31 maggio 2012
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Biografia di Mariangela Melato
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• Milano 18 settembre 1941 – Roma 11 gennaio 2013. Attrice. Da ultimo vista in tv in Filumena Marturano, di Franza Di Rosa (2010), a teatro in Nora alla prova, adattamento da Casa di bambola di Henrik Ibsen, (regia di Luca Ronconi 2010) e ne Il dolore di Marguerite Duras (regia di Massimo Luconi 2011) con il quale ha vinto il premio Ubu come miglior attrice. Nel dicembre 2006 ricevuta al Quirinale per il premio De Sica.• «M’è piaciuto un mestiere dove piango, rido, m’angoscio ma comunque fingo».
• Madre sartina, padre vigile urbano, nata in via Montebello (Brera), fu commessa e vetrinista della Rinascente, studentessa di Belle arti, trovarobe, suggeritrice, aspirante cabarettista fino al grande successo: «Da giovanissima feci un provino con Luchino Visconti, per una piccola parte nella Monaca di Monza. Dal fondo della sala, dopo un attimo di silenzio, sentii la sua voce che mi diceva: pari una rana, ma che coglioni che hai! Sei disposta a tagliarti i capelli? Io risposi al volo: anche i piedi, signor conte!».
• Tra i suoi film: La classe operaia va in paradiso (Petri, Nastro d’argento 1972), Mimì metallurgico ferito nell’onore (Wertmüller, Nastro 1973), La poliziotta (Steno, David di Donatello 1975), Caro Michele (Monicelli, David e Nastro 1977), Il gatto (L. Comencini, David 1978), Dimenticare Venezia (Brusati, Nastro 1979), Aiutami a sognare (Avati, David e Nastro 1981).
• Attivissima in teatro (dalla tragedia di Euripide ai musical di Garinei e Giovannini, da Pirandello a Fo, dalla Parigi di Feydeau alla Milano di Bertolazzi). «Non è possibile paragonare il cinema con tutto quello che mi offre il teatro, dove ho recitato la parte di una bambina di sei anni, in Quel che sapeva Masie, ma anche quella di una donna di 337 anni, dotata di eternità, nel Caso Macropulos. Come faccio a confrontare questi ruoli pazzeschi con quelli di qualche pallida zia o di qualche madre incolore che mi offre oggi il cinema italiano?».
• «Fellini la descriveva come una via di mezzo tra una divinità egizia e un extraterrestre. Sembra arrivare da un altro pianeta: bella da togliere il fiato, con quello sguardo che sembra, ogni volta, sfidare il mondo» (Monica Perosino).
• «Mi piacciono la pittura, i musei, i paesini italiani, la New York del teatro-cinema-ballo, la casa di piazza Navona, la sana solitudine, i pochi amici, l’intelligenza delle persone, un’indicibile immagine privata di dolore che porto sempre con me, l’ordine meticoloso nel camerino» (a Rodolfo Di Giammarco).
• «Il peggio che può capitare a un’attrice è un telefonino che squilla in sala. Ma anche il silenzio può essere tremendo. Ci sono due tipi di silenzi. Quello partecipe, che è meraviglioso, e quello assente: terribile. Io li distinguo benissimo. C’era un signore in prima fila che a un certo punto ha guardato l’orologio. Volevo sbranarlo. Da quel momento ho recitato solo per lui: ogni urlo, ogni sfuriata, ogni sussurro era per lui» (a Laura Laurenzi).
• «Zitella sicuro, felice non saprei; una giornata interamente felice non esiste, esistono piccoli momenti di gioia che ho imparato a ritagliarmi. Certo mi sono abituata alla solitudine sentimentale, all’indipendenza, a vivere senza uomini. È come se gli uomini fossero spariti: cercano donne molto diverse da me, donne deboli, donne geishe e condiscendenti. Ma io non ho mai fatto Come tu mi vuoi: non l’ho fatto a teatro, figuriamoci nella vita».
• «Penso che l’uomo ideale non esista, che sia una nostra romantica invenzione sepolta viva sotto anni di cocenti delusioni».
• L’uomo più importante «è stato Adolf, il padre, radici ad Hannover, cognome Hoening, italianizzato sotto il fascismo. Vigile urbano. “Bellissimo nella divisa da ghisa, i baffi alla David Niven. Quando mi portava per mano ai giardini di piazza Cavour ero la bambina più felice del mondo. Parlava poco, ma mi faceva sentire sicura nella sua ombra. Era stato internato a Dachau. Ogni prima mentalmente la dedico a lui, è morto che avevo appena cominciato a recitare. Credo di non aver mai preso seriamente in esame un possibile marito perché edipicamente l’avrei messo a confronto con mio padre, e avrebbe vinto mio padre”» [Gianni Mura, Rep 12/1/2013].
• Tra i suoi compagni, Renzo Arbore che la definisce «la moglie che non ho sposato» e «dice di aver imparato da lei tante cose della cultura milanese: “Quando andai a casa sua, una casa di ringhiera, Montebello al 7, così dicono a Milano, ho avuto la fortuna di conoscere suo padre, che era un ‘ghisa’. E la mamma era una santa donna di ringhiera. Rammento che, quando andai a vedere Mariangela in quella sua straordinaria interpretazione di El nost Milan, siccome lo spettacolo era in stretto dialetto, mi fu messa vicino apposta la madre, che avrebbe dovuto tradurmi le frasi incomprensibili. Il problema, però, era che la signora non me le traduceva in italiano, ma in milanese”. La loro storia, pur con una separazione, è durata 42 anni» (Costantini, Corriere della Sera).
• «Di solito dormo poco, e se m’alzo incazzata nera faccio lunghe camminate».