31 maggio 2012
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Biografia di Arturo Mari
• Roma maggio 1940. Fotografo. Dal 1956 al 2007 fotografo ufficiale del papa. Soprannominato “l’istantanea di Dio”.
• «Bisogna lavorare col cuore. Se non avessi lavorato così, a forza di riprendere cerimonie che si ripetono sempre uguali, avrei fatto solo una zuppa». «Un’istituzione, più che un fotografo. Divenuto anno dopo anno conosciutissimo e riconoscibilissimo. “Mi ricordo un mercoledì, c’era l’udienza generale, e Giovanni Paolo II attraversava piazza San Pietro in macchina per salutare la folla. A un certo punto un gruppo di gente, non so perché, iniziò a gridare il mio nome, e allora Papa Wojtyla si voltò verso di me e disse: ‘Arturo fa udienza, oggi?’” (Salvatore Mazza).
• «Un genuino romano de Roma, anzi un “borghiciano”, ossia di Borgo, di quel poco che rimane del medievale quartiere capitolino raggomitolato a ridosso del Vaticano e sventrato per far posto a via della Conciliazione: lì è nato, all’ombra del Passetto, e lì abita tuttora. “Sono stato una sorta di enfant prodige. Mio padre era un fotografo amatoriale e per evitare che io passassi il tempo in strada, mi piazzava nel laboratorio fotografico di una scuola a piazza Risorgimento. A 6 anni sapevo già tutto della fotografia. Mio padre, come già mio nonno, lavorava al Vaticano, e quando avevo 16 anni il direttore dell’Osservatore Romano, il conte Giuseppe Dalla Torre, fu colpito da alcune mie fotografie e volle conoscermi. Venni qui alle undici di mattina del 9 marzo 1956 e non ne sono più uscito. Fui assunto come fotocronista e assegnato a seguire il Papa”. Che allora era Pio XII. “Lo rivedo, quell’uomo alto e ieratico, un giorno in cui, entrando nella Basilica di San Pietro, spalancò le braccia, come nella fotografia che lo riprende nel quartiere San Lorenzo bombardato dagli Alleati: un gesto ampio, protettivo... Era un Papa che veniva dalla guerra. Altri tempi. Non usciva quasi mai dal Vaticano, e quando nel 57 andò a inaugurare il nuovo centro della Radio Vaticana a Santa Maria di Galeria, alle porte di Roma, sembrò che andasse dall’altra parte del mondo”» (L’Eco di Bergamo).
• Ha seguito sei pontefici, fino a Benedetto XVI.
• «Ogni papa è stato figlio del suo tempo. Pio XII usciva dal Vaticano solo l’8 dicembre per la festa dell’Immacolata. Giovanni XXIII incominciò ad uscire. Le sue prime visite ai carcerati e ai bambini malati furono i primi grandi spunti per i servizi fotografici. Con Paolo VI incominciò l’era dei viaggi, in Terra Santa, all’Onu, in Sudamerica. Con Giovanni Paolo I, pur avendo lavorato bene, in 33 giorni non abbiamo avuto tempo per conoscerci a fondo. Con papa Wojtyla la storia, anche quella fotografica, è cambiata» (a Orazio La Rocca).
• Con Giovanni Paolo II ha passato ventisette anni della sua vita. «Eravamo a Lagos, in Nigeria. Siamo rientrati alle 14.30 del pomeriggio. Abbiamo trovato ad aspettarci persone del luogo; eravamo fradici di sudore, faceva un caldo impossibile. Abbiamo scattato foto con queste persone. E subito dopo ho nascosto le macchine dietro una pianta, e mi sono infilato in un corridoio che portava all’appartamento del Santo Padre; però portava anche alla cucina. Corro al frigorifero, lo apro, prendo una bottiglia d’acqua. Sento una pacca sulle spalle, mi giro, credevo fosse un amico della Radio vaticana che era sempre con me, e gli dico: aspetta un mom... Non faccio in tempo a finire che sento la voce: “Rimarrà un po’ d’acqua per il Papa”?.
• Qual è il suo ricordo più bello? «Sicuramente quando Giovanni Paolo II, sei ore prima di morire, mi ha mandato a chiamare per ringraziarmi per quello che avevo fatto per lui. Il Santo Padre era disteso sul suo letto, io sono entrato e mi sono inginocchiato. Il suo segretario, don Stanislao, gli ha detto in polacco “Santità, Arturo è qui”. Lui si è voltato verso di me e mi ha detto: “Arturo, grazie di cuore per tutto”» (a Marco Tosatti).
• «Ogni giorno scatta una media di 300 fotografie, che diventano 1.500 durante le udienze generali e circa 2.000 quando ci sono le cerimonie pontificie. Stile discreto ed efficace, sempre in abito scuro, camicia bianca e cravatta nera, due macchine fotografiche Nikon D2HS, una in mano e l’altra a tracolla. Unico vizio, il fumo» (Alessandra Borghese).
• «Quando Giovanni Paolo II andò per la prima volta in Argentina sono partito da Roma con 600 rullini, allora non c’erano le macchine digitali, ma mentre eravamo là il nunzio dovette comprarne altri 200».
• Andò in pensione nel 2007, dopo 41 anni di carriera e, vuole la leggenda, senza mai un giorno di ferie o di malattia, lasciando il testimone a Francesco Sforza.
• Ha una moglie, spagnola. E un figlio, Rugel Juan Carlos, che è stato ordinato sacerdote dei Legionari di Cristo.