31 maggio 2012
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Biografia di Giovanni Mercadante
• Prizzi (Palermo) 19 agosto 1947. Presunto mafioso, condannato in secondo grado per associazione mafiosa. Sposato con Agnese Saladino (dentista), tre figli (Tommaso, Gisella e Manfredi).
• Nonno materno, Giuseppe, uomo d’onore, per vent’anni primo cittadino di Prizzi (negli anni Sessanta offrì rifugio a tre mafiosi corleonesi di massimo rango, Luciano Liggio, morto nel 93, Salvatore Riina e Bernardo Provenzano). Tommaso Cannella, consigliori di Bernardo Provenzano (vedi scheda), è cugino in primo grado della mamma.
• Maturità classica presso i gesuiti dell’istituto Gonzaga di Palermo, laurea in Medicina nel 71 presso l’Università degli Studi di Palermo (al tempo è già sposato e ha un figlio). Nel 74 si specializza in Radiologia medica e radioterapia, dal 71 all’88 dirige il reparto di Diagnostica strumentale e Radiologia cardiovascolare presso il Policlinico dell’Università di Palermo. Nell’88 diventa primario del servizio di Radiodiagnostica e Radiologia interventistica dell’ospedale oncologico Maurizio Ascoli di Palermo. Nominato nel 90 professore a contratto, dal 92 è professore associato di Radiologia interventistica presso la Scuola di specializzazione di Radiologia dell’Università di Palermo. Entra in politica nel 90, candidandosi al Consiglio comunale di Prizzi, con la Democrazia cristiana (ricopre la carica di sindaco di Prizzi dal 90 al 92). Nel 95 aderisce a Forza Italia. Nel 97 viene eletto al Consiglio comunale di Palermo, dove ricopre la carica di capogruppo di Forza Italia. Eletto deputato regionale di Forza Italia nel 2001 (con successiva nomina nelle Commissioni Bilancio e Servizi sociali e sanitari), viene riconfermato nel 2006.
• Il 28 luglio 2006 (tre mesi dopo l’arresto di Bernardo Provenzano, e uno dopo le elezioni), viene arrestato con l’accusa di far parte di Cosa Nostra «unitamente a molte altre persone», tra cui Bernardo Provenzano, Antonino Giuffrè, Salvatore Lo Piccolo, Tommaso Cannella, Antonino Cinà, Antonino Rotolo ed altri (vedi scheda). È accusato di: essere stato «un punto di riferimento per la cura degli interessi di Provenzano Bernardo, nel periodo della sua latitanza»; avere messo a disposizione la struttura sanitaria privata di cui era socio (l’Angiotac) per prestazioni sanitarie in favore degli associati, anche latitanti; avere redatto documentazione sanitaria per favorire mafiosi (in particolare il padre di Giovanni Brusca, nel corso di una perizia medico legale in un processo a suo carico); avere ricevuto l’appoggio elettorale di Cosa Nostra nelle elezioni regionali in cui era candidato; avere inserito nel suo staff politico Marcello Parisi (nipote di Nino Rotolo), su richiesta dello zio e di Cinà, in vista della candidatura alle imminenti elezioni per il rinnovo del Consiglio comunale di Palermo.
• Prove a carico: dichiarazioni convergenti dei pentiti Giovanni Brusca, Angelo Siino e Antonino Giuffrè (che dice: «Mercadante è creatura di Bernardo Provenzano»); ritrovamento di un pizzino (biglietto criptato), presso il nascondiglio di Provenzano, in cui il figlio chiede il permesso di far visitare la madre a Mercadante (il nome di Mercadante è indicato in codice); intercettazioni ambientali e telefoniche.
• Le dichiarazioni di Angelo Siino, secondo il quale Mercadante si era rivolto al cugino Cannella perché ammazzasse l’amante di sua moglie Agnese, che si sarebbe salvato solo perché, essendo imparentato con un altro boss, Bernardo Provenzano avrebbe interceduto in suo favore. Siino, su richiesta di Provenzano, lo avrebbe anche raccomandato per fargli ottenere l’incarico di primario.
• A proposito dell’accusa di avere promesso a Cosa Nostra, nel 2006, di far candidare in Consiglio comunale Marcello Parisi, consigliere circoscrizionale di Forza Italia, nipote di Nino Rotolo (vedi scheda), depongono le parole di Rotolo intercettato da una microspia dei Ros nel box di lamiera a dieci metri da casa sua dov’era agli arresti domiciliari: «Giovanni gli dà una mano a lui e poi noi diamo una mano a Giovanni» (Marcello Parisi diventa attivista del “Motore azzurro”, fondato da Marcello dell’Utri e Berlusconi per sostenere Forza Italia alle elezioni nazionali del 2006) (Lirio Abbate, Peter Gomez).
