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 2012  maggio 31 Giovedì calendario

Biografia di Ciro Mazzarella

• Napoli 2 aprile 1940. Malavitoso. Alias ’o Scellone, per via delle scapole sporgenti. Ritenuto capo storico del rione Santa Lucia, a Napoli, dove controllava il contrabbando di sigarette. All’inizio sotto l’egida dello zio Michele Zaza, affiliato a Cosa Nostra. Ha sempre negato di essere camorrista. Fratello di Vincenzo Mazzarella (vedi).
• Accusato di associazione mafiosa per fatti commessi fin dal 1982, ma condannato nel 1996 per associazione semplice dal Tribunale di Palermo (perché, nel frattempo, le famiglie mafiose operanti nel Napoletano, a cui lui aveva aderito, si erano sciolte per contrasti interni), la Cassazione, nel 2003, annulla la sentenza di condanna per improcedibilità (perché, arrestato in Svizzera nel 1993, non è stato estradato per il reato contestato), trascurando il ricorso del Procuratore Generale che lo aveva definito, citando alcuni collaboratori di giustizia, un «uomo d’onore» (Cass., 3 novembre 2003).
• «Riguardo alle attività tipiche delle famiglie camorristiche, nel corso delle diverse istruttorie esperite… fu accertato come le diverse famiglie (ed in particolare gli Zaza con Ciro Mazzarella) agissero da prima nel settore del contrabbando di sigarette estere, anche in cooperazione con esponenti di Cosa Nostra, mentre solo successivamente si dedicarono al traffico di sostanze stupefacenti» (da una relazione di Luigi Gay, sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli).
• Viene arrestato in Spagna nel 2002 in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare del gip di Napoli (31 maggio 2002, per associazione camorristica, contrabbando di sigarette, racket, in particolare per aver imposto le forniture di mozzarelle ai ristoranti Chiaia), e di un provvedimento di esecuzione di un residuo di pena. Condannato, ma non in via definitiva, per le accuse alla base dell’ordinanza cautelare, a sei anni e mezzo (l’accusa ne aveva chiesti diciotto), il 5 dicembre 2006 viene scarcerato per aver scontato la pena residua, e per decorrenza dei termini di custodia cautelare.
• Nel 2012 si è lasciato intervistare da Marco Bazzi.
«Sono un malandrino, ma non un camorrista. Un malandrino deve essere una persona onesta, coraggiosa e capace di rinunciare anche alla sua libertà per le cose in cui crede. Per me “malandrino” non ha un’accezione criminale». «Non ho mai ritenuto il contrabbando un reato. Era un’attività che faceva vivere un sacco di persone qui a Napoli. E non mi stava bene quando la Finanza ci sequestrava le sigarette. Eravamo gente che si rispettava e si voleva bene, e a volte perfino i carabinieri ci avvertivano quando arrivava la finanza. Si guadagnava bene: io incassavo cinque o sei milioni di lire a settimana, e allora erano un mare di soldi. Ma li spendevo tutti». «Non sono un angelo. Ma sparato non ho mai sparato a nessuno in vita mia. Ho solo usato il coltello. Non ho ammazzato ma ci sono andato vicino. Due volte. La prima è stata quando avevo dieci anni e stavo lavando una barca da pesca in riva al mare. C’era un tizio che faceva i suoi bisogni dietro lo scafo, così gli ho detto di pulire i suoi escrementi. Lui mi ha risposto “te li faccio mangiare”. E io l’ho accoltellato. Sono finito in riformatorio, prima in un paesino vicino a Macerata, poi a Pallanza, sul Lago Maggiore. La seconda volta avevo sedici anni. Sono stato coinvolto in un rissa famigliare e ho usato il coltello. Due anni nel carcere di Poggioreale, poi il mio avvocato mi consigliò di farmi passare per matto e feci altri due anni di manicomio criminale». «Camorrista no, l’ho detto. Sono un uomo semplice. Se proprio vogliamo, mi sento un guappo. Sa, una volta a Napoli c’erano i guappi, erano una ventina, una trentina a esagerare in tutta la Campania. Il guappo metteva a posto le cose, risolveva i problemi, aggiustava quello che non andava. Per esempio, uno aveva una figlia che era importunata da qualche giovanotto? Ecco, andava dal guappo e la cosa si risolveva». «Mio padre Francesco ha fatto poco per me, ma era un uomo molto coraggioso e odiava la prepotenza. Pur non avendo mai desiderato di assomigliargli l’ho sempre rispettato. Ma con poca stima. Non ha mai capito che essere padre è una cosa molto impegnativa. La prima volta che ho messo le scarpe in vita mia è stata a dieci anni, per andare in riformatorio». «Amo la vita, ma non al punto da disprezzare la morte. L’una e l’altra vanno a braccetto». «Dico che Napoli l’hanno rovinata Totò e Peppino De Filippo, perché hanno ironizzato sul disordine e sulla miseria, le hanno trasformate in folclore, e hanno convinto i napoletani che questi fossero valori di cui andare fieri. Se fosse per me, raderei al suolo i Quartieri Spagnoli e al posto dei vicoli ci farei delle case nuove, accoglienti e spaziose, con delle strade comode dove ci si può passare in macchina senza problemi. La mia natura non è in sintonia con questa città». «C’è un Mazzarella vissuto nell’Ottocento a cui vorrei assomigliare: il Beato Domenico di Frattamaggiore. Se fossi nato in un contesto diverso avrei potuto essere un angelo». (dal blog Matrioska).
• Il suo soprannome è diventato Lo Spallone nel libro-intervista di Fabrizio Capecelatro (2013). (a cura di Paola Bellone).