Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  maggio 31 Giovedì calendario

Biografia di Pietro Paolo Mennea

• Barletta 28 giugno 1952 – Roma 21 marzo 2013. Ex sprinter. Medaglia d’oro dei 200 metri alle Olimpiadi di Mosca (1980, bronzo a Monaco 1972). Primatista mondiale sulla stessa distanza (19”72, tuttora primato europeo) dal 12 settembre 1979 (Città del Messico) al 23 giugno 1996 (quando Michael Johnson corse in 19”66 alle Olimpiadi di Atlanta). Ai Mondiali vinse l’argento con la 4x100 e il bronzo nei 200 nell’83. Agli Europei vinse il bronzo con la 4x100 nel 1971; l’oro nei 200, l’argento nei 100 e nella 4x100 a Roma nel 1974; l’oro nei 100 e 200 a Praga nel 1978. Primatista italiano dei 100 (10”01 il 4 settembre 1979 a Città del Messico). Primatista italiano della 4x100 (38”37 il 10 agosto 1983 con Stefano Tilli, Carlo Simionato, Pierfrancesco Pavoni).
• «Nel 1984 è ai Giochi di Los Angeles, dove conclude i 200 al settimo posto in 20.55, primo sprinter finalista nella stessa gara per 4 Olimpiadi consecutive. (…) Torna per la sua quinta Olimpiade, a Seul: non parte nei quarti dei 200, dopo aver superato la batteria» [L’enciclopedia delle Olimpiadi Vol. II, Rcs, 2008, p. 517].
• Dopo il ritiro, è stato direttore generale della Salernitana (stagione ‘98-99), avvocato ed europarlamentare (1999-2004).
• In politica, fu prima con Di Pietro, poi con Berlusconi.
• «Noi non avevamo niente e volevamo tutto. Eravamo cinque figli, quattro maschi e una femmina. Mio padre Salvatore era sarto, mia madre Vincenzina lo aiutava, a me toccavano i lavori più umili: fare i piatti, pulire la cucina, lavare i vetri. Avevo tre anni quando mamma mi mandò a comprare un bottiglione di varechina che mi si aprì nel tragitto, porto ancora i segni sulle mani. Papà veniva da una famiglia di undici figli, due si erano fatte suore, non c’era da mangiare a casa. Quando ho iniziato a correre i calzoncini me li cuciva lui. Papà alla domenica mi mandava in bicicletta a portare i vestiti, anche al questore Buttiglione, io appoggiavo la bici e andavo a giocare a pallone, stavo in porta, ma i clienti protestavano e all’una tra i rimproveri ero intercettato. Correvamo in piazza o attorno alla cattedrale, mi feci la fama lì. A quattordici anni divenni collaudatore di macchine veloci. Chi comprava una Porsche o un’Alfa Romeo veniva a suonarmi a casa alle undici di sera» (Emanuela Audisio) [Rep 3/6/2012].
• «Città del Messico, 2.248 metri sul livello del mare. Era il 12 settembre del 1979. Universiadi. 19’’72, record del mondo, nei 200 metri. “Il pubblico urlò. Io capii, ma non ero sicuro. Non c’erano tabelloni elettrici, allora. Mi girai. L’unico cronometro era alla partenza. Guardai le cifre che segnalava, poi mi vennero tutti addosso, ci fu una grande confusione. L’avevo cercato e trovato, il record. Non era un caso, mi ero preparato per quello, senza tregua”. Quel giorno l’Italia scoprì un altro Coppi. Veniva dal meridione, era magro, un po’ storto, molto contorto. Figlio di un sarto. Suo padre tagliava abiti, lui si cucì l’atletica addosso. Corse i primi cento in 10”34 e i secondi in 9”38. Quell’anno l’Italia capì che correre alla Mennea era una scienza» (Emanuela Audisio cit.)
• «Avevo memorizzato tutto. Anche il riscaldamento: lo stretching, gli allunghi. Avevo imparato a memoria persino la strada che mi separava dallo stadio. Uno stadio antico e bello, ma la pista era logora, consumata. Ero concentrato al massimo, ripensavo a tutti gli insegnamenti dell’allenatore, quando cominciò a piovere. Per fortuna la pioggia non scese copiosa, mi graziò, altrimenti quel record non l’avrei mai battuto» (così sul 13 settembre 1979). Nel 2008 ha pubblicato il libro 19”72, il record di un altro tempo (Delta 3 edizioni).
• Sul successo olimpico: «Mascella scavata, mento alla Totò. Apparentemente fragile, intimamente di ferro. Lo allena Carlo Vittori, un tecnico che non lascia nulla al caso. Il sodalizio sfiora la sindrome di Stoccolma: vittima e aguzzino costretti a vivere sotto lo stesso tetto e a fare gli stessi sogni. Ma uno con fischietto e cronometro, l’altro con i pesi e in non più di venti secondi alla volta. A Berruti bastavano gli avversari. Mennea ha bisogno di nemici. Un ragazzo venuto dal basso, in senso atletico e geografico, discriminato, rabbioso, mai pago anche perché mal pagato: così, almeno, sostiene la mamma. Una scheggia, però. E a Mosca, la sera del 28 luglio, il più veloce fra coloro che avevano accettato di esserci. La finale fu un riassunto della sua vita: lento in avvio, staccato in curva dallo scozzese Allan Wells, poi venti metri, gli ultimi, da urlo. E quel ditino alzato a sorreggere il mondo capovolto, lui, uno di Barletta finalmente numero uno» [Sta 4/7/2003].
