31 maggio 2012
Tags : Paolo Matthiae
Biografia di Paolo Matthiae
• Roma 9 gennaio 1940. Archeologo. È stato docente di Archeologia e Storia dell’arte del Vicino Oriente antico all’Università La Sapienza di Roma. «L’archeologia è una grande scuola di tolleranza».
• Dal 1964 direttore degli scavi di Ebla in Siria, curò la mostra sull’antica civiltà che si tenne a Roma e a Trieste nel 1995. Tra i suoi saggi: Ebla, la città rivelata (Electa, 1995), Il sovrano e l’opera. Arte e potere nella Mesopotamia antica (Laterza, 1994), Ninive (Electa, 2002), Ebla, la città del trono. Archeologia e storia (Einaudi, 2010).
• «Solo da pochi anni questo studioso pacato e affabile, capace di affascinare con i suoi racconti (un miscuglio perfetto di ironia romana e metodo germanico), è stato riconosciuto anche in Italia come uno degli archeologi più importanti del Novecento. In Germania, in Francia, in Inghilterra se ne erano accorti da un pezzo» (Alessandra Mammì).
• «Nel 1963 mi ero appena laureato, avevo 23 anni e partecipavo a una campagna di scavi in Turchia diretta dal grande paletnologo Salvatore Puglisi. Fu in quel periodo che al museo di Aleppo vidi un bacino scolpito con scene rituali che mi incuriosì molto. “Da dove viene?”, chiesi. Mi parlarono di una collina a una sessantina di chilometri da lì. “Se vuole domani prendiamo un taxi e ce la portiamo”. Così fu. E sotto i miei occhi vidi un andamento del terreno che non poteva essere naturale. Rimasi stupefatto dalla grandezza, dalla regolarità, dalla chiarezza di quello che capii subito essere un insediamento antico. Sessanta ettari con una grande cinta muraria molto evidente. Quel sito si chiamava Tell Mardikh e lì sotto si nascondeva Ebla».
• «Ebla non c’era. In quello che è stato il libro di seduzione di noi bambini del dopoguerra, Civiltà sepolte di C. W. Ceram (prefazione nobilissima di Bianchi Bandinelli), Ebla non c’era. Il terzo avventuroso capitolo del volume di Ceram, Il libro delle torri, raccontava di Ninive, Assiria, Babele. Nella storia del Vicino Oriente, ancora mancava quella che è la più grande scoperta archeologica del secondo Novecento, la scoperta di Ebla, “città del trono” del III millennio avanti Cristo. Una scoperta che ha cambiato le nostre conoscenze, che ha introdotto nuove prospettive nell’interpretazione del passato, nuove dialettiche nel presente (fra le polarità di Oriente e Occidente) e che spetta a un archeologo italiano, Paolo Matthiae» (Anna Ottani Cavina) [Rep 23/7/2010].
• «Spiega che le grandi catastrofi sono un formidabile aiuto per l’archeologo: “È una delle contraddizioni dell’archeologia, di cui la scienza si può avvantaggiare un po’ cinicamente. Quanto più le grandi catastrofi sono state improvvise – non solo Pompei, ma anche Santorini – tanto più il lavoro dell’archeologo è reso interessante e ricco. Chi ha tempo di fuggire non si lascia indietro niente. Quando una civiltà è folgorata sul posto in pochi minuti o in poche ore, chi viene dopo ritrova quasi tutto così com’era”. La regola è valida anche per Ebla, la città di 4500 anni fa scoperta in Siria da Paolo Matthiae. Le 17 mila tavolette che Matthiae e i suoi collaboratori studiano da quarant’anni sono state infatti rese indistruttibili da un incendio» (Marco Vallora).
• «Ha elaborato un nuovo modo per esplorare le rovine di Ebla: il grande amore che da 43 anni segna la sua esistenza di archeologo appassionato. Adesso dedica una gran parte del suo tempo alla rilettura delle famose tavolette con la scrittura cuneiforme da lui scoperte nel 1975. Quindi, sulla base delle rivelazioni in esse contenute, si concentra a scavare in alcune zone specifiche dei quasi 60 ettari sulla collinetta di terra rossastra che emerge per un paio di decine di metri dalla piana presso l’autostrada tra Hama e Aleppo. “L’archeologia procede sempre molto lentamente. Ma sono stato fortunato. A 35 anni quasi casualmente mi imbattei nella sala degli archivi. E da allora la mia vita è cambiata totalmente. Come affermò nello stesso 1975 un celebre archeologo americano, Ignace Gelb, dell’Oriental Institute di Chicago: gli italiani a Ebla hanno scoperto una nuova lingua, una nuova storia, una nuova cultura. I riconoscimenti dall’estero arrivarono immediatamente. In Italia ci volle più tempo”, dice senza nascondere un’ombra di risentimento verso i media e gli ambienti accademici italiani » (Lorenzo Cremonesi).
• «Debbo molto a mio padre Guglielmo, perché la ricerca di uno storico dell’arte del Medioevo, sul ceppo saldo di Pietro Toesca, già allora era una contaminazione tra storia dell’arte e archeologia. Poi vennero maestri come Bianchi Bandinelli. Nel mio mestiere, ineguagliabile, è la fisicità della scoperta. Si salda alla percezione della distanza, di una certa opacità del passato che impone a noi, uomini d’Occidente, un radicale cambiamento di prospettiva. Ci riteniamo orgogliosamente detentori di ogni chiave di conoscenza e dimentichiamo che i nostri strumenti critici sono stati forgiati – dall’Ellenismo al Vasari a tutto l’Ottocento – per misurarsi con l’arte del mondo greco, romano, europeo. Ma sono davvero efficaci di fronte a un mirabile ritratto di un faraone del XIX secolo a. C.?» [a Ottani Cavina cit.].
• Sposato con l’egittologa Gabriella Scandone.
(Lauretta Colonnelli)