 14 aprile, appoggiò la scelta del Partito democratico di presentarsi da solo alle elezioni definendola una «costrizione provvidenziale».
• Visto in tv come editorialista di Correva l’anno, programma di Raitre sulla storia del Novecento.
• Dalla seconda moglie Barbara Parodi Delfino (Versailles, Francia, 15 aprile 1959) ha avuto Oleandra (1997). Padre anche del produttore Lorenzo Mieli (Boris, Tetris ecc.) e di Andrea Mieli, avvocato.
• Interista.