• A proposito dell’accusa di voto di scambio, il colloquio intercettato nel luglio 2005 nel box di lamiera a dieci metri da casa di Nino Rotolo, tra costui e Antonino Cinà. Cinà: «Mi sono visto con Giovanni Mercadante. Gli ho fatto una promessa: sono finiti i tempi che ci potevate prendere per fessi, qua non si esce... tu mi dai e io ti do, anche perché ti ho eletto, ti vai a guadagnare venti milioni al mese». Rotolo: «Più la pensione». Cinà: «E tre milioni al mese, sì tre milioni al mese per l’ospedale. Nino, ci si devono dire queste cose».
• Il 29 marzo 2006 viene intercettato da una microspia installata dalla polizia negli uffici della sua segreteria elettorale durante un incontro con Nino Cinà, mentre discutono come far vincere un concorso da primario dell’Ospedale Civico di Palermo a Massimo D’Aliberti, capo di un’équipe medica dell’ospedale Niguarda di Milano di cui fa parte anche un nipote di Cinà. Alla fine del colloquio Mercadante fa a Cinà: «Tu lo sai quanto campiamo?». Cinà: «Già sta finendo». Mercadante: «Bravo è finita, per noi è finita».
• Il 24 gennaio 2007 la Cassazione annulla l’ordinanza del Tribunale delle Libertà che aveva confermato l’ordinanza di custodia cautelare del gip, e manda indietro gli atti, perché i giudici spieghino meglio il senso della «vicinanza» di Mercadante a Provenzano (sostenuta dai collaboratori di giustizia), «in guisa da offrire ad una platea più ampia di lettori, anche estranei a quel ristretto ambito geografico, la possibilità di comprendere la particolare accezione, sul piano semantico, del termine vicinanza e come quel significato si traduca, sul piano del linguaggio tecnico-giuridico, in momento emblematico - e gravemente tale - di appartenenza mafiosa». In astratto, però, dicono i giudici: «l’ipotesi accusatoria secondo la quale Cosa Nostra beneficiasse - e benefici tuttora - di un reticolo esterno di riferimenti e sostegni, anche a livello istituzionale e nel mondo imprenditoriale, è tesi tutt’altro che fantasiosa od implausibile».
• Il 1° giugno 2007 Mercadante viene trasferito al reparto detenuti dell’ospedale Civico di Palermo, e il 4 giugno 2007 il Tribunale del riesame conferma l’ordinanza di custodia in carcere.
• Alla fine del 2007 si dimette dalla carica di primario dell’ospedale Maurizio Ascoli e dalla carica di deputato regionale. In una lettera aperta del 14 dicembre scrive: «Da tempo, penso che, forse, l’accanimento giudiziario di cui sono stato fatto oggetto derivi anche dal fatto che io abbia dato l’impressione di voler resistere, costi quel che costi, nel mantenimento del mio status di deputato regionale».
• Il 18 aprile 2008 gli vengono concessi gli arresti domiciliari. Motivo: Mercadante è affetto da «disturbo depressivo grave che comporta l’affiorare di tendenze autolesive».
• Condannato in primo grado e assolto in appello (perciò scarcerato dopo 4 anni e 8 mesi tra detenzione in carcere e arresti domiciliari), nel 2012 la Cassazione ha annullato la sentenza di secondo grado e rinviato gli atti a un’altra sezione di appello di Palermo, che il 21 marzo 2014 lo ha condannato alla pena di anni 10 e mesi 8 di reclusione.
• Replicando alle dichiarazioni rese il 5 dicembre 2007 dal pentito Salvator Cancemi (che lo accusa di avere interceduto in favore del cugino Cannella nel processo maxiter contro la commissione di Cosa Nostra, presso il giudice a latere Librizzi, fratello di un suo collega): «Per una questione di chiarezza, che Giovanni Mercadante abbia manifestato al dott. Librizzi a che il fratello potesse leggere con attenzione le carte relative al processo di Cannella Tommaso, va bene, ma che domani debba leggere su La Sicilia e su Repubblica che sono stato il promotore per l’aggiustamento del processo della commissione, questo sarebbe un affronto troppo grave che reco alla mia famiglia e a me stesso (...) Non ho mai saputo niente della commissione, io mi mossi solo per mio cugino Cannella. Ho commesso una leggerezza ma solo per affetto nei confronti di mio cugino. I parenti sono quelli che sono».
• «Rosso maligno» (come lo chiamò il boss dell’Uditore Francesco Bonura, intercettato nel solito box di lamiera di Nino Rotolo). (a cura di Paola Bellone).