31 maggio 2012
Tags : Ezio Mauro
Biografia di Ezio Mauro
• Dronero (Cuneo) 24 ottobre 1948. Giornalista. Direttore di Repubblica (dal 1996). Ex direttore della Stampa (1992-1996).
• Cominciò nel 1972 alla Gazzetta del Popolo, poi inviato della Stampa, corrispondente da Mosca di Repubblica.
• «Della Stampa mieliana, tentata alla lontana dalla verità, fece un giornale di ancor più stretta e ravvicinata ortodossia bobbista. È stato premiato e gli hanno dato Repubblica dove ha fatto faville, perché è un Dio della cronaca, senza recuperare però la famosa “autorevolezza” invocata dall’Avvocato, suo estimatore. Classico faccio tutto io, e fatto da sé lui medesimo, agitatissimo. Cronista politico a Montecitorio, inventò la vestizione del leader, un resoconto di guardaroba con cui gratificò un pochetto Ciriaco De Mita. Informatissimo e furbissimo. Quando vuole ha doti di asciuttezza e sa picchiare» (Pietrangelo Buttafuoco).
• Piemontese tutto d’un pezzo. «Quando andavo a lavorare, a Mosca, dove ho fatto l’inviato per tre anni, mi mettevo sempre la cravatta. Me la mettevo anche se non c’era nessuno in ufficio, anche se era domenica, anche se non avrei incontrato anima viva. Però mi mettevo la cravatta. Per una questione di riguardo, di rispetto nei confronti del lavoro» (a Salvatore Merlo).
• «Fossi un calciatore? Giocherei con il numero 8 di una volta, a centrocampo. Distruggere e costruire».
• «Il gossip è il male sottile del giornalismo italiano: non spiega le situazioni, è un modo irresponsabile per far male a qualcuno nascondendo il braccio. Alla Repubblica non si usa il giornale per questi scopi. Né sgambetti né calci negli stinchi. Pubblichiamo articoli duri, ma sempre firmandoli con nomi e cognomi e mai usando dicerie private e maldicenze» (da un’intervista di Cesare Lanza).
• «Mi considero iscritto all’Albo dei giornalisti, non dei direttori. Il mestiere mi ha portato a fare anche il direttore, e va bene così. È una responsabilità particolare perché si guidano gruppi di lavoro complessi e si influenza l’opinione pubblica».
• «Il potere economico e politico, in Italia, è abituato a considerare i giornali come oggetti che non devono prendere posizione e parlare contro. Un direttore, molto semplicemente, deve sapere che fa parte del suo carico di lavoro ricevere una certa dose di lamentele tutti i giorni. Io dico: ascoltare tutti, sapendo che i lamenti, le proteste e le minacce ti entrano da un orecchio e ti escono dall’altro; tranne che ti dimostrino un errore palese. Può capitare: allora devi chiedere scusa. Oppure ti devono provare la malafede. Che non c’è».
• «I politici non sono mai contenti, telefonano, si lamentano anche per le fotografie, pongono addirittura dei veti».
• «Soltanto in Italia chiediamo ancora al giornale, in modo primitivo: “Con chi stai?”. Mentre la vera domanda che una società liberale dovrebbe rivolgere al giornale è: “Chi sei?”».
• «Io ho fatto il giornalista per scrivere, come credo tutti. Facendo il direttore scrivi molto meno. Il vero scrivere non è fare gli articoli di fondo. Scrive chi sta nella triade: andare, guardare, raccontare. Mi è piaciuto moltissimo fare il mestiere quando scrivevo e ho avuto grandi soddisfazioni. Spero di poterlo fare dopo» (a Luigi Vaccari).
• Nel 2008 apprezzatissimo il suo reportage Col ferro e col fuoco - Cosa è rimasto dei ragazzi della Thyssen, sui 7 operai morti nel rogo del 5 dicembre 2007: fu letto tra l’altro all’Ambra Jovinelli di Roma dagli attori Paola Cortellesi, Valerio Mastandrea, Claudio Gioè.
• Tra le molte novità introdotte dopo la difficile successione al fondatore Eugenio Scalfari, l’inserto domenicale, curatissimo nella grafica, nella scrittura e negli argomenti scelti.
• Tifoso della Juve.