• Con gli otto milioni di lire guadagnati vincendo l’oro nei 200 metri alle Olimpiadi di Mosca, Pietro Mennea si comprò sei poltrone Frau. [Emanuela Audisio, la Repubblica 3/6/2012].
• Nel marzo del 2012 Londra, nell’ambito delle iniziative per i Giochi olimpici 2012, dedica a Mennea la stazione della metropolitana di High Street Kensington (Gino Martina) [Cds 29/3/2012].
• Nel giorno della sua scomparsa, le Ferrovie dello Stato decisero di intitolargli il primo treno Frecciarossa 1000.
• «Un uomo molto riservato con una spiccata predilezione per le frasi tronche. Lascia molto al non detto, al lavoro di fantasia di chi l’ascolta; non indugia nell’articolazione e rifugge da ogni consecutio. Dopo aver corso per vent’anni, ed aver vinto per vent’anni, si dedica agli affari. Apre una concessionaria d’auto. Gli va male. Cocciuto, tenta con un’agenzia di viaggi. Chiude. Decide per la toga. S’innamora di Di Pietro: “Andai a Montenero di Bisaccia e firmai la sottoscrizione in suo favore, mi piaceva l’uomo”. Torna a Barletta, poi va a Roma. Fa l’avvocato e una moltitudine di altre cose: “Sono tributarista, revisore dei conti, procuratore di calciatori”. Non si sa come né perché ma un giorno lo chiama Di Pietro: vuoi candidarti all’Europarlamento? Lui ci sta. È il 1999 e viene eletto. Passa un anno a Bruxelles e si fa vedere all’opera. L’Europa, l’Unione, i problemi transnazionali. Berlusconi s’accorge che l’atleta, giustamente appesantito da una pancetta parlamentare, può risolvere i problemi della Casa delle libertà a Barletta. Gli dice: “Guarda che fare il sindaco è un grande onore. È la tua città natale, hai una responsabilità in più. Io avrei tanto voluto fare il sindaco di Milano”. Gli piacciono quelle parole e cambia campo» [Antonello Caporale, la Repubblica 20/5/2002]. • Cinque lauree: Isef, scienze motorie, giurisprudenza, scienze politiche, lettere. «Fu Aldo Moro a suggerirmi di iscrivermi all’Università: aveva capito che avevo sete di sapere». È stato avvocato, commercialista, revisore contabile, agente di calciatori, giornalista pubblicista, insegnante universitario. Ha insegnato anche Educazione fisica in un liceo. «Già, ma il preside mi chiese di andarci piano, perché gli studenti si lamentavano di non riuscire a salire le scale… La scuola li cresce così e poi ci lamentiamo se invece di fare sport vanno in discoteca?». [Fiamma Tinelli, Oggi 28/7/2010] Insieme alla moglie Manuela Olivieri (anche lei avvocato) ha fondato una Onlus dedicata ad attività di beneficenza e solidarietà. Nel 2010 si è occupato di class action negli Stati Uniti per difendere alcuni risparmiatori italiani coinvolti nel crac della Lehman Brothers.
• La moglie Manuela Olivieri l’ha conosciuta a una festa nel ’92. Lei non sapeva chi fosse Mennea. E al primo appuntamento pensò che il campione si sarebbe presentato con un macchinone. «Arrivai con una Panda Young 750, bianca con i bordini azzurri. Quando corriamo, è più in forma di me, e mi lascia indietro. Ogni tanto c’è qualcuno nel parco che mi chiede: e tu che fai? Vorrei avere abbastanza fiato per rispondere: ho già fatto. 5482 giorni di allenamento, 528 gare, un oro e due bronzi olimpici, più il resto che è tanto. A 60 anni non ho rimpianti Rifarei tutto, anzi di più. E mi allenerei otto ore al giorno. La fatica non è mai sprecata. Soffri, ma sogni». (Emanuela Audisio) [Rep 3/6/2012].
• «Pietro era timido, aveva pudori, non avvisò nemmeno della nostra festa di matrimonio, dopo cinque anni di fidanzamento. Lui ne aveva 44, io 30. I miei all’inizio erano un po’ scettici: per la differenza di età e di esperienza, poi l’hanno accolto come un altro figlio e anche lui si trovava bene. I primi sei mesi di convivenza sono stati difficili, Pietro viveva come se io non ci fossi, con i suoi ritmi. Io lo smontavo, prendevo in giro la sua rigidità, e lui non ci era abituato. Però era incuriosito. (…) Gli avevano offerto un reality, era scandalizzato: sai che mi darebbero tre volte di più di quello che ho guadagnato in carriera? Non era un uomo gestibile. (…) Io e lui viaggiavamo e lavoravamo insieme. In autostrada guidava lui, anzi correva, in città io. La cucina toccava a me: andava matto per i frutti di mare crudi e per i moscardini fritti. A letto ronfava come un ghiro, tanto che l’unica curiosità della professoressa Rita Levi Montalcini quando l’andammo a trovare per un convegno sull’Alzheimer fu: lei dorme di notte?» (la moglie Manuela a Emanuela Audisio) [Rep 18/4/2013].