31 maggio 2012
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Biografia di Alfredo Martini
• Firenze 18 febbraio 1921 - Firenze 25 agosto 2014. Ex ciclista. Ex direttore tecnico della Nazionale (1975-1997), con cui vinse sei Mondiali.
• «Non un campione (7 vittorie in tutto, concentrate fra 1946 e 1951) ma uno che andava su tutti i terreni, tranne che a cronometro. Un giorno in maglia rosa, da Brescia a Vicenza, nel 1950. Ma attenzione ai piazzamenti: in quella famosa Cuneo-Pinerolo del 1949, dopo Coppi e Bartali c’è lui. E terzo alla fine del Giro del 1950. Dopo Koblet e Bartali, c’è lui» (Gianni Mura).
• «Con lui scompare l’ultimo grande interprete e testimone del ciclismo eroico a cavallo della Seconda guerra Mondiale. Aveva cominciato a correre in bicicletta nel 1936, gareggiando tra i professionisti dal 1941 al 1957: dieci le vittorie in carriera e un podio nel Giro d’Italia 1950, dietro a Koblet e Bartali. Vinse una tappa nella sua Firenze e vestì la maglia rosa. Un Giro l’avrebbe conquistato come ds di Pettersson nel 1971 sull’ammiraglia del team Ferretti. Le straordinarie qualità di Martini come tecnico emersero tuttavia negli anni da ct della Nazionale italiana (1975-1997): vinse con Moser (’77), Saronni (’82), Argentin (’86), Fondriest (’88) e Bugno (’91-’92), e conquistò anche 7 argenti e 7 bronzi. Per tutti era e resterà sempre il citì» [Giorgio Viberti, Sta 26/8/2014].
• «La casa fiorentina di Alfredo non era solo una casa, era l’inizio e la fine di un racconto tramandato da lui stesso, era una cattedrale di memorie ma non di marmo, semmai di mattoni e calce. Ci si andava come da bambini ci si mette a letto, aspettando che mamma o papà ci leggano una storia. E lui la ripeteva sempre, con garbo antico e quella parlata toscana precisa, accurata, a suo modo un classico. Raccontava, Alfredo Martini, di quand’era bibliotecario a Sesto Fiorentino, di quando fece amicizia con un ragazzo che lo portava ad allenarsi in bici insieme a lui, e si facevano anche trecento chilometri al giorno, e quando scendevano di sella non era neanche più capace di rispondere a domande semplici, tipo “come ti chiami?”, e invece quell’altro sembrava ancora fresco come una rosa e magari di chilometri se ne sarebbe fatti altri trecento. Si chiamava Gino Bartali, quell’altro. Si andava a casa di Alfredo, si bussava, a volte si telefonava prima perché lui ormai era vecchissimo, 93 anni, eppure mai opaco, mai arreso alla ruota del tempo che è come quella della bicicletta, e gira. Alfredo, sempre impeccabile nelle sue giacche, sempre con la camicia perfettamente stirata, ti dava la sua mano piccola, un po’ tremula, poi ti faceva accomodare in salotto. E ti raccontava di quando aiutò Fausto a vincere due Tour de France, nel ’49 e nel ’52 (Alfredo aveva una memoria affilata come un rasoio e sapeva squadernare non solo gli anni ma pure i giorni, i minuti, e il tempo che faceva, se pioveva o c’era il sole, o quel vento che accarezza i ciclisti in primavera)» [Maurizio Crosetti, Rep 26/8/2014].